“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 26 August 2013 02:00

Dell'amigdala. Ovvero elogio filosofico del ricordare

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"Questo io conosco e sento, / Che degli eterni giri, / Che dell’esser mio frale, / Qualche bene o contento / Avrà fors’altri; a me la vita è male".1
È di tal genere il lamento pronunciato dal pecoraio del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi. Cosa provochi tanto dispiacere è detto dallo stesso autore poco oltre: "O greggia mia che posi, oh te beata, / Che la miseria tua, credo, non sai! / Quanta invidia ti porto! Non sol perché d’affanno / Quasi libera vai; / Ch’ogni stento, ogni danno, / Ogni estremo timor subito scordi; / Ma più perché giammai tedio non provi".2

Ad una prima lettura appare evidente il concetto maggiormente sottolineato: a provocare dolore è il tedio, e l’invidia è nei confronti della capacità del gregge di non provare tale sensazione. Eppure non è solo così: una seconda lettura lascia trasparire, finalmente, il vero elemento culminante, che Friedrich Nietzsche evidenziava ad apertura del suo Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in una parafrasi – e una rilettura – filosofica della poesia leopardiana: "L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito quel che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicché l’uomo se ne meravigliò".3
Ecco il punto focale, ecco il vero pungolo, ecco la "scheggia nelle carni", ecco il fardello che ogni uomo deve portare inesorabilmente con sé. Ecco, infine, la nuova saggezza silenica: meglio per l’uomo sarebbe non nascere, se ciò è impossibile bisognerebbe − come minimo − morire il prima possibile; se anche ciò dovesse rivelarsi infattibile, almeno si dovrebbe dimenticare. Ma il punto è proprio questo: l’uomo non dimentica.
Dovremmo allora fondare una sapienza diversa da quella di Sileno – per noi irraggiungibile o, se pure raggiungibile come fu per re Mida, praticamente irrealizzabile.

 

Le strutture della mente

 

Questa nuova sapienza umana deve fondarsi sulla conoscenza profonda della memoria: del suo ruolo, delle strutture preposte a garantire il ricordo. E finalmente, su queste basi, sarà possibile chiedersi se il dolore sia davvero parte integrante della nostra capacità rimemorativa.
Ma prima bisogna restringere il nostro sapere: ciò di cui parliamo, in effetti, è solo la memoria a lungo termine.4
La memoria è, da questo punto di vista, la capacità di codificare, accumulare e recuperare nel tempo i dati registrati. Chiaramente non possiamo codificare ed immagazzinare tutto: la nostra mente vaga da un elemento all’altro del reale e non può – per limiti intrinseci alla natura umana – soffermarsi su ogni singolo aspetto di una determinata situazione; l’oblio, in un certo senso, effettivamente esiste: le informazioni usate raramente vengono progressivamente eliminate dalla mente.
Entrambi i processi, di immagazzinamento e di oblio, sono gestiti dalle strutture del prosencefalo. Quest’area del cervello è divisa in corteccia cerebrale e strutture subcorticali. Gli elementi più importanti di queste ultime sono: talamo, ipotalamo, ipofisi, ippocampo, gangli della base e amigdala.
L’amigdala è ciò che ci interessa. Essa svolge un ruolo centrale nei processi emozionali e nella formazione di ricordi: questa “mandorla” – dall’etimologia del suo nome – attribuisce significato e importanza ad eventi inizialmente neutri che si sono associati a punizioni, ricompense, paura o dolore.

 

I ricordi lampo

 

Per questo essa assolve un compito importante nella nascita dei cosiddetti ricordi lampo, ovvero di reminescenze legate ad immagini o situazioni fortemente dolorose o scioccanti. Queste immagini della memoria sono particolarmente persistenti anche se col tempo tendono ad essere sempre meno precise. Le indagini condotte con la PET5 hanno evidenziato che, nel mostrare a soggetti sani delle foto, un alto grado di attivazione dell’amigdala è un ottimo fattore predittivo del successivo ricordo delle immagini. Ciò avviene perché l’amigdala influenza il rilascio degli ormoni correlati al dolore e allo stress i quali mobilitano il cervello e il corpo preparandoli a far fronte ad eventuali minacce. Sembra dunque che l’amigdala sia capace di suscitare in noi l’immagazzinamento dei dati attivando gli ormoni che ci consentono di rispondere agli eventi che procurano grandi stress emozionali e di ricordarli, per questo, in maniera vivida.

 

Conclusione

 

Ed ecco che ci sentiamo nuovamente schiacciati, avviluppati in un tessuto di ricordi paurosi, stressanti, scioccanti. Paradossalmente, la natura ci ha fatti in modo tale che, pur rincorrendo ogni momento la felicità, abbiamo un organo preposto alla registrazione del dolore ma nessuna parte del corpo predisposta a fare lo stesso per il piacere.
Ciò ha evidentemente un valore evolutivo: rifuggire il dolore è ciò che può assicurare il mantenimento della specie. Eppure non sembra questa la sapienza umana da poter contrapporre al silenico "Meglio non essere mai nati". Non si può eliminare il principio artistico-dionisiaco col principio scientifico-darwiniano senza sentire ancora una volta quel dolore che cerchiamo di dimenticare.
Forse la strada percorribile non è quella dell’oblio. Forse è possibile essere ancora felici della vita, così com’essa è. Forse il dolore, da un punto di vista artistico questa volta, non è altro che il ricordo della vita e, in quanto tale, il regalo più dolce che riceviamo da essa; la conferma che essa è ancora lì ad accoglierci e che, in fondo, è ancora preferibile essere nati.

 

 

 




1) G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (vv. da 100  a 104), in ID., Opere (Vol. I), Torino 1966, p. 144.

2) Ivi (vv. da 105 a 113), pp. 104 e 105.

3) F. W. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, tr. It. S. Giametta, Milano 2007, p. 6.

4) Non vengono prese in considerazione la memoria sensoriale (divisa a sua volta in iconica ed ecoica), la memoria a breve termine e la memoria lavorativa. Per questa e le altre informazioni psicologiche confrontare D. L. Schacter, D. T. Gilbert, D. M. Wegner, Psicologia generale, tr. It. E. Alessandrini, S. Ferraresi, E. Frezza, G. Zunica, Milano 2010.

5) Tomografia ad emissione di positroni, una tecnica di neurovisualizzazione che grazie all’iniezione di una sostanza radioattiva innocua permette di rilevare il flusso di sangue nel cervello.

 

 

 

Giacomo Leopardi
Opere (Vol. I)
U.T.E.T., Torino, 1966
pp. 444

 

Friedrich Wilhelm Nietzsche
Sull’utilità e il danno della storia per la vita
traduzione italiana a cura di Sossio Giametta
Adelphi, Milano, 2007
pp. XV – 105

 

Daniel L. Schacter, Daniel T. Gilbert, Daniel M. Wegner
Psicologia generale
traduzione italiana a cura di Emanuela Alessandrini, Silvio Ferraresi, Elisabetta Frezza, Giovanna Zunica
Zanichelli, Milano, 2010
pp. 520

 

 

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