“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 05 September 2013 02:00

Quando si sogna, da dove viene la luce?

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"Sopra il deserto avvengono le aurore. Qualcuno lo sa".
Jorge Luis Borges

 

Il deserto come metafora dell'anima. Il viaggio come metafora della conoscenza. Il doppio in cui specularmente riconoscersi per poi, come un serpente, abbandonare la vecchia pelle e indossarne una nuova. Prove e riti di iniziazione che muovono i tuoi passi, come un cavaliere alla ricerca del Santo Graal, verso l'ignoto di te stesso per uscire dalla tenebra interiore nel misticismo di un silenzio che si fa luce.

"Tutte le strade portano nello stesso posto" dice il protagonista, ed è vero e falso allo stesso tempo, perché tutte le strade portano allo stesso posto ma quel posto è ogni volta diverso così come è diverso il nostro approccio con il mondo.
Chi è Gerry? La pellicola di Gus Van Sant ci mostra Gerry (Matt Damon) e Gerry (Casey Affleck) partire a piedi nel deserto verso un dove che non sanno e non siamo neppure certi se vogliono. La sicurezza del primo si rispecchia nella fragilità del secondo. Un'amicizia e due vite di cui non ci è dato sapere nulla e di cui non importa sapere nulla là, nel deserto, dove non conta tutto ciò che sei stato ma solo quello che in realtà sei.
Due Gerry o un Gerry solo, quello che resta alla fine. Quello che (r)esiste. In questa prova terribile che contrappone il bambino all'adolescente, l'adolescente all'adulto, in una immersione nel profondo delle paure che il deserto rappresenta, palcoscenico naturale e metafisico in cui i dialoghi rari, circa dieci minuti su 103' totali di film, e degni di un teatro dell'assurdo si rincorrono qua e là apparentemente senza senso.
Chiudi gli occhi e apri l'anima. Questo ti verrebbe da dire.
Ed è forse il blu il colore dell'anima? È questo che viene da credere guardando lo sfondo blu di un piano sequenza di oltre sei minuti, il pianoforte scarno di Arvo Pärt, ed eccoci come proiettati nell'atmosfera estraniante e mistica di una istallazione luminosa di James Turrell in cui gli unici materiali sono la luce e lo spazio. Il deserto contenitore vuoto dell'esperienza del vuoto. Respiri pesanti voci della natura e silenzio. Ci si inchina al mondo nel primo giorno del mondo, qui dove non esiste più il tempo. Ci si inchina alla morte nella naturalezza di ciò che la morte è ancora lontano da tutto ciò che serve a negarla.
Primi piani e campi lunghissimi. Lentezza. Inizio. Fine.
Resta poco di una vita racchiusa fra questi due punti. Restano due occhi sbarrati verso il cielo.
Presentato al Sundance Film Festival e al Toronto Film Festival, due nomination agli Independent Spirit Awards (regia e fotografia), Gerry è stato distribuito in pochissime copie e non è mai uscito in Italia. Primo film della "Trilogia della morte" di Gus Van Sant cui avrebbero fatto seguito Elephant e Last Days, è certamente il meno conosciuto ma anche il più intimamente puro poetico e sofferto. Bravissimi in tal senso sono Affleck e Damon, coautori, assieme al regista della sceneggiatura. Un film che è anche un gesto d'amore verso chi, come il regista ungherese Béla Tarr (che riceve un ringraziamento speciale nei titoli di coda), fa del cinema lo scandaglio dell'anima.


http://www.youtube.com/watch?v=Uhp1-TxjEh0

 

 

Retrovisioni
Gerry
regia Gus Van Sant
con
Casey Affleck, Matt Damon
produzione Jay Hernandez, Dany Wolf
distribuzione
Miramax
sceneggiatura: Gus Van Sant, Casey Affleck, Matt Damon
fotografia Harris Savides
montaggio Gus Van Sant, Casey Affleck, Matt Damon
musiche Arvo Pärt
paese USA, Argentina
anno
2002
lingua originale
inglese
colore
colore
durata
103'

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