“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 17 November 2013 01:00

La finzione della realtà

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Quattro donne, quattro caratteri e quattro possibilità di “spiegarsi il mondo”. All’inizio le vedi dietro uno schermo bianco, in fila, che si scavalcano, senza parole, solo il suono della musica introduce la prima scena di Oro a Forcella, il terzo capitolo de Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, in scena al Ridotto del Teatro Mercadante. Ecco che si presentano una ad una al pubblico, uscendo dall’anonimato ed iniziando la recitazione. Queste donne sono, infatti, in fila al banco dei Pegni a Forcella, in una delle zone più “caratteristiche” della città di Napoli. Sono donne del 2013 o donne del dopoguerra, quando la Ortese scriveva il racconto?

Non fa molta differenza: il desiderio di prevaricare l’altra, il mentire, il primato del denaro, la sottomissione religiosa sono concetti e sentimenti che non sono ancora mutati. Chi si trova in fila quella mattina per “impegnare” una catenina d’oro, chi una coppia di orecchini, chi addirittura il crocifisso, sono le donne del “paese di Forcella”, che riflettono su come vivere e su quanto conta la ragione nell’esistenza. La Ortese, in questo racconto, descrive e racconta le sensazioni generate dall’atmosfera di Forcella, i colori e gli odori, tipici di Napoli, i volti e gli atteggiamenti delle persone, le loro abitudini.
La regista, Alessandra Cutolo, ha voluto riportare queste stesse sensazioni attraverso le donne che hanno partecipato al laboratorio teatrale Piazza bella piazza e che poi hanno arricchito la scrittura scenica con il loro stesso vissuto. Infatti, le quattro tipologie di donne sono molto congrue alle descrizioni della Ortese e soprattutto partecipano sulla scena molto attivamente e creativamente, questo rende lo spettacolo ricco di sentimenti veri ed umani in cui, da uno spunto narrativo e letterario, le attrici portano se stesse e la loro vita.
Un vita non facile, ovviamente, dove non si naviga nell’oro e dove non c’è stata una grande crescita culturale, cosa che si traduce in una visione poco reale ed oggettiva del mondo.
Le protagoniste infondono tra il pubblico ilarità, ironia e divertimento e non si vergognano di esibirsi sul palcoscenico così come sono.
Tornando alla scena: tra le protagoniste, una, sembra essere piombata da un’altra dimensione. Cosa deve fare? Cosa deve vendere? Cosa racconterà per superare le altre donne in fila? Nulla. Lei riflette sulla società in cui vive e per cui serba profondo rancore: com’è possibile che gli esseri umani siano sempre così egoisti?
È forse lei il personaggio dell’Ortese, la voce narrante che, immessa nella scena, analizza e trae conclusioni da quello che vede e vive. Questo personaggio si difende con la sua logica e la sua morale, o almeno cerca di darsi spiegazioni, ma quello che le resta è solo lo scoraggiamento del fallimento.
Le donne, in fila, si raccontano, recitando le parole scritte dalla Ortese, e condividono il loro rapporto con il sorgere della vecchiaia e con una femminilità sfiorente, con il divino, creato a propria immagine e somiglianza (in direzione opposta al concetto religioso-cristiano).
Queste donne evidentemente soffrono, sono costrette ad agire in base a complicate situazioni familiari e distorti rapporti affettivi. Il mondo da loro vissuto è una personale costruzione della realtà in cui non c’è prospettiva di cambiamento perché l’unica cosa possibile è la rassegnazione: “Io non ho fatto niente, ho solo subito e mi sono dovuta proteggere”, potrebbero dire.
Durante lo spettacolo le scene sono intervallate da momenti coreografici, in cui le donne riescono a toccare sfere di mondi comuni e condivisi. E poi si ritorna alla realtà-finzione, in cui bisogna scambiare i ricordi con l’oro, con il denaro, unica salvezza pensata per ottenere la felicità.
La famosa “lente scura” della Ortese è, ovviamente, ben presente anche in questo racconto, dove  la scrittura scenica, affidata ad Alessandra Cutolo, è stata integrata con frammenti tratti da Corpo celeste, Il cardillo addolorato e Da Moby Dick all’Orsa Bianca ed importante è stato il contributo delle donne del laboratorio.

 

 

Il mare non bagna Napoli
Oro a Forcella
drammaturgia e regia
Alessandra Cutolo
con Antonella Attili, Toti Carcatella, Flora Faliti, Anna Patierno
costumi Zaira de Vincentiis
disegno luci Gigi Saccomandi
assistente alla regia, training, movimento  Daniela De Stasio
datore luci Fulvio Mascolo
fonico Italo Buonsenso
assistente ai costumi Elena Soria
sartoria Zambiano
materiale fonico Emmedue
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Teatro Stabile di Napoli
durata 45’
Napoli, Ridotto del Teatro Mercadante, 14 novembre 2013
in scena dal 12 al 17 novembre 2013

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