“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 11 November 2013 01:00

Posizione di tiro

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La rovesciata e il colpo di tacco nel calcio sono come i Beatles e i Rolling Stone nella musica, almeno per me, e quindi talonnade e Mike Jagger. La rovesciata è barocca, è un urlo, e infatti piace ai più. Il colpo di tacco è il silenzio nel caos delle aree di rigore. E io sono un tipo piuttosto silenzioso, votato alle cose impossibili – per dire amo l’Athletic Bilbao, da prima che arrivasse Marcelo Bielsa, mi basta sapere che non imbrogliano e che sugli spalti c’è una ragione sentimentale, anche sbagliata e minoritaria ma autentica. È come per le donne e i libri ognuno ha i suoi canoni.

Tra i tanti calciatori capaci di colpire il pallone con l’altra punta estrema del piede, c’era Rabah Madjer, algerino, anche lui come Hugo Sanchez, un dispari (ripeto la mia teoria sui calciatori, per gli assenti: ci sono giocatori definiti “pari” come Messi, Cruyff, Baresi, che non solo sono grandi ma hanno anche una squadra apparecchiata, poi ci sono i calciatori definiti “dispari”, cioè quelli bravissimi come Sanchez, Milla e appunto Madjer, che però non hanno la squadra, e poi c’è Maradona che squadra o no, importa poco, è fuori categoria, per dirla con Menotti: “quello che prende una banda e la trasforma in una orchestra”). Come due calamite accostate dalla parte respingente ci sono i colpi di tacco e il calcio di oggi. Il tocco è visto come sovversivo, e usato sempre meno. L’ultimo calciatore che lo esibiva con continuità è stato Crespo, quello che ogni tanto lo sfoggia è Zlatan Ibrahimovic, anche Del Piero ha fatto diversi gol di tacco, a Mancini ne riuscì uno memorabile, Socrates ne fece un tratto distintivo oltre la sua singolare cultura, e ognuno di voi avrà il suo calciatore col suo tacco e la sua rovesciata, però Rabah Madjer, che giocava col Porto, ne segnò uno al Bayern Monaco, in una finale di Coppa Campioni (poi fece anche il passaggio a Juary che consentì ai portoghesi di vincere, il tutto dal 75’ all’80’) e siccome conta molto il quando e il dove (il quel caso Vienna, Praterstadion, 27 maggio 1987, h.20,15), è quello che ho come immagine quando penso ai gol così. Il colpo di tacco è un gesto estremo, talvolta, l’ultimo tentativo possibile se non si ha il tempo di girarsi (annoso problema ricordato più volte da radio e tele-cronisti come “il problema di”), se non puoi tenere il pallone, e allora lo lasci passare tra le gambe e senza guardare – la porta diventa un luogo da percepire a orecchio, sensazione – colpisci. Ma per farlo, hai bisogno di avere confidenza col pallone, devi saperlo indirizzare, non c’è niente di peggio di un colpo di tacco mancato, anzi sì, una rovesciata mancata, sempre per via dell’urlo e del caos. Il colpo di tacco è l’ultima parte del giocatore che rimane in gioco in una azione da gol, per questo mi piace, è un gesto di classe ma anche di disperazione, piuttosto che lasciarla andare uno la colpisce con quello che rimane. Nel caso di Madjer, non era costretto a toccarla di tacco, poteva stopparla e poi tirare, invece la fece scorrere e senza esitare colpì col tallone. Gol. Ordine ristabilito in area di rigore e soprattutto nella partita più importante per club europei. Per dire uno come Inzaghi l’avrebbe stoppata e in mezza girata avrebbe segnato. Voi direte: sì, conta il gol. Invece, no, come anche come lo segni, quello di Madjer fu un gesto di bellezza e supremazia, non solo di eversione, anche di superiorità. Non ci sono tentennamenti, oscillazioni, non ci pensa, lo fa in modo naturale, rendendo normale quello che è un gesto eccezionale. Eppure riceve un passaggio scomposto da Juary toccato anche dal difensore del Bayern, Hans Pflügler, nel disperato tentativo di opporsi. Madjer scalcia con una leggerezza memorabile, quasi con disinteresse – sembra Mourinho in conferenza stampa – per quanto è sicuro di sé, eppure in porta c’era Jean-Marie Pfaff, e lui la mette nell’angolo destro, quello più lontano. Il calciatore algerino era calcolatamente disposto a segnare un gran gol: rende unico il suo gesto  – una arbitraria peripezia fuori dagli schemi, direbbero oggi – e con poca fantasia i giornalisti sportivi (di allora) gli affibbiano il soprannome Tacco di Allah. Quello è un gol che uno si aspetta da un brasiliano non da un algerino. Il colpo di tacco è un gesto teso allo squilibrio dell’avversario ma che richiede un grande equilibrio tra corpo compiente e palla. È un rivolgimento, che va fatto sulla fiducia che uno ha in se stesso, è un dribbling da fermo, perché si elude l’avversario senza saltarlo, il gesto si fa azione. Il tacco è un segreto, che si esibisce con misura, in un sistema di gambe.  Un colpo che consolida l’insostenibile. È il passo che separa il calciatore dal mondo, perché ci sono palloni che portano lontano e allora hanno bisogno di tocchi delicati, a Madjer quella sera, a Vienna, ne capitò uno così, e lui non perse l’occasione.

http://mexicanjournalist.wordpress.com/2012/03/16/posizione-di-tiro/


Marco Ciriello, nato il 1975, scrittore e giornalista, ha pubblicato i seguenti titoli: In corsa (L’Ancora del Mediterraneo, 2004); Qualcuno era venuto a turbare il nostro cuore (Pequod, 2006); Tutti i nomi dell’estate (Effigie, 2009); Grande Atlantico. Cargo ship stories (con M. Vittoria Trovato, LetteraVentidue, 2010); Pace alle acque (Mephite, 2010); SanGennaroBomb (Mephite, 2011); Il Vangelo a Benzina (Bompiani, 2012).
Il suo blog è mexicanjournalist.wordpress.com.

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