“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 18 May 2020 00:00

Se l’empatia è un dono

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Danilo è da sempre convinto che l’empatia è la capacità di porsi nella situazione di altre persone − che si tratti di gioia o di dolore − intuendone i processi psichici che li hanno determinati. Ma non gli basta pensare che sia una semplice facoltà del cervello, occorre non solo comprendere lo stato d’animo di quelle persone, perché a suo dire non può mancare una partecipazione emotiva.

A Danilo capita spesso di riflettere su quanto, nella famosa intervista rilasciata a Larry McCaffery dallo scrittore David Foster Wallace, questi afferma che: “Noi tutti soffriamo da soli nel mondo reale; la vera empatia è impossibile”. Il che lo trova d’accordo, e gli dà la forza di non venire mai meno al suo impegno di essere moralmente vicino nei limiti del possibile a chi soffre. E al tempo stesso − non è un paradosso − di immedesimarsi con chi vive momenti di felicità. Questa sua attitudine lo porta a concludere che gli umani non possono aspettarsi dall’alto, dall’ultraterreno, la virtuosità di sentirsi parte integrante e indissolubile di un mondo unico nel suo genere. Tocca a ognuno di noi arricchirsi della necessaria sensibilità verso il prossimo.

Di questa sua inclinazione Danilo ne parla spesso con la moglie Loredana, che pur condividendone lo spirito, evita di seguirlo in quei momenti − e non sono pochi − in cui si lascia trascinare da un modo ossessivo-compulsivo.
− Non dimentichiamo che innanzitutto abbiamo il dovere di avere cura di noi stessi, e in particolare di nostro figlio che ha solo dieci anni e ha bisogno della nostra costante attenzione − dice Loredana.
Vivono a Milano, dove l’epidemia virale lascia ogni giorno un quadro disastroso. Perciò se ne stanno chiusi in casa in attesa di un sostanziale discesa del contagio.
È successo all’improvviso, senza sintomi premonitori: il piccolo figlio Antonello è svenuto e caduto dal letto. Ha la febbre a trentotto. Presi dall’angoscia, i genitori telefonano immediatamente al medico di base. “Restate in casa”, dice, “poiché data la sua età non sarebbe possibile una terapia intensiva, ammesso che sia positivo al virus. Aspettate qualche giorno, meglio una quarantena, direi, poi vedremo cosa si può fare”.
Danilo e Loredana si alternano in una raffica di telefonate, chiamano parenti, amici e conoscenti. Sono in preda a un pauroso vuoto di parole che possano trasmettere loro serenità per quanto sia possibile, ma con l’eccezione dei nonni pochi sono quelli che li hanno confortati in modo convincente. Quasi vi fosse una sorta di reticenza a esprimere il loro sentire. Insicurezza, forse? O incomprensibile prudenza? Danilo dà segni di crisi, sta pensando a tutto quello che ha introiettato col tempo in termini di empatia. Più forte Loredana, una superiorità di genere che non di rado si manifesta nei momenti difficili in un mondo inguaribilmente maschilista.
Passata la quarantena, Antonello non dà più segni di possibile affezione da Coronavirus. La gioia dei genitori è incontenibile.
− Danilo − dice Loredana − quello che abbiamo vissuto non è stato solo un passaggio stretto della nostra vita famigliare, ma anche un richiamo alla nostra ragione di considerare l’empatia un sentimento non a senso unico, che ne dici?
− Certo, non lo dimenticherò. Perché mai mettermi al di sopra del buon senso? Io sono parte del mondo, e il mondo deve essere considerato l’autentica versione di me stesso.
Da fuori il chiarore primaverile inonda di viva luce la loro casa. Mentre la deserta metropoli milanese resta silenziosamente in attesa della rinascita.

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