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Saturday, 19 October 2013 02:00

Notte di città

Written by 

di Antonio Nazzaro
(racconto più votato dalla giuria popolare nel concorso di racconti erotici "Ame Erotique")

Diluisco le mie mani sulle tue labbra che scivolano nella notte sui lampioni dondolanti a cercare di confondere le stelle. Ti stringo come luna chiusa alla finestra e afferro il respiro che ferma la notte. Mentre il ponte è schiena che s'abbandona allo scorrere del fiume, sono correnti che tagliano il silenzio degli occhi-finestra in un sorriso.
Scorre sul corpo d'asfalto come taxi che scruta la notte, cadono le vesti in un gesto che si fa sguardo di metro danzante. Sente l'umido della notte correre sul corpo, vicolo che toglie il fiato. Lo sfiorare sono fari che passano e si fanno scie a disegnare strade sconosciute.

La lingua di lei disegna mappe tracciate dalla pioggia e dai fari d'auto che illuminano alla finestra il guardare degli occhi chiusi. Avida è la notte della sua bocca. Resta un lenzuolo sfilacciato di parole. Non ci sono mondi ma corpi ansanti e solo parole di carne.
Caracas è un lento passare d’auto che accarezza le vie. L’Avila disegna le nuvole intorno alla luna.
Le dita uniscono nei come le fermate della metro la città, i corpi s’inumidiscono, sale la nebbia da sotto le carezze. Le strade sono un sospiro che alza la gonna e gli alberi dei viali si piegano al passare lento dei baci di tram che hanno perso i binari e disegnano nuove rotte.
Cedono alla meraviglia della notte che a tentoni cerca cammini a occhi chiusi e illuminano l’aprirsi sotto le lingue d’asfalto i corpi. Sono cavi paralleli che si mangiano semafori lampeggianti e volano bassi sopra la città che si mostra aperta e dura alle bocche che assaporano il non aver parole. Le mani stringono e graffiano dolce la notte che è un gemere di freni e tacchi sconosciuti che danzano.
Caracas è un sussurro portato da taxi. L’Avila tiene sospeso nell'aria il cadere delle foglie.
Lo scarto della metro è un ribaltamento dei corpi e gli occhi sono nude finestre contro la parete. L’ombra di lei scala il muro ansante, sale lento l’autobus il tunnel accarezzando a uno a uno i neon che aumentano il ritmo dell’andare. Mani forti tremanti sostengono il ballare della strada che non si ferma mai e i ponti lanciano da una sponda all'altra respiri amorosi.
I taxi portano stelle alle finestre. Le tende si alzano al colpire dei corpi e ricadono sul letto che si fa città. Seduta muove l’orizzonte del corpo di lui fino alle sue palpebre e più in là dove vola la metro attraversando il calore notturno.
Caracas è una carezza lunga fino al mare. L’Avila si piega.
Gli alberi nascondono gli sguardi dei lampioni, ombre e luci disegnano mani dalle unghie smaltate e il mancorrente della metro si fa fune di nuovi equilibri. Lui morde la schiena come le ruote i binari, una mano luce intermittente guida il cammino, l’altra corre tra piazza e viuzza senza trovare una fermata ma solo grida affogate in un lungo gemito che morde l’asfalto.
S’incurva la schiena come un cavalcavia a mettere un tetto a un nuovo cielo e le braccia sono barriere che vanno all'indietro e aprono la luce al dritto tuffarsi della strada, il corpo s’appoggia sulle labbra di un morso che si fa sorriso.
Caracas è un grattacielo che cerca di raggiungere il soffitto. L’Avila dolce retrocede a sostenerlo.
Un vento caldo sale da sotto il letto, inginocchiata la bocca-finestra risucchia l’ansare della notte che sembra non avere alba. Le mani di lei graffiano come rami il passare dei tram nei viali. Dondola la testa come semaforo al vento mentre l’altra mano di lui afferra la parete come a trattenere l’istante, ma dolce e frenetica scende la metro nella galleria che gocciola pioggia amorosa.
Saltano i tombini, indugia un momento la città, mentre dolci e forti le unghie smaltate penetrano la notte che d’improvviso tenta di raggiungere le nubi e poi ricade a sostenersi nei capelli che muovono l’aria. Sono sguardi sospesi, gli occhi di sopra non vogliono arrendersi, quelli di sotto hanno sorriso di bocca e lingua danzante.
Caracas è il barcollare della città all’umidità che sale dall’asfalto. L’Avila si mantiene in equilibrio guardando l’avvicinarsi dell’orizzonte.
Danza la città fino al limitare delle periferie. Le braccia di lui cercano di sostenersi alle ombre dei lampioni e dei fili anelanti che seguono il ritmo. Le labbra voraci mangiano ogni stella e riempiono ogni angolo della città che non ha fuga e nemmeno la cerca.
Crolla sull’asfalto e con le gambe avvolge la bocca che sorride negli occhi, e le unghie smaltate tappano il gemito del ponte lanciato verso il cielo. Si fa macchiata di bianco la notte sulle labbra avide e le lingue s’incrociano a mangiare l’ultimo lembo della città che con occhi dolcemente sfilacciati li lega all’asfalto ansante.
Caracas è la mia mano che vede accarezzare la tua. L’Avila è lo specchio amoroso che ci guarda in un sorriso di mare.

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