“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 16 May 2021 00:00

“Lucifero!”

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“Lucifero!”: un grido lacrimevole si scompiglia col sommesso vociar di un vento inestinguibile.
Dall’inarrivabile sommità di una torre troneggiante sul mondo, mille pianti e strilla di un bambino si riversano pietosamente nel vuoto.

“Lucifero! Dove sei?!”. Nessuna risposta è data al bambino, se non un perenne ululato vorticante intorno alla torre, la quale è, dal vuoto, innalzata vertiginosamente così in alto che l’orizzonte plumbeo si confonde con la terra sottostante. Non è semplice comprendere la reale altezza dell’edificio: si perde la vista al solo guardarne gli sconfinati lineamenti del mondo di sotto.
“Lucifero!”: altri pianti richiami provengono dall’ultimo piano della torre, laddove ai quattro angoli sono posti dei pilastri, i quali sorreggono un soffitto tanto eminente. Non vi sono porte o finestre all’ultimo piano, ma gli ambienti interni comunicano direttamente con l’esterno, permettendo così il passaggio del vento, il quale turbina nella torre con tanta foga da infreddolire la famiglia stremata che abita la vetta dell’edificio. I corpi martoriati dal vento sono coperti da una lunga veste di stracci logori e unti.
“Dove sei? Lucifero!”: il bambino non smette di chiamare l’amato fratello scomparso nel vuoto. Qualcuno lo ha preso, portandolo via tra le nuvole.
“Cosa strilli, Leone? Perché sei solo? Dov’è tuo fratello?”. Il padre del ragazzo afferra per i capelli il figlio, lo guarda in volto e dopo averlo scrollato, volge lo sguardo a destra e a manca, dopo di che, come persosi in qualche pensiero lontano, abbandona la mano dal capo del bambino. Sono entrambi s’una balconata che si affaccia nello strapiombo. Non vi è alcuna balaustra a proteggerli dal vuoto.
“Non farmi ripetere due volte. Dov’è tuo fratello?”. Il bambino non smette di frignare. La voce tremante si perde tra i singhiozzi e le lacrime: “Lucifero è volato via! Un angelo lo ha preso e lo ha portato nel cielo!”.
“Un angelo?”.
“Sì! Lucifero ha dato la mano all’angelo e sono volati via!”.
“Lo hai visto, questo angelo? Lo hai visto con i tuoi occhi?”.
“No... papà”.
“Allora come puoi dire che è stato un angelo a prendere tuo fratello?”. Il padre è furioso: gli occhi increduli e la bocca sogghignante lo trasformano in una vera maschera d’ira. L’uomo è un adulto tarchiato con la barba nera non troppo folta e dalle sopracciglia spesse e corrucciate. Un vecchio cappuccio ricopre il suo capo. Delle rughe qua e là esprimono l’irritazione e la paura sul volto del genitore. In un angolo una donna – la madre – osserva con occhi minuti il marito e il figlioletto senza fiatare. Non osa avanzare verso il bordo estremo. Il padre continua a guardarsi in giro senza dir nulla: improvvisamente gli ritorna alla mente il patto violato con Dio.
“Dimmi, come sai che Lucifero è stato preso da un angelo?”.
“Lucifero mi ha dato questo foglio...”. Il padre afferra il foglio dato dal figlio. Fatica a leggerne il contenuto, poiché le raffiche di vento agitano la mano dell’uomo e ciò che egli stringe. L’animo gli è assai inquieto e non rabbrividisce più per il freddo ma per la scomparsa del figlio. Si avvicina alla moglie e chiedendo al figlio di coprirlo col proprio corpo, onde evitare di far svolazzare il foglio, ne legge il contenuto:
“Padre. Perdonami perché ho peccato. Ti ho disubbidito. La notte mi avventuravo nella biblioteca dei segreti ai piani inferiori della torre, benché mi dicessi di non farlo. So bene che è pericoloso andarci, quel posto è come un labirinto, ma non ho resistito. Volevo scoprire il mondo e sapere la ragion per cui la nostra famiglia è rimasta confinata quassù, senza possibilità di comunicare col mondo. Ho letto tomi, libri sconosciuti. Mi avevi insegnato a leggere tempo fa, quando ero piccolo, ricordi? Ma poi mi hai proibito di studiare, perché ti turbò la mia troppa curiosità, la stessa che ti ha portato a rinnegare Lui. So bene quello che è successo. L’ho letto nei testi nella biblioteca. Tuttavia ti perdono e spero che tu possa fare altrettanto. Ora se stai leggendo questo testo, allora saprai che sarò andato via. Come? Una notte, mentre dormivate, ho incontrato un bambino come Leone. Stavo scrivendo s’un foglio e d’improvviso una mano di un infante si posò sulla mia. Era la mano di un angelo. Quel bambino aveva le ali e senza proferir parola mi guardava con compassione. Stanotte sono andato via con lui. Mi ha promesso di rivelarmi le verità del mondo, io che non ho mai visto la vita al di fuori di queste mura. In verità non ho mai visto la luce. Perché devo rimanere su questa torre e scontare una pena che spetta a mio padre? Possa tu perdonarmi.

Lucifero”.

Il padre non crede ai propri occhi. Regge quel foglio, ripetendo la lettura più volte.
“Lucifero!”.
In preda alla disperazione si getta verso l’esterno, correndo sulla balconata e richiamando invano il nome del proprio figlio fuggito via. L’umido sguardo è rivolto verso le nubi.
“Lucifero!”. Frattanto che la madre rimane ammutolita, il bambino piange ancora, ma stavolta coi piedi esposti sul bordo del precipizio. L’abisso lo chiama e lui l’osserva con le lacrime agli occhi.
“Lucifero!”.





N.B.: le illustrazioni a corredo sono di Mila Maraniello

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