“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Cristiana Folin

La terrazza sullo stretto

La scala era piccola, ma molto luminosa. Portava lentamente al piano superiore attraverso una bella porta intarsiata. Il profumo di incenso l'aveva investita non appena varcato l'uscio. Le piaceva quel retrogusto di non so che, sembrava di annusare il mare. Il legno degli scalini le scricchiolava sotto i piedi e la luce che entrava dalla finestra sopra di lei rendeva l'ambiente leggermente rarefatto creando un'atmosfera paradisiaca. Le venne in mente la Divina Commedia. La finestra sulla sua testa altro non era che un quadratone in vetro cemento che spiava dal tetto piano.

Una casa di edere

C'era gente che entrava e usciva. Usciva, perlopiù ed era bellissimo guardarli attraversare la vecchia porta sovrastata di edere a foglia larga e, benchè lei avesse sempre preferito la minuta vite vergine, provava ammirazione per quelle grandi foglie verde brillante e profondo. Gli stipiti erano stati mantenuti come in origine. Solo che ora erano lindi e levigati. Chissà, forse lo erano anche allora, ma come potremo mai saperlo?

Protezioni

L'odore delle lenzuola pulite e delle lacrime salate, un connubio perfetto. La pioggia, fuori, picchiettava sui vetri della camera da letto. Le era venuta voglia di lenzuola color rosa gessetto, chissà perché, e di federe a fiori lilla, viola e ciclamino, con foglioline verdi. Il motivo di tanto colore le era sconosciuto; notoriamente lei amava il nero, forse per quella storia che narra che fa fine e non impegna, che va bene su tutto. Che sfila, ma soprattutto perchè la faceva sembrare più magra. Si detestava da sempre. Oggi più che mai.

I porticati di Torino

Era Torino una sera di fine inverno. Due gradi a far compagnia al tramonto rosso violaceo. A volte ringraziava chi le aveva insegnato a coprirsi sempre molto: piumino lungo, nero, col cappuccio. Il viaggio era stato breve. In fin dei conti il suo piccolo paese distava solo un'ora o poco più dalla cittá. Ciò nonostante aveva dovuto fare appello a tutta la calma e relativi farmaci per affrontare il percorso, in silenzio e concentrazione. Avevano deciso di andare ad una mostra di giovani talenti allestita in un locale del quartiere San Salvario che da qualche anno si era trasformato in una sorta di Marais piemontese raccogliendo artisti del circondario, ma non ci erano mai arrivati.

Di polli, dischi e di Croazia

E ti ritrovi ad impiegare tre quarti d’ora per comprare tre fuselli di pollo e un paio d’etti di prosciutto cotto. Buono. Ma anche se fosse stato cattivo, il tempo perso sarebbe stato il medesimo. “Vado in palestra tutti i giorni, no, sa, io ho quarantasei anni e mio marito cinquanta, però gli altri mangiano veramente poco, no, perché, per rimanere magri basta non mangiare”. Auguri signora dal cappottino color ocra (ammirevole peraltro, con grandi bottoni tondi neri, lucidi, che mi ricordano le tanto amate rotelle di liquirizia. Per rimanere magri basta non mangiare, appunto). “No, sa, perché io giro molto con mio marito. Andiamo a ballare sul lago e a Bergamo. Però ci sono tutti questi ragazzi che si agitano e si abbracciano e sono anche un po’ sudaticci (sorride). Non potrebbero stare lontani?”.

Un volo inaspettato

Rimuginare ultimamente le dava fastidio. Doveva convertire l'incazzatura in qualcosa di utile. Scrivere? Fotografare? Cucinare? Ecco, avrebbe cucinato un bel pollo alla cacciatora. Anzi no. Le costolette di maiale allo zucchero di canna. Era troppo arrabbiata, le mani le tremavano mentre tritava l’aglio per la marinatura. Voleva ucciderlo. Se fosse stato qui l’avrebbe sicuramente preso a calci. Ma tanto valeva. E, soprattutto, ne valeva la pena? Eh. Mah. Eh. Mah. E tutti i ma del mondo.

Una serata impegnativa

“Devo andare in bagno”. La cena proseguiva spedita, ma lei aveva bevuto decisamente troppo. E poi aveva bisogno di un paio di minuti di pausa per rispondere ai messaggi. Questa cosa stava diventando peggio di un lavoro. Avere troppi galli nel pollaio era decisamente un toccasana per l’autostima, ma la stava snervando.

il Pickwick

Sostieni


Facebook