“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 18 October 2013 02:00

Oggetto nelle sue mani

Written by 

di Gennaro Morra
(2° classificato concorso di racconti erotici "Ame Erotique")

La benda sugli occhi avrebbe aggiunto altra disabilità al mio corpo già privo di equilibrio e massa muscolare, ma non ne ero spaventato.
Lucio mi aveva messo a sedere sulla sponda del letto, sfilandomi gli occhiali dal viso per deporli sul comodino accanto. Lì aveva trovato la striscia di lattice nero già pronta, ma prima di appoggiarmela sulla faccia mi aveva fissato per pochi secondi dall'alto dei suoi 180 centimetri: la stringeva tra le mani, tenendo ben tesi i lunghi lacci applicati alle due estremità. Sembrava volesse strangolarmi.

"Sei sicuro?", mi aveva chiesto con tono non troppo preoccupato per un mio eventuale ripensamento. La mia testa aveva annuito. Le braccia, invece, le avevo volute libere; la cecità mi sembrava già un elemento di forte trasgressione per un novellino come me. E ora che potevo solo immaginare le grandi mani di quell’uomo sconosciuto allacciarmi la benda dietro la nuca, mi stavo convincendo che fosse davvero quello il livello massimo di perversione che potevo concedermi. E invece mi sbagliavo. Lucio, con voce morbida, aveva ordinato di non muovermi; io non potevo che ubbidire. Ascoltai le suole delle sue scarpe di pelle nera battere sul pavimento, mentre si allontanava; poi un cassetto si aprì e si richiuse rapidamente in un angolo della stanza.
"Stai tranquillo. Questo è un regalo per te", disse, avvicinandosi di nuovo.
Deglutii in fretta un rivolo di saliva che stava per cadermi dalla bocca, gettando all'indietro il capo in un sussulto. Ero talmente rigido che il collo stava iniziando a farmi male. Mi sentivo più spastico che mai.
"Non ti faccio nulla. Tranquillo!", mi assicurò ancora, avvertendo la mia tensione.
Le sue mani tornarono a sfiorarmi il viso. In quell’istante maledii la scelta di ritrovarmi in quella casa una seconda volta e quella stupida idea di farmi bendare. Sfidare ancora il destino nel giro di pochi giorni non era stata una buona idea. A soccorrermi fu il ricordo di una conversazione sul sadomasochismo che avevo avuto in chat qualche settimana prima con la ragazza: "Un sadico non prova alcun piacere nel far male a chi non gode della sua violenza", aveva scritto. E io le avevo spiegato chiaramente che non amavo il sesso brutale. Non sarei andato con lei per farmi picchiare.
Per fortuna Lucio mi aveva solo infilato qualcosa nelle orecchie. Forse erano tappi che avrebbero dovuto rendermi sordo, non ne ero sicuro. Se dovevano servire a quello, erano inutili, perché riuscii a sentire ancora i suoi passi andar via e la porta della stanza aprirsi e richiudersi lentamente. Seguirono attimi di silenzio. Infine, i miei timpani furono accarezzati dalle note di un pianoforte e capii che nelle orecchie avevo degli auricolari. Dopo poco, la musica cominciò a sfumare e in primo piano sopraggiunse la voce di Chiara: "Ciao tesoro! Non immagini quanto sono contenta di ritrovarti. Ti sono mancata? Quanto mi hai desiderata?".
Aveva registrato la sua voce e ora mi stava parlando in differita. Quel colpo di genio mi aveva spiazzato e speravo fosse frutto della sua perversione.
Chiara sembrava una come tante, la classica ventenne molto appariscente e superficiale, invece aveva qualcosa di speciale: la sua vita aveva deciso di sacrificarla al fuoco sacro del piacere. Per appagare il suo uomo avrebbe fatto di tutto, ogni desiderio di Lucio per lei era un ordine. Io stesso ero un ordine.
L’avevo trovata in una delle tante chat che frequentavo, mondi virtuali in cui ero libero di muovermi e conoscere tutta la gente che volevo. Cercavo soprattutto donne, ragazze disinibite che non si facessero spaventare dal mio handicap. Le mettevo subito al corrente della mia particolare condizione per fare una prima selezione: quelle che non scappavano meritavano di essere corteggiate. Chiara non solo era rimasta a parlare con me, ma fin dalle prime battute si era mostrata deliziosamente curiosa, spigliata, indecente al punto giusto da non risultare volgare. Faceva un mucchio di domande sulla mia menomazione fisica, sulla mia capacità più o meno elevata di fare sesso con una donna. E più lei chiedeva, più io mi gasavo perché in fondo volevo proprio quello: farle capire che ero un uomo, nonostante tutto.
Io non ero da meno. Volevo conoscere quel mondo oscuro, lontano anni luce dal mio. Volevo capire da dove nascesse la sua voglia di sottomissione, come si potesse essere felici rinunciando alla propria libertà. Mi aveva spiegato che il suo era un assoggettamento psicologico più che fisico e che cedere il controllo della propria vita nelle mani sicure del suo uomo era stato l’atto più liberatorio che avesse mai compiuto.
Io non capivo, ma il tutto mi affascinava. E mi chiedevo perché Lucio le avesse ordinato di venire a letto proprio con me. "Lui mi ha solo chiesto di far vivere una bella esperienza a qualcuno nelle tue condizioni, ma sono stata io a scegliere", aveva precisato. "Mi piace il tuo modo di porti. Mi ha colpito la tua intelligenza e la tua sensibilità. Credo che staremo bene insieme".
Quelle parole avevano fatto crollare definitivamente il mio muro di diffidenza, già reso pericolante dalla visione delle sue foto pubblicate su un sito dedicato al sadomasochismo, che visitavo tutti i giorni da quando me l’aveva segnalato, dove era ritratta in abiti di latex.
