“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 13 January 2014 00:00

Il quarto nome

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A volte è solo una questione di tempi. La stessa azione muta forma, e senso, da un istante all’altro; però il nucleo resta integro. Vale anche per chi agisce. Gli uomini possono avere fini più nobili e l’illusione di essere migliori di chi li ha preceduti, ma il centro che pulsa e muove è il medesimo, è un fuoco acceso mille anni indietro e che mille anni dopo non si è ancora spento. È l’ambizione, il miraggio, il vantaggio, la voglia di vincere.

Se uno come lui avessero deciso di portarlo in Portogallo una manciata di secoli prima per approfittare dei suoi servigi, dei suoi muscoli e del suo fiato, avrebbero mandato qualcuno a prelevarlo dalla sua terra affacciata su un oceano per trasportarlo sulle sponde di un altro oceano e infine su quelle del Tago, con tutti i riguardi dovuti a una gemma rara, a un animale leggendario, a uno schiavo. E anche allora i nomi con cui è stato realmente chiamato, sarebbero stati gli stessi: la Perla nera, la Pantera nera, Eusebio.
È il 1960 ed è cambiato solo il come, non il perché. La tratta verso Lisbona non avvenne per mare, Eusebio Ferreira da Silva arrivò in volo come una gaivota, un gabbiano, e per portarcelo i portoghesi − uomini assetati di sentimento e di conquista come pochi, come pochi inclini forse per geografia forse per destino ad abbandonarsi al mare o a governarlo, per elezione schiavisti protetti da Dio − si servirono di un crogiolo, di due figli del passato, di due emissari inconsapevoli, di un mulatto elvetico-paulista e di un giudeo ungherese giramondo che era un Vasco da Gama, un ebreo errante capace nello stesso modo infallibile di ballare, allenare e lanciare maledizioni. Così, dove aveva fallito un italiano, Amoretti, riuscirono allora Josè Carlos Bauer e Bela Guttmann, a sradicare il ragazzo di Lourenço Marques, a toglierlo a sua madre e alla sua terra.
Ma è stato in quel momento che i secoli sono arrivati tutti insieme, che la storia è cambiata in un tempo infinitamente più veloce di quello usuale, che si è spostato il nucleo. Al ragazzo hanno dato un prato e lui non ha fatto che correrlo in lungo in largo, con lo stesso impeto del vento atlantico che lo avrebbe portato lì quattrocento anni prima, veloce come una pantera, come mai nessuno era stato capace di fare. Quando Eusebio correva nessuno poteva stargli dietro, e insieme a lui ha iniziato a farlo senza freno il suo mondo. Il Mozambico trovava la sua strana indipendenza da stato africano, Salazar finiva fuori gioco travolto dai nuovi schemi, il paese delle colonie diventava quello dei garofani. Ha corso; è arrivato.
Il quarto nome dello schiavo Eusebio è stato il Re. È il nome con cui è morto. Da padrone assoluto di se stesso, del campo, del mondo.

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