“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 24 November 2013 01:00

Gli specchi del sociale

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Piove ed un uomo arriva frettoloso su un letto pieno di foglie autunnali. È uno straniero, si trova in Francia e vive isolato per l’incomprensione della lingua e per le sue abitudini di vita diverse, da straniero appunto. Carlo Verre, attore che interpreta il monologo di Bernard-Marie Koltès La notte poco prima della foresta, vive in una condizione di limite e sembra davvero essere relegato ai margini del sociale, ai margini dell’umano ed ai limiti del mondo, in una foresta di foglie marroncine.

Il monologo tratta dell’inadattabilità sociale, vita vagabonda, senza soldi in tasca, se non per un caffè, incontri bizzarri, soprattutto con prostitute, l’ossessione del nostro personaggio: prostitute che muoiono ammazzate, prostitute che non parlano e se ne vanno senza spiegazioni.
La realtà bizzarra che viene descritta e ritratta è al limite anch’essa tra sogno e reale: tutti questi personaggi, di cui parla il protagonista, e di cui non si vede neanche l’ombra, sono fantasmi appunto o persone realmente incontrate? E tutte le storie che ci vengono raccontate, tante e varie, sono vere?
Non è importante quanto lo è, invece, l’energia e la richiesta di amore del protagonista. Il personaggio ricerca il calore dell’amicizia e dell’amore vero, ricerca un compagno, un altro essere umano che lo accompagni nella sua vita confusionaria.
La scena è allestita in maniera molto suggestiva: foglie autunnali appunto, specchi, ombrelli in alto da cui poi escono altre foglie.
L’attore, durante il monologo, che recita tutto d’un fiato rivelando una bravura straordinaria, si muove benissimo nella scena e, spesso, i movimenti riescono a donare maggiore perentorietà alle parole, soprattutto nello Spannung finale dove l’attore racconta di essere stato picchiato e maltrattato e mima benissimo i gesti fino ad accasciarsi a terra, dove ricomincia una lunga riflessione. L’utilizzo della musica serve a puntualizzare elementi salienti del testo, per poi provocare improvvisamente cambi di situazioni e l’inizio di altri racconti.
La valutazione degli uomini e delle cose che gli stanno intorno è dettata da un eccessivo atteggiamento di difesa che assume, fermo, il protagonista, rivelando così il suo bisogno di amore e fratellanza.
L’attore è sempre in grado di colpire lo spettatore con diversi ritmi di voce e movimento. La difficoltà e la velocità del testo potrebbero provocare nel pubblico uno “spaesamento”, ma invece non è così: il teatro riesce sempre a trasmettere i sentimenti più intimi di chi interpreta un testo teatrale. Ed infatti appare chiaro come l’attore senta realmente quello che sta recitando e lo rende partecipe alla sua stessa vita.
Il nervosismo e la frenesia che il personaggio denuncia sembrano aver assorbito anche lui che nervosamente cerca di accendere una sigaretta, non ci riesce, ci riprova dopo qualche battuta, l’accende e la spegne di nuovo frettoloso. Il riflesso di se stesso negli specchi che contornano la scena è davvero pesante da sopportare, riflettono ciò che non si vorrebbe vedere e rivelano i margini del proprio essere, ma il personaggio ci gioca continuamente fino ad eliminarli. Li mette a terra coperti dalle foglie, come se finalmente stesse decidendo di non giudicarsi più, di eliminare le fonti di sofferenza verso se stesso.
È la pioggia, l’acqua, l’elemento catartico che riuscirà a liberare il personaggio da questo sogno spasmodico del reale. Era una ricerca di dialogo o semplicemente un monologo rivolto alla ricerca di relazionarsi con il proprio io?
A tutto ciò si aggiunge profondamente una grande dolcezza nelle parole e nel volto del personaggio: l’opera di Koltès, infatti, è stata definita poetica e teatrale allo stesso tempo e non ci si spiega bene perché non abbia avuto molto successo in Italia. L’autore stesso, infatti, visse una situazione di complesso di inferiorità nei confronti della Francia, suo Paese ma non sua patria. I suoi testi parlano spesso di razzismo, inadattabilità sociale, di storie di stranieri. Viveva lui stesso da straniero in Francia.
Quindi il margine, il limite e lo specchio come metro di confronto con se stessi e con la realtà non sono da sottovalutare all’interno di questo monologo, ma credo che ne siano le linee essenziali. Non a caso il titolo dello spettacolo Ai margini della foresta ha sancito il volersi focalizzare soprattutto su questo aspetto dell’opera di Koltès. Il testo, considerato il capolavoro dell’autore, è davvero molto toccante e credo che Ai margini della foresta interpretato da Carlo Verre sia una libera ripresa molto toccante anch’essa, in linea con quanto voleva comunicare lo stesso Koltès.

 

 

 

 

Ai margini della foresta
liberamente tratto da La notte poco prima della foresta
di Bernard-Marie Koltès
regia e scene Tiziana Mastropasqua
con Carlo Verre
aiuto regia e disegno luci
Mario Autore
costumista Eugenia Gusmerini Ricci
durata 55’
Napoli, TINTeatro instabile Napoli, 22 novembre 2013
in scena dal 21 al 24 novembre 2013

 

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