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Tuesday, 11 December 2012 16:28

Ucciderò Roger Federer (parte 4)

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4. Intermezzo e delirio. “Il mio nuovo caro amico… eccolo qua: il signor Risentimento!”

Non era andata propriamente così come si era prefissato. Niente niente niente.

Durante il colloquio non era stato ucciso nessun Roger Federer, neanche uno e neanche per un istante, ma soprattutto (ed era questo che lo rendeva pensieroso, ma pensieroso non in maniera consueta perché il nostro eroe non era né particolarmente disperato né rabbiosamente triste e non rifletteva neanche tanto sul suo ennesimo fallimento, “ci si fa l’abitudine a tutto!”, ripeteva saggiamente a se stesso di tanto in tanto, ma era pensieroso in maniera cupa, oscura e si sarebbe detto tremenda, si sarebbe quasi potuto dire che il suo sguardo incuteva timore se il piccolo signor F, anche quando ferocemente nervoso e forse a maggior ragione, fosse stato capace di far paura a qualcuno e di non suscitare un riso soffocato tra gli astanti, ma – ed è compito nostro raccontarlo – una strana assenza di luce e di riflesso spegneva sempre di più il suo sguardo, non si trattava di qualcosa di immediatamente percepibile da chicchessia ma di qualcosa che attimo dopo attimo consuma la luce e non permette agli occhi di riflettere i colori e le immagini, qualcosa che si rende visibile soltanto allo sguardo prolungato e attento di un caro amico o forse di un genitore – qualora le persone, padri e figli, amici e amici, riescano ancora a “guardarsi” con attenzione, ovviamente – in poche parole, almeno così sembrava, un primo passo, ma decisivo, verso la scomparsa definitiva) e nonostante tutto lui non ci aveva neanche provato, quello era mentre passeggiava il suo più grande problema, quella era la causa del Risentimento che spegneva il piccolo signor F e che lo accompagnava fianco a fianco lungo la strada, che gli dava quel saporaccio alla bocca, che gli faceva sentire quello strano languore allo stomaco, sì! stava divenendo giorno dopo giorno il suo inseparabile amico, “il mio nuovo caro amico… eccolo qua: il signor Risentimento!” avrebbe potuto dire se lo avesse riconosciuto, con le sue occhiaie profonde, il sorriso sconcio e i denti mangiati dal tartaro, il signor Risentimento con la sua rabbia costante e abitudinaria, con la sua squallida volontà di rivalsa, con i suoi osceni tentativi di rivolta, il mite signor Risentimento, questo vero e proprio male del nostro tempo, questo piccolo e minuscolo esserino che si insinua e che fa fare la guerra contro gli altri, ma soltanto verso quelli proprio come noi, lui ammette soltanto “guerre fra poveri” sennò non ha senso provare Risentimento, lui, il signor Risentimento che ci perseguita quando siamo costretti a osservare le vittorie degli altri come noi, che si accomoda con noi quando la notte non si riesce a chiudere gli occhi o quando si riesce a chiuderli e compaiono i pensieri plasmati in immagine della giornata appena trascorsa, immagini deformate di persone come noi ma stranamente felici, persone come noi ma stranamente offensive nei nostri riguardi, persone come noi ma fortunatamente alcune sono un po’ più povere di noi e speriamo pure che vadano in rovina “e si è pure permesso di farmi notare questo e quello”, “ha addirittura osato dirmi che poi questo e quello”, “quello e questo”, “questo e quello”, persone sempre come noi ma fortunatamente già sempre peggio di noi, peggio, sporche, peggio, lacere, peggio, che puzzano di merda, peggio, i barboni senza casa né cibo, “e sì che loro se la sono proprio meritata!”, “almeno io ci provo a lavorare”, “almeno io mi lavo la mattina prima di scendere”, “io sì che me la faccio la barba e la pelle liscia del mio viso è linda e profumata”, “io sono meglio di loro”, meglio, io sono pulito, meglio, io ho una casa, meglio, io ho più o meno un lavoro, meglio, “una bella vampa” questo suggerisce nelle orecchie indebolite il signor Risentimento, “una bella vampa” di zingari, di negri, di ebrei, di chicazzovuoitu!, “una bella vampa” e la nostra vittoria finale, ma in quale gioco? nessuno lo sa e così cresce questo benedetto esserino, si nutre di ogni energia vitale, distrugge ogni possibilità di amicizia o di comunità, do ogni partecipazione, se ne sta lì dentro di noi e attende e sa attendere a lungo bisogna pur dire, non ha fretta, non ha alcuna fretta, e attende un po’ in disparte, non è una presenza ingombrante il signor Risentimento, modesto e di basso profilo, è timido e poco invasivo, e attende e attende nel fondo della nostra minuscola animucola moderna, attende per poi uscire fuori allo scoperto, per uscire fuori al momento opportuno e sì che sa cogliere sempre l’occasione, la tempestività è la sua indubbia virtù, per poi coprire gli occhi di chi lo subisce con la cataratta dell’invidia, con l’opacità di un delirio di potenza impotente per colpa di quello o di quell’altro, ma soprattutto questo infido esserino (ma poi, come si è detto, cresce) impedisce ogni forma di analisi e di comprensione, costruisce nemici dove non ci sono, è cieco nei confronti di chi si dovrebbe combattere, ecco insomma il piccolo signor F stava anche lui cedendo, lo sguardo si spegneva, ogni vera e vitale animosità andava dileguandosi, soltanto quella rabbia inespressa e senza referente sembrava restargli attaccata addosso, una rabbia