“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 12 May 2019 00:00

Sulle ali della fantasia

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Come facevo a sapere che l’avere semplicemente pronunciato, peraltro a bassa voce, le parole se m’incazzo me ne vado in presenza di una pletora di mezzemaniche assicurative che si aggirava a testa bassa per il nostro dipartimento avrebbe dato il via a un percorso di lavoro e quindi di vita che ancora adesso, dopo vent’anni mi offre una chiara visione esistenziale?
Figlio di genitori che ai tempi si usava definire proletari − mio padre cameriere presso prestigiosi ristoranti di Milano, ma mal retribuito, mia madre, a giorni alterni in malattia più o meno reale, commessa presso un negozio di scarpe di modesta qualità − passavo i miei pomeriggi a leggere immedesimandomi nelle vicende dei personaggi che facevano vivere le storie.

Ben presto mi accorsi che diventare uno scrittore poteva essere solo un sogno giovanile poiché mio padre non mancava di ricordarmi giorno dopo giorno quanto fosse urgente che io mi diplomassi in ragioneria per cercarmi poi un lavoro allo scopo di dare una mano al mantenimento della famiglia.
Fu così che appena diplomato rispondendo a una generica offerta di lavoro ottenni un impiego come archivista presso la rappresentanza italiana del più grande gruppo assicurativo mondiale con headquarter a New York.
Chiaro che quel lavoro non poteva piacermi, specie quando mi tornavano alla mente i giorni di scuola quando la Prof di Lettere dopo avere riportato in classe i temi da lei corretti leggeva davanti a tutta la classe con una certa enfasi il mio tema accompagnandolo con parole di elogio. Ciò che, così notavo, procurava segni di insofferenza da parte dei miei compagni di studio.

THE PRESERVATION era il nome della compagnia di assicurazione dove lavoravo con scarso, se non nullo, interesse. Del resto, come avrei potuto conciliare la mia giovanile aspirazione a un’attività creativa con gli schemi assicurativi fondati su rigidi criteri non soggetti a modifiche? Per lo più tenendo in considerazione che il compito di un archivista era puramente manuale. Eppure avvertivo una certa esigenza di cambiamento, sebbene non del tutto chiara.
Ci vollero tre anni perché il Direttore del dipartimento avendo notato in non pochi casi la mia curiosità per la materia che veniva trattata prendesse la decisione di promuovermi assuntore di rischi, senza alcun aumento di stipendio in quanto intendeva mettermi prima alla prova, naturalmente dopo un corso propedeutico all’interno del dipartimento tenuto da colleghi senza una particolare qualifica. L’inizio di una travagliata storia di ostilità e incomprensioni, ma al tempo stesso per me stimolante.
Avevo finalmente alla portata di mano la possibilità di dare prova della mia capacità creativa. Nel volgere di pochi mesi riuscii a sottoporre al Direttore due progetti di polizze innovative che a mio parere avrebbero permesso di incrementare in tempi brevi il portafoglio assicurativo della nostra compagnia. Superfluo aggiungere che il Direttore presentò alla Casa Madre americana il programma di lancio delle due polizze come fosse il risultato di un suo studio approfondito del mercato e delle potenzialità di sviluppo.
Fu per me una sorta di colpo di grazia. Ma avvertii subito che non avevo alcuna intenzione di arrendermi. Talché presi la decisione di scrivere di nascosto una lettera ai nostri manager di New York informandoli su come erano andate le cose. Sentii poi l’esigenza di parlarne riservatamente a un collega, Roberto, col quale ero in rapporti amichevoli pregandolo di non farne cenno ad altri. Devo dire che quello fu il coraggio della fiducia in me stesso. Self confidence, per dirla nella lingua che ormai stavo imparando con facilità.
Quando arrivò il momento che la Casa Madre informò il Direttore della mia lettera chiedendo spiegazioni ebbe inizio una serie di scontri che avrebbero potuto annientarmi sul piano lavorativo. Ma il fatto che il Direttore non avesse chiesto il mio licenziamento mi dette un’ulteriore carica combattiva. Nel frattempo la voce girava tra i colleghi del dipartimento, inutile dire chi ne era responsabile. Di conseguenza, cambiò il mio rapporto con i colleghi che non mancavano di manifestarmi il loro disprezzo. In realtà la loro era solo invidia.
Presi la decisione di riflettere su come sbloccare una siffatta situazione, e fu in quella circostanza che mi venne in aiuto l’unico collega che sin dall’inizio mi aveva manifestato stima e amicizia. L’idea del collega fu quella di rivolgermi a uno psicoterapeuta di sua conoscenza affinché mi desse utili suggerimenti per non soccombere e poter dare libero sviluppo alle mie potenzialità lavorative fondate essenzialmente sull’approccio creativo. Il che non mi mancava poiché leggevo molto e, soprattutto, avevo iniziato a scrivere racconti brevi per l’inserto culturale di un giornale orientato al mondo giovanile.
Viveva e lavorava su una roulotte in riva al Lambro, nella periferia est di Milano, quel singolare psicoterapeuta. Andai da lui una domenica mattina.
Bussai alla porta del caravan, ad aprire fu un uomo dall’età indefinibile, barba incolta e grigiastra, naso violaceo, postura ricurva da far pensare al rischio che potesse cadere a terra da un momento all’altro.
− Non mi chiami dottore, il mio nome è Barenghi, − furono le sue prime parole.
L’uno di fronte all’altro: lui con i gomiti appoggiati rigidamente sulla scrivania, io seduto su un sofà traballante. Gli dissi tutto in pochi minuti, chiedendogli consigli su come dovevo comportarmi per vincere la mia battaglia. Al momento non mi parve il caso di accennargli alle mie aspirazioni letterarie.
− Non la definirei una situazione difficile − Barenghi.
− Non dubito che con la sua esperienza professionale lei abbia ben definito i contorni, se così si può dire, della situazione in cui mi trovo. Ma il fatto è che da parte mia non intendo protrarre a lungo questo stato di cose che mi penalizza e oscura la visione del mio futuro.
− Veda, carissimo, personaggi del genere − parlo del suo Direttore − vanno messi di fronte alle loro responsabilità. Ma con la dovuta prudenza. Quindi ci riprovi. Crei una nuova polizza senza informare il Direttore e lavorando in presenza del suo fidato amico Roberto. La spedisca presto e personalmente a New York informando i manager americani che c’è un impiegato della compagnia che può testimoniare come sono andate le cose. Sicché lei sarà tranquillo a tutti gli effetti. E non dimentichi che il nostro è il Paese di Leonardo da Vinci: l’uomo oltre il futuro.
Quando infine il Direttore verrà a conoscenza del fatto sarà lui che dovrà chiarire la faccenda e questa volta, mi creda, non se la caverà a buon mercato.
Finì che in meno di un mese, a cose fatte come suggerito da Barenghi, il Direttore venne trasferito in una filiale meno importante e con scarse responsabilità. Ora il Direttore della rappresentanza italiana sono io, posso lavorare con serenità. E mi resta persino il tempo per dedicarmi a scrivere racconti brevi, in attesa di passare a un romanzo.

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