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Sunday, 03 June 2018 00:00

Cercando il fascino dell'ignoto

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L’altra metà del cielo

 

Le nostre ragazze, finalmente.

Il giorno dopo l’ultimo incontro c’è stato un vorticoso giro di telefonate tra noi cinque. Non eravamo in preda a postumi di sbornia. Sì, ci eravamo lasciati andare un po’ nel bere ma senza esagerare. Del resto, il fatto  di essere alticci − una volta tornati ognuno a casa propria − ci ha in qualche maniera, cioè disordinatamente, indotto a riflettere sul perché avevamo bisogno di uno slancio particolare per superare un’impasse che andava profilandosi. E chi, se non loro, le ragazze, poteva cogliere senza condizionamenti gli indizi delle ragioni che stavano facendoci procedere a fatica? O peggio, indurci magari a dichiararci incapaci di elaborare una visione in qualche modo credibile sull’obiettivo che ci eravamo posto?
Ce lo siamo ripetuto un sacco di volte. Conoscere l’animo umano o almeno tentare di individuarne i tratti fondamentali. Serviva a noi cinque per imprimere al nostro modo di vivere un segno distintivo e a me, in particolare, per la mia attività letteraria. Scrivendo di loro continuerò a chiamarle “le ragazze”: definendole come genere si conferisce quel quid di... calore di cui noi uomini necessitiamo. E più stile, direi, al mio narrare questa nostra storia. I loro nomi sono parte irrinunciabile dell’intima essenza di noi uomini. I miei lettori capiranno.
Il senso pratico femminile si è fatto subito sentire. Niente più dispersioni di concentrazione nel discutere, meno che mai elucubrazioni che non approdano a nulla o a ben poco. E poi ti domandi perché in generale la società si avvia a essere sempre più maschilista. Nulla di nuovo da scoprire. Possiamo metterla così? Tutti d’accordo, noi cinque.Ora si procede più speditamente, e con maggior ordine. L’eterno femminino. L’ineffabile che diventa realtà. Gli stessi impegni lavorativi che ci rendevano difficile il più delle volte programmare i nostri incontri, stabilirne la durata e trarne di volta in volta le conclusioni, sia pur poi soggette a possibili revisioni del loro esito, ci hanno facilitato il nostro procedere. Ora trovarci, discutere talvolta anche per ore, è diventato più agevole, e – diciamolo pure – più piacevole. Ne consegue che procediamo con maggior impulso e ordine.
Le ragazze di Luca e di Marco hanno stretto una forte amicizia, la nostra ricerca umanistica è stata l’occasione per far sì che riconoscessero di avere in comune interessi di varia natura, culturali in particolare. Ma anche altri di valenza più pratica. Un legame aperto. Amano la musica rock e non si lasciano perdere concerti di importanti complessi in varie parti del Paese. Ed è così che è successo. Nel ritornare a Milano in piena notte da Brescia dove si erano esibiti Crosby, Stills e Nash si fora una gomma della loro auto. Sono costrette a fermarsi davanti a un bar ancora aperto non sapendo cosa fare. Due figure maschili dall’aspetto strano, forse minorenni, si avvicinano per offrirsi ad aiutarle in pochi minuti, ma veramente pochi, giusto il tempo per passare a pesanti molestie. La ragazza di Luca finisce per essere gettata a terra, i jeans strappati perché tenta di resistere dal farsi trascinare dietro un cespuglio. L’altra ragazza riesce a divincolarsi e rifugiarsi nel bar. Esce il proprietario con un avventore e vedono la ragazza di Luca a terra svenuta. La portano all’ospedale.
Di prima mattina Luca è già a Brescia. La ragazza è sotto shock. I medici  la stanno sottoponendo ai dovuti esami clinici, quando escono dal pronto soccorso informano Luca che non sono stati riscontrati particolari danni fisici conseguenti a certi tipi di violenza, per cui la ragazza può essere dimessa. Dei due assalitori nessuna traccia.