sicuramente mite, di quelle che covano nel silenzio della notte e nel sorriso offerto al salumiere, di quelle che se proprio devono esplodere allora bisogna spaccare la testa alla moglie o fare una strage, una strage di chiunque si trovi dinanzi, di questi e di quelli, se poi sono negri di merda è ancora meglio, che poi vengono qua a prendersi il nostro lavoro e che cazzo vengono a fare?, di quelle di cui sentiamo il profumo ogni volta che osserviamo chi “sta meglio”, insomma quel subdolo Risentimento stava strisciando anche all’interno del nostro piccolo eroe, puro e semplice, persona per bene e fieramente convinto e resistente, un piccolo cedimento era già all’orizzonte, altro che “Roger Federer”, il caro amico di tutti noi è il “signor Risentimento”, lui è l’eroe veramente significativo dei nostri tempi, altro che “Uccidere Roger Federer”, qui si tratta di far vivere e riprodurre il nostro caro amico “signor Risentimento”, e il piccolo signor F la sentiva proprio questa presenza ingombrante, la sentiva a fianco, dentro e sopra di sé, naturalmente non era capace di darle un nome ma poi più lucidamente e scientificamente riteneva di aver localizzato il suo male all’altezza del duodeno (che ultimamente gli dava problemi), insomma il nostro eroe era proprio tormentato, pensava che sarebbe bastata una dose di impegno maggiore e l’avrebbe superato quel maledetto colloquio, ma di impegno vero, di impegno adeguato allo scopo, di reperimento dei mezzi adeguati all’ottenimento dello scopo, ci sarebbe voluto un rigore razionale e una determinazione rinnovata e vincente, ci sarebbe voluta una nuova veste, un’accettazione totale di questo mondo, un’accettazione senza se e senza ma, non di quelle per cui, diciamo la verità, uno vuole anche sottomettersi alla necessità di adattamento ma poi inconsciamente oppone resistenze ed entra in quei vortici chiamati “crisi”, e così poi giù a considerazioni di carattere psicanalitico, “è una persona sensibile” dice uno e l’altro gli risponde “sì, ma questi non sono tempi per la sensibilità, i giovani d’oggi sono troppo fragili”, “lo so bene” riprende un po’ pensieroso il primo mentre il secondo “purtroppo dobbiamo adattarci, e per chi non si adatta abbiamo inventato un bel po’ di cosucce”, “e così sia, o la forza d’animo o le nostre pozioni magiche” dice il primo e il secondo gli fa eco “e così sia”, e poi queste cose il piccolo signor F le conosceva fin troppo bene, una volta (anzi ben più di una volta!) si era recato dallo psicologo all’ambulatorio dell’ASL più vicina (a dire il vero non si tratta di uno psicologo granché, non faceva particolarmente onore alla sua categoria, “ha le mani piccole e troppo lisce” aveva immediatamente notato il piccolo signor F), e lo psicologo gli aveva chiesto tante cose e lui aveva risposto non troppo diffusamente e in maniera decisamente timida, e così non andava bene gli aveva detto perché essere reticenti e non raccontare gli eventi fondamentali del proprio vivere (“in parole povere se non racconti una buona dose di fatti tuoi” traduceva il piccolo signor F) non permette di determinare la posizione principale, il luogo della “crisi”, non permette di identificare alcun trauma, non permette di identificare come trauma qualcosa che invece è vissuto “come se niente fosse” (insomma il piccolo signor F era confuso, doveva ordinare la propria vita, doveva trovare quel trauma e così cominciava a odiare quello psicologo dalla voce suadente e a disprezzare ancor di più quella sua vita senza traumi tanto evidenti da giustificare i suoi fallimenti), il buon psicologo con quel bel sorriso che (e il buon psicologo ne era convinto) comunicava serenità e partecipazione (“glieli spaccherei tutti quei maledetti denti bianchissimi” aveva pensato il nostro eroe che non ne poteva letteralmente più), persona a cui il piccolo nostro eroe si era affidato per chiedere aiuto (e poi, bisogna pur dirlo, aveva mentito e raccontato cose che pur denotando una discreta fantasia e capacità mimetica da parte del nostro erano veramente difficili da credere) non sapendo neanche lui precisamente il perché (“qualcuno me lo deve aver suggerito, ma chi?”), e allora il buon psicologo si era insospettito e gli aveva detto una volta “perché mentire a chi ti vuole aiutare?” (in realtà al nostro psicologo non piaceva lo sguardo del nostro eroe, temeva sinceramente per lui e per la sua salute e sanità mentale), e poi lo aveva mandato dallo psichiatra e quello, che era una persona seria e anche simpatica (“aveva le mani robuste e ruvide”, raccontava alla madre), e che soprattutto riteneva di aver compreso ancora meglio la situazione, gli aveva dato delle medicine a dir il vero non troppo pesanti o invasive e il piccolo signor F le aveva pure prese per un bel po’ senza pensarci troppo su e si era sempre più convinto che “in questo mondo senza chimica non si campa”, e “che male c’è a prendere qualche farmaco? mica lo psichiatra è uno spacciatore di narcotici?”, “a lui non importa imbottirti di farmaci, a lui interessa soltanto renderci tutti adeguati allo scopo” (ripeteva alla madre, in quel periodo, e lei un po’ rasserenata socchiudeva lievemente gli occhi e si assopiva appena appena), “lui sa bene” riprendeva “che se le cause a monte non possono essere affrontate e se il mondo non può essere trasformato, è pur giusto trovare un modo per far campare in maniera (più o meno) ordinata anche chi è reticente”.

