Non a caso, da allora in poi, ogni ulteriore aggressione non fu in verità che un generoso tentativo di concedere alla donna la rivincita, e dunque una preziosa occasione per rifarsi delle botte subite di volta in volta: ne consegue che il secondo pestaggio – o meglio diverbio, dato che il mio assistito aveva ben compreso il suo errore iniziale e si era già notevolmente ingentilito – fu una mancata riscossa del primo e il terzo del secondo e il quarto del terzo; e così via, signori della Corte, per settimane, mesi, anni! E in tutto questo tempo il numero d’opportunità di rivalsa offerte dal mio protetto è stato altissimo, com’è facile immaginare, e ciò comprova che egli, nei confronti della relativa consorte, ha sempre avuto un atteggiamento improntato non solo a grande sportività, com’è d’altronde nella natura dei campioni, ma anche a un profondo senso di lealtà. Anzi il suo costante desiderio di darle e garantirle possibilità di riscatto pressoché continue, è indice preclaro di premurosità e, in ultima analisi, di cavalleria (se non addirittura, amici miei, d’autentica galanteria). Insomma l’uomo seduto qui accanto è senza il menomo dubbio un marito esemplare che sa trattare la moglie coi guanti!”.
“Di più, coi guantoni!”, interloquì sguaiatamente l’imputato, sghignazzando alla propria stessa battuta; poi, balzando su atletico, si piantò a gambe larghe di fianco all’avvocato e aggiunse d’impeto, quasi a sfidare il giudice, il cancelliere e il pubblico ministero: “Non ci credete? Allora ve lo dimostro!”.
E mentre il legale gli gridava inutilmente: “A cuccia, cretino! Torna nel tuo angolo e guai a farti vedere in azione!”, lui, giratosi di scatto verso la folla che assisteva al processo, chiamò un nome a squarciagola: “Adriana, vieni! Adriaaaaanaaaaa!”.