“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 02 October 2013 02:00

Inversione a U

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Il tono indescrivibile da ragioniera venticinquenne che hai usato nel pronunciare quelle parole... ok, un quarto alle sette, alla cena penso io, nel frattempo che fai… un senso vicino alla nausea mi ha invaso lo stomaco.
Ma poi siamo davvero ritornati come una coppia di fidanzati qualsiasi. Ero tranquillo perché credevo che mi avrebbero chiamato nel frattempo. Quando invece ho visto la tavola apparecchiata per due, ho capito che non sarebbe andata così bene.

Sei stata a fare shopping... di scarpe, scarpe costose, le più costose, scarpe raffinate, che imbarazzo quando ho visto quei pacchi sopra il divano. Ecco chi investe il frutto del lavoro. Vestiti, creme per la pelle… lo stipendio a che serve, sennò? In fondo, te la sei guadagnata la paghetta mentre io perdo tempo a giocare all’intellettuale di sinistra... cosa credo di fare con una laurea umanistica... il mantenuto fino a trent’anni non a caso... e guarda come vado in giro.
Però insisto, con me stesso più che ad alta voce: da ragioniera del cosiddetto indotto, pari, pari ti sei comportata. Compri abiti carini e le crisi passano. Dopo pretendi di fare grandi discorsi. Ti ascolto a cena mentre parli di come si affronta la vita. Se non fossi a casa direi: no guarda, me ne vado... mi sono annoiato, perché è in situazioni così che capisco di non avere alternative, che sono ridotto soltanto a un involucro sbiadito.
Invece ringrazio, mangio con gusto, non era neanche male, e mi ritrovo semi-sdraiato, a guardare con te una stupida trasmissione sul tradimento: Ma gli uomini e le donne tradiscono nello stesso modo...? Tu hai mai tradito...? L’uomo, se sai cucinare, se ti tieni, se sai fare questo e quest’altro, non scappa... stai tranquilla che non scappa!
Ora che ti sei tolta la camicetta di Prada e indossi una t-shirt che sembra la tavolozza di un pittore, m’infastidisce quel ciondolare di collane, bracciali e cavigliere. E pensare te l’ho regalata io ’sta roba, che se resti sotto un acquazzone prende la ruggine. Per fortuna la chimica macina, rende ignari e l’umore fa inversione a U: ho già voglia di spogliarti e lasciarti in attesa, baciarti dal collo all’ombelico, centimetro per centimetro facendo con le labbra uno slalom fra i ninnoli. Mi piace misurare il crescendo della tua eccitazione, se fosse voce somiglierebbe a uno scongiuro, perché un po’ devi bramarmi. Sono sicuro che riuscirai a dare il giusto ritmo a perline, opali e pietre un po’ grezze, cozzanti fra di loro sul corpo nudo, e tirerai fuori una scopata tahitiana, afro-cubana, qualcosa di primitivo.
“Ehi, ma cosa pensi?”.
“A… Gauguin”.
“Gauguin?”.
“Lui che prende, parte, fugge, se ne naviga nei mari del sud. Scelta forte”.
“Cosa c’entra adesso?”.
“Scusa, ero confuso da un’idea… esotica. Poi ho letto La luna e sei soldi di Maugham e… te lo consiglio”.
“Ma da cosa dobbiamo fuggire? Tanto poi si rientra alla base, perché uno come te rientra alla base”.
“Allora parliamo di alcune idee per l’immediato futuro. Tipo di come vorrei scoparti”.
“E come, sentiamo?”.
“Tieniti addosso questi ciondoli”.
“Poi?”.
Poi è successo che hai alzato la maglietta, sei sempre molto tonica, proporzionata e il tuo culo è perfetto, e nel giro di un minuto rifiutata mentre credevo di essere arrivato al momento della pomiciata strappa reggiseno. Ci siamo osservati, tu hai riso e mi hai detto che volevi vedere, senza specificare cosa. Al tuo “facciamo l’amore” mi sono dimenticato che avevo perfino comprato i preservativi. La tua mano sui pantaloni. La mia che stropicciava insieme labbra e mutande. È tutto più facile quando porti la gonna.
Mi sono sbottonato e ho cominciato quasi meccanicamente a fare quel movimento. Ci siamo abbracciati e baciati, senza pensieri, ma i nostri sguardi non erano né troppo lunghi né troppo intensi. Cosa credevi di trovare in me? Quello delle lettere e dei miei diciassette anni? Quello che neppure io ho mai conosciuto? Esiste solo la camera, nello stesso disordine di stamani, tanto per accentuare il disagio. E nessuno telefona. Ti sei girata, sai che mi piace e… beh alla fine l’aria era zeppa di umori e sudore.
Mentre me ne vado in bagno, mi cade lo sguardo sulla tesi, l’unica cosa tangibile e allo stesso tempo fittizia, inservibile, che tuttavia posso toccare a piacimento, con quella sua rilegatura spigolosa. Sono sicuro che dopo, prima di addormentarci, ti chiederò di riporla sulla mensola e spero tu lo faccia con delicatezza. Come una madre, o come io stesso, con un bambino nella culla.

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