“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

"Il sogno dell'arrostito". Una lettura politica

Premessa
Federico Tavan fu il poeta dei perdenti, della gente senza storia, di quelli che prendono pedate; fu il cantore di uomini e donne che hanno il freddo nelle mani, la febbre nella testa, il silenzio nella voce e la fatica nei piedi, gelate lacrime sul volto e l'inverno nei coglioni. Anarchico, egocentrico e povero diavolo, Federico Tavan su poeta per fato: sempre ad un grammo dalla felicità, Tavan raccontò gli ultimi, i matti, i disperati, i depressi, gli aspiranti suicidi e gli sconfitti: Tavan raccontò se stesso.

Cosa sta accadendo in Puglia?

Premessa.
Per anni abbiamo parlato e scritto della Puglia: vi abbiamo viaggiato verso e dentro; l'abbiamo traversata, non soltanto d'estate; l'abbiamo presa a modello, citandola nei nostri articoli o tirandola nelle nostre discussioni pubbliche e private; l'abbiamo assunta ad esempio, non di rado per sbatterla sul grugno dei nostri amministratori locali, come per dirgli: guarda, allora è possibile! Non che tutto fosse perfetto, è evidente; tuttavia la Puglia è stata anche la dimostrazione − ancora di più per chi abita, vive, respira qui a Sud − dell'inesistenza di una questione meridionale del teatro: quando ci sono competenze, idee chiare, una visione di sistema ed il coraggio di fare, di questa visione, una pratica, senza piegarla ad interessi clientelari, senza votarla ai rapporti d'amicizia.
La Puglia. La nostra Puglia ovvero la Puglia di chi non vive in Puglia, la scena della Puglia di chi la Puglia l'ha vista in scena.
Per questo ne scrivo, partendo da tre festival.


“Io non volevo neanche più farlo” mi ribadisce Francesco dopo averlo già dichiarato in conferenza stampa: stanchezza fisica e di pensiero, la ripetizione di un'esperienza negli anni troppo somigliante a se stessa, un impegno percepito dagli altri come un automatismo e dunque un lavoro – complesso e difficile – ridotto a un appuntamento scontato: tanto il festival si fa anche quest'anno.

Tondelli e il teatro, in camere separate

della solitudine
Sto scrivendo questo libro “strappandolo letteralmente dalla mia pelle. Ci sono delle pagine che ho orrore di scrivere e che batto sui tasti del mio computer urlando come sotto tortura”.

Città, politica e Teatro Stabile

Scopo della burocrazia è di condurre gli affari dello
Stato nella peggiore possibile maniera e nel più
lungo tempo possibile.
(Carlo Dossi)

Non bastano i denari: bisogna saperli spendere.
(proverbio italiano)

 

Nel 1955 Napoli vuole il suo Teatro Stabile e lo vuole operando – lo racconta Annamaria Sapienza ne Il padrone del vapore – “una superficiale imitazione del modello strehleriano”, cioè una riproposizione – in piccolo, viene da scrivere – de Il Piccolo: Ernesto Grassi, critico e commediografo, ne diventa il direttore artistico; l'amministrazione avalla la nascita di una “Compagnia Stabile di Teatro di Prosa” mentre il sindaco, Achille Lauro, scrive al Ministero “rivendicando l'urgenza di avere un Teatro Stabile e denunciando l'abitudine delle grandi compagnie italiane a disertare le piazze meridionali”: forte dell'alleanza ottenuta con l'appoggio dei monarchici alla Democrazia Cristiana Lauro può dunque pretendere dal Governo un finanziamento di venticinque milioni di lire per la sua costituzione. Intanto ne viene allestita la prima stagione: Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello, Il sorriso della Gioconda di Aldous Huxley, Il vento notturno di Ugo Betti e Finalmente un delitto di Marcel Achard, Venerdì santo di Cesare Giulio Viola, Il sistema Ribadier di Georges Feydeau.
Le regie sono firmate, in alternanza, da Vittorio Viviani, Giuseppe De Martino e dallo stesso direttore artistico Ernesto Grassi.

Appunti su "Bordello di mare con città"

appunto zero (o una premessa)
Verrà un giorno nel quale, si augurava De Monticelli, sarà ridotta la fondamentalità assoluta data alla prima di uno spettacolo; verrà un giorno nel quale – liberati dalla prassi ormai desueta (che appartiene solo ai cartacei) di dover uscire il mattino dopo con l'articolo – coloro che scrivono di teatro non dovranno tarare l'emozione del debutto, una confidenza tra scena e testo ancora da trovare pienamente, la complessità umana – umanissima – che comporta lo stare in scena in sette, su un palco importante, con davanti una platea ricolma. Ad esempio. Bordello di mare con città è un'opera complicata perché è uno spettacolo di compagnia, che ha il suo autore in scena, e che ha per punto di partenza un testo che, da drammaturgico, si fa poetico. Ho atteso un anno prima di scrivere di Scannasurice, consapevole del tempo di maturazione che meritava e che merita (meriterebbe), in realtà, ogni spettacolo – per il quale la prima non è che un momento, importante sì, ma un momento. E tempo merita ancor più Bordello se non vogliamo solo reiterare la pratica, anch'essa ormai desueta, dei bravissima alle attrici quando invece – queste attrici – hanno appena iniziato il loro vero (e incerto) cammino, al cospetto del pubblico, fuoriuscite dall'utero segreto e protettivo delle prove.
Le repliche di uno spettacolo sono cosa viva, è cosa viva il teatro, che accumula esperienza e sicurezza di sera in sera. Alla prima – anzi: dopo questa prima – nessun bravissima: per me è troppo presto. Invece un po' di appunti, per cominciare a ragionare su qualcosa, su qualcuno, che a sua volta ha cominciato adesso il proprio viaggio.