Il giorno dopo e per altri ancora, la ragazza di Luca ha vissuto un ricordo imbarazzante fino a preoccuparsene per il suo equilibrio emotivo. Ma non ne ha parlato con nessuno. Ha un carattere forte. − Ce la devo fare da sola. Passerà. E poi, se vogliamo, quello che mi è successo mi sarà d’aiuto nel partecipare all’approfondimento della materia di cui si sta occupando il nostro gruppo − si è detta.
Lo stesso Luca, conoscendola bene, ha evitato di accennarne più del necessario se non per inquadrare il fatto solo per farne oggetto di studio in termini generali. Uguale è stata la prudenza degli altri, sebbene ne abbiano parlato i giornali, la tv enfatizzando la faccenda con eccessiva insistenza, come del resto usano fare di questi tempi i media. Questi sono i tempi che corrono. Ci siamo presi una pausa per riflettere ognuno per conto proprio sull’accaduto. Ma nessuna intenzione di rinunciare al nostro comune progetto. Abbiamo programmato un incontro tra un mese, comprese le ragazze che ormai sono parte integrante del gruppo di studio.
È un fine settimana settembrino, lo trascorriamo sulla riva sinistra del Piave, nel Bellunese. L’albergo che ci ospita è a misura di giovani. Il che ci rasserena. Decidiamo di dividerci in due gruppi: l’uno studierà le tendenze delle singole persone così come si evidenziano nella vita di tutti i giorni; l’altro prenderà in esame quello che appare essere un coagulo di eventi di portata mondiale che dà l’impressione, se non la certezza, di trascinare l’umanità in quanto tale verso sconvolgimenti dagli esiti che potrebbero essere disastrosi.
Al termine ci siamo riuniti tutti quanti per mettere insieme ciò che pensiamo di aver colto al fine di cercare, immaginare, uno sbocco comune nelle convinzioni che andavano maturando. Nessuna novità. Ma una conferma. Uno sguardo, diciamo così panoramico, su quanto sta accadendo nel pianeta.
− È il profitto in tutte le sue espressioni  che ha preso il sopravvento. E questa tendenza non dà segni di fermarsi, anzi − dice la mia ragazza.
− Se così davvero fosse, che fare allora? − Marco.
− Semplice, ci sarebbe ben poco da sperare per le generazioni che si succederanno tra non molti anni. Leggete, se non l’avete già fatto, il saggio sociologico Breve storia del futuro di Jacques Attali, dove solo l’auspicabile circoscrizione del mercato potrebbe salvare l’umanità − replica la ragazza di Luca.
− Vogliamo quindi dire che siamo arrivati al termine. Se così stanno le cose, vale allora la pena di continuare, diciamolo pure senza timore, a perdere tempo in questo nostro arrovellarci che si profila ormai sempre meno chiaro? − Daniele.
− Vogliamo anche considerare anche che, data la nostra età, prima o poi potremmo avere dei figli, e dovremo educarli? − dice la sua ragazza.
Silenzio. Nessuno parla. Si ha l’impressione che stiamo per bloccarci, senza possibilità di progredire.
E accade quello che era nell’aria.
− Basta, dico, ci abbiamo provato, e siamo rimasti al punto di prima, di quando abbiamo iniziato a guardarci attorno. Di fronte a noi, e non solo a noi ma a tutti, resta l’ignoto. Certe forzature per capire perché esistiamo sono del tutto inutili. Siamo Come un’onda che sale e che scende, definizione che mi piace riprendere da un libro di William T. Vollmann, abbandoniamoci perciò serenamente ai giorni che aspettano di essere degnamente vissuti. Siete d’accordo? Senza pretendere di capire.
Un generale incontenibile sorriso. Occhi che brillano. Ci si abbraccia. Ordino al cameriere del buon vino bianco. Possibilmente Prosecco di Valdobbiadene. Quella almeno è una certezza.

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