La madre per un periodo aveva temuto che il piccolo signor F fosse se non innamorato, perlomeno ammaliato dalla potenza evocativa di quello stregone moderno, eppure in quel momento il piccolo signor F non riteneva che la causa del suo fallimento fosse proprio la sua debolezza psichica, “basta! basta!” aveva urlato silenziosamente nella sua mente, “io non sono malato”, perché era convinto che la colpa non fosse sua (e su questo noi in quanto osservatori neutri dobbiamo però dargli ragione), ma che fosse colpa di tutti gli altri (e su questo noi dobbiamo dissentire, anche perché si poteva già notare che camminava a braccetto con il signor Risentimento), e non poteva sopportare l’idea di quella donna, Miriam, che si era presentata al colloquio e che si era posizionata proprio alla sua sinistra, i cui vestiti sembravano esplodere e le cui tette enormi e come ridondanti di cellulite sembravano dover far saltare di lì a poco il bottoncino che solo e stoicamente resisteva su una magliettina paillettata di coloro rosso come il fuoco della passione e non sopportava soprattutto lo sguardo dell’intervistatore, sguardo che si liquefaceva e che emanava untume, che indugiava (come del resto anche quello del piccolo signor F) su quel particolare invogliante, oppure il sorriso di quel ragazzo, “Alex, se non mi sbaglio, ma perché cazzo non si fa chiamare Alessandro?”, il quale sì d’accordo aveva dei denti bianchissimi perché evidentemente poteva permettersi la sbiancatura, e che vestiva con quella falsa eleganza che tutti noi potremmo acquisire, “basta andare in un discount qualsiasi come piazza italia e si trova tutto quello che vuoi” avrebbe insistito con la madre, e poi era anche alto, ma chi è alto non deve necessariamente sorridere e guardare dall’alto verso il basso gli altri, “e poi proprio lui doveva posizionarsi alla mia destra?” e così il piccolo signor F si era trovato stretto tra la tettona e il belloccio e giù così in considerazioni sempre più articolate che denotavano un grande spirito d’osservazione e un’efficacissima capacità descrittiva e camminando e pensando, pensando e camminando, il signor Risentimento che era lì al fianco suo era divenuto sinceramente più alto, era assolutamente visibile anche a occhio nudo, tutti, se lo potessero vedere e se soprattutto esistesse in sembianze umane, se ne sarebbero accorti, oramai era anche un po’ più alto del nostro piccolo signor F e insieme avanzavano passo dopo passo.

Insomma, non era andata propriamente così come si era prefissato. Niente niente niente. Durante il colloquio non era stato ucciso nessun Roger Federer, neanche uno e neanche per un istante. E forse soltanto questo meritava di essere raccontato ma la disordinata facondia del narratore è esplosa senza alcuna possibilità di controllo.

 

 

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