“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 05 October 2013 02:00

Le conseguenze del sonno

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Bevi che sei felice, sai

E tienila se puoi

Bevi che sei alla fine ormai

Scolora gli occhi suoi

 

La nottataccia passata stanotte è stata la peggiore di tutta la mia vita. Freddo terribile, paralizzante, poi improvvise vampate di calore e quei maledetti pallini che si accalcavano agli angoli del soffitto. Mi sono messo a letto che avevo circa 38 di febbre, ma durante la notte la temperatura è salita fino ai 40 e oltre. Ad un certo punto mi ha preso come una sorta di delirium tremens, soprattutto quando la tachipirina ha iniziato a fare effetto. Mi sono svegliato in un bagno di sudore e ho iniziato a vedere degli strani movimenti sotto la parete del soffitto. Erano dei pallini neri che si accumulavano uno sull’altro fino a formare una macchia di sporco che si addensava tutta negli angoli. Ho provato più volte a cambiare posizione, ma ogni qualvolta lo facevo, mi prendeva un freddo terribile nelle ossa. Di dormire, poi, neanche l’ombra. Non facevo che pensare alle conseguenze del mio sonno, come se addormentarmi, con tutto quel male che mi circondava, fosse un atto da irresponsabile. Di tanto in tanto, il sorso d’acqua per rinvigorire la gola secca mi faceva raggelare tutto. Alla fine ho detto basta. Mi ero stancato di subire una tale tortura, tanto vale, ho pensato, abbandonarsi completamente al male per accettarlo così da superarlo. È così che sono morto!

Mi sono spogliato nudo, la stanza era gelida (o almeno lo era per me). Ho lasciato che i brividi mi divorassero, dopo un paio di minuti terribili è arrivato un quarto d’ora di paralisi. Il mio corpo era diventato una lastra di ghiaccio. Ero in ipotermia, sono morto praticamente surgelato nel mio letto. Ad un tratto mi sono visto disteso nel talamo funereo come se il vero io fosse altrove. In effetti ero davvero altrove, mi trovavo sotto il soffitto, poi ero diventato quella chiazza di sporco all’angolo, ed ora ciò che state leggendo è solo il mio pensiero. Ma la cosa davvero strana è che sono finito nelle dita di questo signore che sta scrivendo la mia storia. Sì, avete capito bene: sono nei suoi polpastrelli che battono velocemente le lettere della mia morte. Non riesco proprio a spiegarmelo, è successo così, istantaneamente. Nel momento in cui sono finito nelle sue mani, lui ha iniziato a scrivere questo racconto, o se preferite, nel momento in cui ha iniziato a scrivere il racconto, sono finito nelle sue mani (io però preferisco la prima). Il fatto è che non mi va questa condizione, cioè voglio dire, stare nelle mani di un tizio, uno sconosciuto per giunta, non è il massimo. Ma al di là del fatto che sia uno sconosciuto o meno, è proprio la condizione di per sé che non mi va affatto. Il tipo, prima o poi, dovrà pur farsi una sega, dovrà pur pulirsi il culo, non so se mi spiego. Insomma, devo assolutamente trovare un sistema per venir fuori da qui. Forse il lettore mi potrà aiutare: provate a commentare una soluzione per me, per favore. Questo imbecille vorrà sicuramente pubblicare questa sorta di racconto da qualche parte sul web, ebbene a quel punto potreste suggerire delle idee per liberarmi. Io vi prometto che vi leggerò. Però intanto devo darmi da fare, con tutto il rispetto, caro lettore, non posso aspettare la tua folgorante soluzione. Se riuscissi ad ucciderlo, o almeno convincerlo ad uccidersi. Sapete, le mani possono molte cose. C’è una teoria che asserisce che se l’uomo è diventato ciò che è diventato lo deve alle mani, alla sua facoltà di trasformare le cose in oggetti prensili e dominarli usandoli. È una teoria affascinante, ma come la metto in pratica? Tra l’altro, sapessi caro lettore, ora che ci sto passando un po’ di tempo mi accorgo che si sta creando una sorta di relazione telepatica con sto scrittore da strapazzo. Mi arrivano dei flash, una sorta di formicolii alle mani che mandano l’informazione al mio intelletto, di lui ed il suo lavoro. E sapete che lavoro fa il nostro caro scrittore? Gestisce un sito pedopornografico! Non che sia un pedofilo, no. È un mago dell’informatica, lo fa semplicemente per vivere. Praticamente un gruppo di pedofili italiani gli ha commissionato sto lavoro, allestire e proteggere il sito dai controlli della Polizia Postale. A lui sembra non importare minimamente, ma forse all’inizio non era così. Quando gli commissionarono il lavoro si fece qualche scrupolo, ma quando sentì 5.000 euro al mese cancellò ogni indugio. Ora è più di un anno che ha questo impiego. Nel tempo libero scrive racconti, il più delle volte riguardanti personaggi miserabili che cercano una qualche seppur minima forma di riscatto che risollevi la propria dignità. La sua donna l’ha lasciato anni fa portandosi via suo figlio. Ah, è alcolizzato. Già me lo vedo, dopo aver scritto questo delirio finirà quella bottiglia di scotch che è sul tavolo e si addormenterà sulla sedia. Spero solo non vomiti. Sappiamo tutti poi a chi toccherà pulire. No, devo assolutamente venir fuori da queste mani. Aspetta, cosa vedo su quella mensola?! Ma sì, è una pistola, e se l’intuito non m’inganna dovrebbe anche essere carica. Sì, ma come faccio a prenderla? Questo continua a scrivere, non si ferma più. Forse quando avrà finito avrò il tempo per sollevare il braccio ed afferrare la pistola, puntarla alla testa e bang! Sì, farò così. Buona idea. Chissà però dove finirò. Provo una certa nostalgia per quell’ammasso di carne sudata che ero fino a stamattina e che ora giace puzzolente nel letto di casa. Non ne provo affatto per quel lerciume che ero diventato quando mi sono trovato sotto il soffitto. E queste mani invece? Beh, queste mani, dopo lo scenario che mi sono prefissato, non vedo l’ora di abbandonarle. Ecco, credo abbia quasi finito. Appena toglie le dita dalla tastiera farò quel che deve essere fatto, non c’è altra soluzione. Magari gli concederò di versarsi ancora un goccio nelle budella e poi bang. Mi sembra la giusta riconoscenza a chi mi ha ospitato per qualche minuto nel suo corpo. Sì, questo è il finale giusto. Ora che ci penso però mi viene un dubbio: e se io non fossi altro che il frutto della mente dell’autore? Un semplice personaggio di un racconto strampalato? Che lo vogliate o no, cari lettori, la scelta ormai l’ho presa, del resto non credo che quella pistola sia lì in bella mostra per caso. Perciò, non vi dispiacete troppo per il vostro autore, queste sue mani non possono pagare il peso della mente. Io potrei anche essere il frutto di una fantasia, oppure è il nostro scrittore ad essere il risultato di un mio sogno. Le conseguenze del sonno e l’accettazione del male. Fa molto freddo qui, meglio scaldarsi con un altro goccio. Non ho altro da aggiungere.