primo appunto (Napoli ormai fa Napoli)
Per comprendere il lavoro svolto da Cerciello con Bordello di mare con città occorre partire – a mio parere – dall'introduzione che Moscato scrive in Orfani veleni, il volume che contiene anche Scannasurice.
Cosa dice?

Che sapete di me? Che sappiamo di lui?

Lucio quando aveva quindici anni si vergognava di mettere il casco: anche quando sognava di andare sul motorino con “una bionda dietro, i capelli che escono dal casco – i suoi – e la felicità: la mia”. Lucio, fin da ragazzino, ha lavorato: ha fatto le grattachecche e ha fatto il cameriere, il venditore di giornali, il responsabile di spazi pubblicitari per una rivista andata in fallimento. Lucio quando guarda la televisione sbuffa. Lucio ha fatto sport. O almeno così afferma.

"Un virusse corrosivo". Efestoval, Campi Flegrei

È Mimma Gallina a darmi lo spunto con cui iniziare questo articolo. Scrive infatti, in Organizzare teatro, che “i Comuni capoluogo con il 30% degli abitanti circa assorbono quasi il 60% dell'offerta di spettacoli”, aggiunge che “le sei città italiane con oltre 500.000 abitanti, dove risiede il 12% della popolazione, assorbono oltre il 30% dell'offerta” e chiude ricordando che “i Comuni fino a 50.000 abitanti, con il 64% dei residenti, si aggiudicano il 38% degli spettatori”.

NTFI: le parole, i fatti e il silenzio

Le parole (dal libro dei sogni)
L'edizione 2016 de “il Napoli Teatro Festival Italia” – scrive Luigi Grispello, Presidente della Fondazione Campania dei Festival – “si pone l'obiettivo di estendere il proprio ruolo da rassegna teatrale estiva a istituzione culturale permanente che svolge attività di grande valore durante tutto il corso dell'anno”. Il Festival, infatti – insiste Grispello – solo in questo modo può davvero raggiungere i suoi obiettivi che sono: “incentivare la valorizzazione delle realtà artistiche radicate sul territorio”, “promuovere e sostenere lo scambio culturale tra Napoli e il mondo”, “far conoscere e diffondere all'estero la creatività degli artisti napoletani” ed “offrire occasioni di lavoro qualificato nel campo dell'arte teatrale e delle performing arts”.

Quanne ghiucaveme 'u pallone

Nel primo capitolo de Le memorie del teatro Georges Banu s'interroga su che rapporto vi sia tra il ricordo e la pratica scenica, tra ciò che era e ciò che appare. “A teatro” – scrive Banu – “la memoria è paradossale” poiché da un lato è ciò che è sempre stata, ovvero una rimanenza parziale e soggettiva che si fa “cosa rammentata” e, dall'altro invece, “cerca di mostrarsi nell'attualità di un corpo, di uno spettacolo”.
“Il teatro” – continua Banu – “da sempre s'immerge in ciò che risale dal passato” ed è per questo che, osservando l'attore – ovvero il suo fenomeno più esposto – abbiamo la sensazione ch'egli compia “in se stesso gli sponsali del tempo antico con quello di adesso”: fa “da supporto e da mediatore, da ponte e da trappola per topi” l'attore, è “all'incrocio delle durate” ed è per suo mezzo che “il teatro si fa carne” appartenendo così al presente.

Così il vecchio attore giunge agli orli della vita

Eduardo/Campese quando cammina per le strade e gli capita di battere due o tre volte il piede in terra, perché gli si è attaccato qualcosa sotto la scarpa, si sorprende per il fatto che quei colpi battuti non producano lo stesso rumore di quando pesta il piede sulle tavole del palcoscenico; se tocca con la mano il muro di un palazzo, un cancello di ferro, una statua di marmo, una quercia secolare, ecco: una quercia, lo fa sempre con estrema delicatezza e con la sensazione di avvertire, sotto le dita, la superficie della carta o della tela dipinta. Questo perché – “vede Eccellenza” – Eduardo/Campese è nato tra le quinte, espulso dal ventre di una madre che si torceva sul trono dell'Amleto, e sulle tavole ha cominciato a muovere i primi passi, a balbettare le prime parole, a storpiare i nomi dei protagonisti che recitava suo padre. Le prime particine, il primo ruolo importante e – con questo ruolo – le prime vere incertezze, i primi dubbi, mentre l'avvenire diventava il tempo presente e il tempo presente è diventato presto esperienza, memoria, mestiere: vita che, sera dopo sera, è trascorsa recitando.

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