“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 22 December 2019 00:00

Venezia: prove generali per una sparizione

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Questo posto odora di fritto spinto e di muffa, di profumi francesi e di fogna. È un posto che c’è, ma non si trova. Ci arriviamo, a Venezia, senza possibilità di sbagliarci, ma poi non la troviamo.
Strenati (con la n) a Santa Lucia, ci abbagliano il sole – perché a Venezia fa sempre caldo, anche la notte di Natale – e i trasportatori di bagagli “autorizzati”, anche se si sa chi li ha autorizzati, visto che la scritta l’hanno tutti, ma è sempre diversa e c’è chi l’ha attaccata col nastro adesivo, chi con lo spago e uno l’ha inchiodata sul legno.

E Venezia dov’è? Io vedo solo venditori di oggetti tridimensionali, mentre pensavo che qui si regalassero ricordi, musica e sogni. Non sappiamo se la città è dietro i paravento dei cantieri edili, o dentro gli occhi a mandorla dei bottegai. Sotto le cacche dei cani da laguna, o nei menu delle trattorie con buttadentro mentadent all’ingresso.
Venezia. Il suo torace è rimasto schiacciato nei vaporetti che costano come il volo Venezia-Londra, o dentro i paesaggisti nostalgici con berretto e baffetto, sempre ingiustificatamente di buon umore. Qui c’è troppo di tutto, troppi turisti che ostruiscono le calli, troppi gatti che cercano qualcosa da mangiare, troppi cani con il collare rosso e il Moncler, troppi padroni di un’eleganza noiosa, troppe abbronzature da cartaforno, troppe barche e troppe corsie nei canali, troppa mercanzia che occupa le facciate, troppe cartoline che comprimono l’immaginazione.
E lo stesso vorrei possedere una casa a Venezia, per guardare dall’alto in basso gli Inglesi che puntualizzano tutto, i Tedeschi che camminano sotto qualsiasi sole, i Francesi che verbalizzano ciò che non funziona, i Giapponesi che guardano sempre in alto, i Russi che comprano tutto e i Cinesi che vendono tutto (qualcuno sostiene che a Venezia siano rimasti solo Cinesi, che vendono ad altri Cinesi maschere veneziane fabbricate in Cina).
E le ragazze, le inglesi di una bellezza troppo inconsapevole, le tedesche troppo pronte a innamorarsi, le ceche troppo silenziose, le giapponesi che camminano male, le spagnole troppo sveglie per innamorarsi, le italiane troppo sulla difensiva.
Si conta anche qualche italiano: i veneti di terra, che parlano dialetto anche in Alaska; i napoletani che fanno accanita e inutile filosofia anche da sudati; i siciliani che si trascinano in gruppi allungati; i pugliesi che hanno sempre dei dubbi; i romani che ne sanno una più di Dio; i milanesi che non te lo fanno mai capire, che sono di Milano.
E i veneziani dove sono? Sono rimasti solo in tre: un gondoliere scopanordiche, che fattura più di un neurochirurgo; una signora soprasettanta, stupita di qualsiasi cosa accada, come fosse nata a Oxford e ora dovesse sopportare gli alieni; l'oste con scarpa lucida, calvo ma coi capelli lunghi, che ostenta pinguedine attorno ai suoi tavolini grandi come posacenere.
E noi? Noi ci sentiamo ospiti, ma consumiamo i nostri panini a bordochiesa, a osservare bipedi, ché miglior spettacolo non c’è. Perché abbiamo già visto i musei, le biennali, la classica, la moderna, la contemporanea e sappiamo che l’arte più originale è sempre la performance involontaria.
Le oasi di mistero e silenzio restano soltanto nel museo di storia naturale, che è la prova che il paradiso esiste, e al Guggenheim, che è la prova che l’inferno non è poi così male.
A San Marco, ci sono ancora pile di passerelle anti-acqua alta. I bambini chiedono cos’è l'acqua alta. La mamma risponde che, con l’alta marea, il mare entra in città e quelle tavole vengono messe una dietro l’altra, sulla piazza, perché i passanti non si bagnino. Io la fermo e introduco il sospetto che non sia il mare a entrare periodicamente in città, ma sia la Città che, ogni tanto, nel cambio stagione, s’immerge. Ne ha troppo di tutto, Venezia, ma non può parlare, non può mandare raccomandate al sindaco o scrivere lettere al direttore. Così, quando non ne può più, le resta una sola arma: tira il fiato e si butta sotto. Ci resta per qualche giorno, sembra che voglia solo far un po' di paura al mondo, ma io credo che, sotto sotto, faccia le prove generali della sparizione.

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