 

Eccomi di nuovo

Silenzioso e inquieto

Ubriaco e solo

Senza più un pensiero

Ingoiandoti di più, nel vuoto e poi più su

Il mio canto sa di te defunto dentro sé.

Tornerai di nuovo

Gradazione zero

In balia del siero

Tutto quel che ho dentro me è inferno senza te

La mia sbornia crescerà e sempre sete avrà.

 

Che tu lo voglia o no, queste dita sono pulite, queste mani sono bianche e candide. Non pensare però, caro lettore, non farlo nemmeno per un attimo, non credere che lo sia anche la mia mente. Questo cervello è sporco, marcio. I miei neuroni sono quei pallini di merda che si accumulano agli angoli dei soffitti delle nostre case. Non credere ch’io possa avere pietà di te. Non confondermi con il tuo desiderio di bontà, con la tua sete di giustizia. Se vuoi un consiglio, ascolta questo: spegni tutto e vai a dormire, e goditi il tuo sonno di uomo buono. Sempre che tu lo sia. Per quanto mi riguarda, io ho finito qui. Non più davvero nulla da aggiungere. Lasciamo soltanto che gli ultimi spasmi trovino sfogo in queste maledette dita. Lasciamo che i nervi completino i loro movimenti ultimi e regalino il finale di questo atto di dolore. Lasciamo? Beviamo! Forse dormiamo.

 

Ingoiandoti di più, nel vuoto e poi più su

Il mio canto sa di te defunto dentro se

La mia sbornia crescerà e sempre seta avrà

Quanta gioia o Demone, finito tutto è.

Sputa che sai di bile, sai e vomita se vuoi

Sputa che sei alla fine ormai, carezza ancora lei

Sputa che poi non pulirai, né obblighi né guai

Sputa tutto quel male, dai la pace dentro noi.

Bevi che sei felice, sai

E tienila se puoi

Bevi che sei alla fine ormai

Scolora gli occhi suoi

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