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Monday, 15 April 2013 02:00

Ai papà

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Uno specchio dalla cornice di legno, anzi la cornice di legno, con le lampadine, di uno specchio che non c’è. La cornice poggia su un piano di legno, a sua volta poggiato su due scannetti. Sul piano ci sono una brocca di vetro e un bicchiere. Scenografia essenziale, ma c’è tutto quello che serve a creare lo spazio, non serve altro, basteranno il corpo e la voce a far vedere il resto.

L’attore, Emanuele Salce, si sta preparando per andare in scena. “In che città siamo?”; risponde l’assistente “A Narni... Scalo”, e alla domanda su come si chiami il teatro “è una sala parrocchiale, ma ci fanno anche i cineforum”. Finalmente scopriamo quale sarà lo spettacolo: “I fratelli Karamazov per attore solo... non era un progetto ambizioso, non volevo essere pretenzioso... come si fa a fare a meno di Dostoevskji oggi?”. Ma l’assistente non è esattamente dello stesso parere: “È intervenuto Einstein e il concetto di relatività... Non esiste più il concetto unico di verità di Dostoevskji... Non è che Lei si nasconde dietro i classici per nascondere le Sue verità?”. Ora l’assistente si lancia nel confessionale e lo costringe ad inginocchiarsi, a mettersi nella condizione di fiducia, a confessarsi. E così il racconto, il suo racconto, comincia.
Luciano Salce era suo padre. Attore, regista, sceneggiatore. Anche Vittorio Gassman è stato suo padre, in un certo senso, in quanto sua madre lo aveva sposato in seconde nozze.
Pare facile avere un padre e un patrigno attori. Pare facile sentirsi parlare quotidianamente in attoriale, perfetta dizione: “Lavati le mani che è pronto in tavola”, una forma di imprinting vocale. “Io sono nato accartocciato su me stesso come una pallina nel cestino... come il muschio ai piedi di quegli alberi giganti”. Di fronte a tanta grandezza e magniloquenza (proprio nel senso letterale di grandezza, potenza dell’eloquio) non restava che il ripiegamento, il bofonchio tra sé e sé, donde il soprannome infantile di "Mumble Mumble", come l’onomatopea dei fumetti che indica il rimuginare tra sé e sé. Felice di non aver seguito le orme paterne.
In primo piano sulla scena, non ce n’eravamo accorti prima o forse la luce lo aveva sapientemente celato finora, c’è un lettino di pelle nera, una sorta di sofà. Suggerisce che sta per accadere qualcosa di psicanalitico? La confessione dei nostri tempi?
Pare facile avere un padre e un patrigno attori. Si ritrova a fare provini ma, portatore sano di un handicap, la voce, quella autorevole voce attoriale che ha bevuto fin dall’infanzia e che ora fa suonare false tutte le sue parole, le sue interpretazioni di vita vissuta. Si ferma. “È volgare raccontarsi, è patologico”, si schermisce l’attore, ma poi l’attore (l’animo dell’attore) prende il sopravvento, conquista la scena, “Spallati, che a teatro è importante”, cerca di resistere ancora mentre l’assistente lo scrolla e lo costringe, a sdraiarsi su quel lettino, a raccontare a lui, a noi, la sua storia finalmente. “Abbia fiducia in me. Nella finzione altra. Nel teatro”. Salce si sdraia. Luce blu. L’assistente caccia un pendolino e lo sottopone all’ipnosi.
Rievoca il giorno della morte di suo padre, Luciano Salce. “Si può dire che fossi andato a letto di buon mattino”, che potrebbe suonare quasi salutista. Riceve la notizia che suo padre è morto. “Cosa si fa quando muore un padre?”. “Perché non piangevo?... Allora non gli volevi bene!” diceva una insinuante vocina nella sua mente. Il funerale a casa. Tanta gente. L’addetto delle pompe funebri che sciorina il catalogo di bare e intrecci floreal-funebri. La necessità di contattare la madre, a Cuba con Gassman per un festival cinematografico (“Si dette così origine all’operazione contatto con Cuba”). Conosciuti, sconosciuti, quasi un happening, il cui evento clou era la constatazione della salma da parte del figlio. Tutti gli occhi puntati su di lui, “vedevano in me l’orfano e si aspettavano che pronunziassi un discorso significativo”. Il suo necrologio: “A papà. Quel fortissimo abbraccio che non ci siamo mai dati”.
E ora il secondo padre, il patrigno, il secondo padre artistico, Vittorio Gassman. Un altro funerale. Ancora si assiste alla divertita ironia del racconto, alla satira pungente, mai bacchettona o livorosa tuttavia, con cui si mette un po’ alla berlina il mondo della scena teatrale e cinematografica. Vita e morte. Il funerale e la finale degli Europei di calcio. La difficoltà di raccontare la morte, di rapportarsi con essa, di ammetterla come altra faccia della vita e la futile vanità degli esseri umani, seppure incaricati di ecclesiastico servizio. L’epitaffio, dettato dal Mattatore stesso: “Vittorio Gassman. Fu attore, non fu mai impallato”.
E il racconto continua. Dopo l’uccisione dei padri. Diventare uomo, trovare (seppure solo per un periodo) una compagna che lo accetta per ciò che è (e non abbiamo nessuna intenzione di svelare il gioco allo spettatore e togliergli il gusto della storia!). Tutto con italico sense of humour, venato a tratti di grottesco, mai pecoreccio, che ricorda e cita Campanile o Anton Germano Rossi.
Ed era tutto un sogno, su quel lettino, prima di entrare in scena. Del resto qualcuno ha pur detto che la vita è l’ombra di un sogno...

 

 

 

Mumble Mumble ovvero confessioni di un orfano d’arte
di
Emanuele Salce e Andrea Pergolari
con Emanuele Salce e Paolo Giommarelli
produzione Società per Attori
lingua italiano
durata: 1h 30’
Napoli, Ridotto/Mercadante, 11 aprile 2013
in scena dall’11 al 14 aprile 2013

 

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