“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 26 November 2013 01:00

Questa non è l'America

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A Napoli i disastri si possono raccontare in molti modi, dall’asciuttezza della denuncia all’ironia del surreale di cui questa città è tanto prodiga quanto nell’elargire le disgrazie. Il testo di Antonio Menna Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, trasformato in testo teatrale dai registi Mauro Di Rosa e Pasquale Ioffredo, racconta per assurdo la stessa storia di quella del mago della Apple, ma tutta partenopea, di due giovani intraprendenti dei Quartieri Spagnoli, Stefano Lavori e Stefano Vozzini, che hanno un’idea geniale: produrre un computer veloce ed esteticamente bello. Un’idea vincente.

Nel 1982 in un garage nei vicoli bui e fatiscenti, i due amici vogliono realizzare un sogno, ma, come cantava David Bowie, This Is Not America. Siamo in Italia, anzi peggio, siamo a Napoli. Il che significa burocrazia, permessi, timbri, tutto un sistema farraginoso che soffoca lo slancio idealistico imprenditoriale. I due ragazzi si rivolgono alla banca che vuole garanzie, cioè quei capitali che i giovani non hanno, poi incappano in loschi faccendieri pronti a buttarsi al posto loro nella giungla della burocrazia a patto di essere pagati per pagare amici e conoscenti. Quando una ricca signora del Vomero un poco troppo alternativa sembra voglia aiutarli, ovviamente pronta a lucrarci, ecco che sorgono altri intoppi: la partita IVA, le tasse dagli acronimi più assurdi che purtroppo tutti conoscono bene. Se non è la burocrazia, ci sono le invidie, i marescialli corrotti. In un crescendo parossistico degli avvenimenti arriva lo stop definitivo, quello contro cui nemmeno la denuncia può opporvisi: la camorra.
Dove inizia a muoversi il denaro, gli avvoltoi calano in picchiata. E i due giovani, bastonati ed umiliati, devono dichiarare il proprio fallimento. In America Steve Jobs non solo è diventato miliardario, ma ha cambiato il mondo dell’informatica.
Al di là della storia che mostra la sua fragilità nel paragone surreale puntando tutto sull’ironia, ma perdendo il mordente della denuncia, i due protagonisti si mostrano abbastanza convincenti aiutati dai quattro narratori vestiti di nero che diventano a seconda delle circostanze gli interlocutori dei due giovani. Su tutti spiccano per preparazione e sicurezza scenica Pasquale Ioffredo e la giovane Demi Licata anche nella padronanza dei diversi registri dei personaggi che rappresentano.
La regia di Ioffredo e di Di Rosa risolve l’inevitabile problema del portare in scena un romanzo con una sua complessità di luoghi e di personaggi, usando tre stand pieni di abiti come una scenografia sempre mobile e sempre funzionale alla scena, diventando ora sipari, ora pareti, ora ingressi. L’occupazione fisica di tutto il palcoscenico per la durata della rappresentazione ha dato movimento e la regia è riuscita ad ottenere un’ottima sincronia tra tutti gli attori.
Tutto questo nel teatro Galilei 104 che riprende la sua attività dopo l’incendio a Città della Scienza, simbolo di una città che si ostina a non arrendersi.

 

 

Se Steve Jobs fosse nato a Napoli
dall'omonimo libro di Antonio Menna
regia Pasquale Ioffredo, Mauro Di Rosa
con Chiara De Crescenzo, Mauro Di Rosa, Pasquale Ioffredo, Demi Licata, Luca Lo Martire, Pierpaolo Stellato
costumi Francesca Filardo
disegno luci Pier Francesco Borruto
foto di scena Paolo Visone
produzione EnArt
in collaborazione con Le Nuvole – Teatro Stabile di Innovazione Ragazzi, Città della Scienza, Laila srl
durata 1h 20'
Napoli, Teatro Galilei 104 – Città della Scienza, 22 novembre 2013
in scena dal 22 al 24 novembre 2013




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