“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Roberta Andolfo

“Oltre l’Isola” di Concetta De Pasquale

Istintivamente, un essere umano ha la sensazione che ogni cosa da lui osservata abbia iniziato ad esistere nel preciso istante in cui egli ha preso ad osservarla. Non siamo da subito in grado di astrarre da noi stessi, di renderci conto che un’infinità di esistenze e di essenze danzano intorno a noi, lontano dai nostri corpi, al di là della nostra coscienza e consapevolezza. Dopo poco tale verità viene metabolizzata. Si ha per questo, puntualmente, l’impressione di essere colpiti da una sorta di epifania ogni qual volta le vibrazioni di altre energie, di altri tratti d’esistenza, riescono ad arrivare quel tanto che basta sotto la membrana della nostra pelle, stabilendo così un contatto che non si cancella mai, neanche quando di quello stesso contatto si è ormai persa la memoria.

Promenade verso il museo (nell’antivigilia di Natale)

Lesti usciamo nella notte delle cinque del pomeriggio, che è già notte. Svoltiamo fra le persone più disparate. Vanno avanti, come noi, seguono la nostra direzione, altri vengono contro, altri ancora tagliano più o meno lontano, a destra, a sinistra, diritto, in obliquo, mentre qualcuno esce da un discount, qualcun altro entra in un palazzo, in farmacia, in pizzeria, dall’alimentari, nel palazzo dell’ASL all’angolo della piazza. Chioschi e bar sono più che illuminati. Molte ma non troppe auto rumoreggiano nel traffico, abbastanza caotiche, abbastanza ordinate, nelle tortuose curve e nelle strade dall’asfalto variamente tappezzato di sottili e doppi, piccoli o ampi rattoppi, a copertura di numerose buche.

L’UOMO, L’AMBIENTE, LO SGUARDO E LA FOTOGRAFIA. Pensieri intorno al “paesaggio” ritratto da Aniello Barone

Quando si cerca di vedere dentro al paesaggio, di scorgervi le cose più remote, insieme a quelle più evidenti che si raggruppano nei primi piani del panorama, si estende sempre la vista come un morbido manto coprente, che elargisce delle sensazioni quasi tattili, concrete, al nostro occhio. In quel velocissimo momento in cui si tenta di abbracciare tutto insieme, senza, al tempo stesso, perderne in dettagli, l’organo della vista è sensibile alla materia come e più della nostra mano. Scorre sul terreno, sulla strada, scavalca ostacoli, s’impantana nei fossi e nelle depressioni per risalire come una lenta alluvione fin sul ciglio dei promontori e delle colline, o per impennarsi sui ripidi spigoli di un alto edificio.
Esso si svolge in un moto continuo, s’immerge ed ondeggia nei fluidi, si sofferma solo un istante su ogni forma per poi scorrere, avanzando fino al margine estremo dell’orizzonte, fin dove è lo stesso occhio a trovarsi di fronte al limite di ciò dietro cui non si può più guardare, quell’estrema lontananza che le immagini del nostro spirito riformulano in una favola, in un mito d’immaginazione che percepisce più di quanto il nostro sguardo riesca a possedere tutto in una volta.
Può accadere lo stesso quando il paesaggio è raccolto e restituito dalla patina della pellicola fotografica?

Longobardo alla NEA: “intonare” colori e visioni dell'aria e della terra

I segreti mediterranei si svolgono in silenzio, e si riavvolgono nel colore. Le tele di Longobardo sono dolcemente bersagliate da questa materia leggerissima, ariosa, amena e poi, nella medesima opera, pure abbondante, densa, piena, ma comunque ancora (sempre) un po’ sfuggente. Sarà per il taglio dell’ “inquadratura”, sarà per la grazia ferma e scontrosa dei toni e delle tinte, i quali si incontrano su increspature palpabili, che emergono dal supporto e “schiumano”, toccandosi, talvolta, così come si toccherebbero gli argini in cima a due piccole onde sulla superficie del mare. Fatto sta che una consistente cifra di indefinitezza è mantenuta.

Ripartire dalla sostanza

L’arte in città che fa l’arte della città, può venir da pensare penetrando nell’ambiente espositivo. Arte non particolaristica ma che si attesta d’origine protetta. L’arte in città oggi prosegue a vele spiegate, come sempre, scorrendo sul filo della creatività e dell’approfondimento del e per il dato umano, sempre più avanti rispetto al movimento di promozione, di specificazione attenta e di sana e non invasiva classificazione atta alla chiarezza ed al coinvolgimento di fruitori. Ma la confortevole accoglienza e la diffusione delle occasioni di fruire di espressioni artistiche, saranno sempre un po’ meno lontane ogni qual volta verranno aperti spazi come quello, ormai rinomato, di Via Costantinopoli. Luoghi che s’impegnano per arrivare ad informare dei loro eventi e  delle loro proposte di qualità il più gran numero possibile di persone, democraticamente e piacevolmente.

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il Pickwick

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