“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 06 December 2012 22:48

Silenzio o del significato del rumore

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C’è sempre un modo per raccontare qualcosa. Del resto è il modo umano di rapportarsi all’esistente, di creare relazioni, di sviluppare connessioni, che è capace di questo ed è soltanto in quella dimensione che costruisce metafore e racconti, che lavora su stessa come sul mondo, che si crea la possibilità del nuovo ed è soltanto in quella folle attitudine che si costruisce quel mondo umano (troppo umano, forse) che è la nostra specifica realtà. Ma tutto questo potrebbe sembrare fuorviante in questa nostra piccola “narrazione” (sì! noi concepiamo la nostra scrittura sempre e comunque come narrazione), ed è invece essenziale perché quello di cui abbiamo provato a fare esperienza oggi è stato il silenzio o, come suggerisce il titolo dell’esposizione, afonia, assenza di suoni, assenza di suoni che si costituisce come produzione polifonica di sensi altri e che racchiude una ricchezza (e una lentezza, nel senso chiaramente positivo del termine) di possibili significati, liberando la nostra grigia e burocratica quadratura esistenziale.

L’organizzazione della serata è assolutamente suggestiva e lavora a creare quella percezione che dovrebbe costruire il silenzio – e attenzione: il silenzio non è assenza di suoni ma è modo plastico di percepire senza suoni strutturati, così come il buio non è assenza di forma e luce ma possibilità percettiva di produrre forme altre – e così a introdurre l’inaugurazione viene invitato un ensemble a “suonare” il silenzio, quel silenzio che tanto sconvolse e suggestionò il mondo della musica sessant’anni fa, a suonare in parole povere quel 4’33” di John Cage, il “silenzio” che non è mai tale, perché nel silenzio si espongono nuove forme di sonorità, il proprio corpo in primo luogo, i battiti del cuore, il sangue che circola e pompa costantemente e nonostante il “silenzio”, e nelle performance live la possibilità di sentire il tossire di qualcuno o il sussurrare o anche il muovere nervosamente una gamba o il manipolare e accartocciare un foglio di carta. E tutto questo perché il silenzio ha qualcosa di inquietante, qualcosa che necessita di essere riempito, e noi questa sensazione l’abbiamo percepita nell’aria, durante quell’esecuzione, che è durata appunto quattro minuti e trentatré secondi, secondi e momenti lentissimi e lunghissimi, un senso di dilatazione e il rumoreggiare inconsapevole che riempiva e imbarazzava l’(anti)esecuzione.

Poi si è dispiegato dinanzi ai nostri occhi il lavoro artistico di Raffaele Boemio, artista efficace e concreto (lo dimostra la “tecnica mista” delle sue tele), artista che fa sul serio e che ha cercato di raccontare il silenzio, forse il “suo” silenzio, un silenzio che non può essere né soltanto una tela bianca né soltanto questo foglio sul quale stiamo scrivendo lasciato in bianco, il silenzio di Boemio è nutrito di visioni che come piccoli baluginii visivi riempiono l’assenza plastica di ciò che non sarà mai completamente silenzio. E così tra il vociare delle persone e il rumore dei passi che calpestano il suolo di questa bella sala del Complesso Monumentale di Santa Chiara, si ergono su tele dalla serena impostazione cromatica, una testa nera e cupa e densa che produce nello spettatore l’immane presenza di noi stessi a noi stessi, oppure si erge un uccello che si alza in volo o un’esplosione (sì! questo noi vi abbiamo visto) che lascia macerie ai propri piedi, macerie concrete e tangibili, ciò che rimane dopo che il fragore e il boato hanno bucato i timpani, dopo che le distruzioni hanno continuato a devastare il nostro mondo. Ci sono anche sculture, però: dal Pensiero cerchiato (ferro, ottone, specchio) nel quale si intravede un uomo in bilico con braccia spalancate sulla punta di un grosso fallo, a Gola (terracotta, specchio, semi naturali, legno, plexiglass, ottone) nella quale un uomo estremamente stilizzato, si affaccia su una grossa teca dove sul fondo giacciono ricchezze di nutrimento.

Dopo l’immersione in questo silenzio (in realtà l’ensemble accompagnava gli “spettatori” con musica, potremmo dire, soft – ricordiamo Girl from Ipanema) e soprattutto dopo qualche bicchiere di eccellente vino, ce ne torniamo verso casa e ci immergiamo nel frastuono di una metropoli, che ama il rumore fino a coprire anche gli spari che ammazzano e le storture che l’attraversano, pensando, perché anche nel rumore è possibile il pensiero, che il silenzio ha senso soltanto perché esiste il rumore e che quell’esperienza ha potuto avere un valore proprio perché, per contrasto, ha potuto ricordarci tutto il frastuono che ci circonda, quello vero, quello prosaico, quello che ci accompagna vuoi o non vuoi tutti i giorni da qualche tempo ormai, che va dall’impossibilità di trovare un lavoro (il rumore delle “urla” dei disoccupati) all’impossibilità di una cultura libera e di un futuro accessibile (il rumore delle “urla” dei ragazzi che giustamente, anzi giustissimamente, sfogano la propria rabbia nelle manifestazioni ormai quotidiane).

Insomma il silenzio, questo silenzio, può farci comprendere ancora meglio il “senso” del rumore.

 

Afona

di Raffaele Boemio

Complesso Monumentale di Santa Chiara

Napoli, dal 6 dicembre 2012 al 6 gennaio 2013       

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