Così, dopo più di un mese di chiacchierate telematiche, avevo accettato l’invito a prendere un caffè da loro giusto per conoscerci, per capire se ci fosse feeling. Mi ero fatto accompagnare da un amico che mi aveva infilato nell’ascensore di un palazzo antico del centro storico, guardandomi salire verso quello che speravamo fosse il mio paradiso.
In verità non m’aspettavo che succedesse granché quel pomeriggio. Dovevamo fare quattro chiacchiere informali, ma speravo che almeno a un certo punto il padrone di casa ci lasciasse soli, concedendo a me e a Chiara un attimo d’intimità. La mia speranza non era stata disattesa: dopo mezzora di conversazione in salotto, a Lucio era venuto in mente che aveva un’importante telefonata da fare. Lo avevo visto sparire dietro una porta, mentre Chiara sorrideva compiaciuta.
"Allora? Sono carina come in foto?", mi aveva chiesto, alzandosi dal divano di fronte a me e avanzando lenta. Ondeggiava su dei tacchi 12, fasciata da un vestito di pelle rossa che le arrivava poco più sotto dell’inguine. Giunta a un passo da me, si era bloccata con una mano poggiata su un fianco e mi fissava con un’espressione interrogativa.
Senza respirare, avevo fatto una carrellata del suo corpo: dai polpacci bianchi e rotondi fino al caschetto di capelli neri, passando per i fianchi appena larghi e il ventre un po’ sporgente. Un metro e settanta di audace sensualità che mi aveva tolto il fiato. Quando ero riuscito a riprendere il respiro, dalla bocca mi era uscito il complimento più banale che potessi rivolgerle:
"Sei bellissima!".
Allora lei aveva appoggiato i glutei sul bracciolo della poltrona dov’ero seduto per farmi sentire il sapore delle sue labbra. "Voglio la lingua", mi aveva sussurrato, chinandosi su di me. Sapeva che non avevo mai baciato una donna in modo così profondo e quello era stato il suo primo regalo.
Poco più tardi Lucio mi aveva riaccompagnato a casa. Avevo lasciato quell’appartamento con dentro un senso di vuoto, ma con la sua promessa che ci sarei tornato presto. Infatti, la chiamata era arrivata due giorni dopo e questa volta Lucio era venuto a prendermi fino al portone del mio palazzo. Lo avevo presentato ai miei come un amico di amici che voleva portarmi a bere una birra, ma quella sera mi avrebbe offerto molto di più.
Mi aveva condotto nel suo appartamento, fatto accomodare sul suo letto e ora nelle cuffie la sua donna mi stava raccontando di essere stesa tra quelle lenzuola, vestita solo di un corsetto di lattice rosso. Seguirono lunghi gemiti, che stuzzicavano la mia fantasia: la immaginavo distesa sul materasso, dietro di me, intenta a sfiorarsi i piccoli seni; poi le mani scivolare giù, lungo il ventre fasciato da quel materiale lucido, fino a raggiungere il suo interno cosce.
Per diversi minuti restai immobile e in silenzio, ascoltando quei suoi sospiri. A interrompere quella catalessi fu la percezione che qualcuno si fosse seduto accanto a me, alla mia destra. Voltai la testa verso quel lato e due mani me la fermarono con dolcezza. Sentii una lingua premere contro le mie labbra, violandomi la bocca.
Intanto nelle orecchie i mugugni di Chiara non mi erano più comprensibili, la sua voce ora suonava come una litania d'estasi e piacere.
Ero sicuro che fosse lei a baciarmi. Benedetta ragazza! Stava compiendo il prodigio dell'ubiquità: era nel reale e nel virtuale contemporaneamente. Stava per possedermi completamente: la mente e il corpo sarebbero stati suoi nello stesso momento. Una dimostrazione di onnipotenza dinanzi alla quale la mia resa fu incondizionata. Ormai ero un oggetto nelle sue mani, nient’altro. Ci mise poco a capirlo e a portare a termine il suo disegno perverso.
Mi appoggiò una mano sul petto, l'altra scese lungo il collo e si fermò al centro della spina dorsale. Mi sentivo un passerotto prigioniero di quelle mani da bambina. Mi spinse all'indietro con dolcezza, adagiandomi sul materasso. Negli auricolari mi arrivavano le sue grida di godimento. Corse a sfilarmi i calzoni, le mutande si limitò ad abbassarle quel tanto che bastava per ottenere ciò che voleva.
Iniziò ad accarezzarmi la cappella già gonfia con la lingua calda e umida, mentre le mani si muovevano con maestria lungo l’asta. Poco dopo, sentii la bocca avvolgermi il membro e un sussulto di dolore e piacere mi fece inarcare la schiena, ma lei proseguì imperterrita, accelerando il movimento della testa. Si placò solo quando ebbe la percezione che ero pronto a entrarle dentro.
Sedette sul mio ventre e prese a cavalcarmi come fossi stato un puledro di razza. Ero inerte. Nelle orecchie lei stava ansimando, il ritmo accelerato del respiro sembrava annunciare un imminente amplesso.
Anch'io c'ero quasi vicino e lei dovette capirlo, perché smise di cavalcarmi e strinse fortissimo i muscoli vaginali. In quel momento la benda mi venne strappata dalla faccia e le pupille, tornate alla luce fioca della stanza, schizzarono fuori dalle orbite. La contrazione dell'orgasmo mi fece indurire gli addominali, tanto da riuscire a sollevarmi con la schiena di qualche centimetro. Il mio sguardo di godimento andò a schiantarsi negli occhi di Chiara, che fissavano Lucio con devozione. Io ero stato solo un oggetto per il loro piacere.

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