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Sunday, 23 July 2017 00:00

La stravaganza della normalità

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Avanza zoppicando, un susseguirsi di smorfie gli altera l’improbabile sorriso nel vedermi apparire. Si tocca le costole, ce ne sarà forse qualcuna incrinata? Non gliene frega un cazzo di farsi vedere dal medico. Ne sono sicuro. Lui è fatto così.
– Ma che ti è successo, Lorenzo? – dico.
– Sono caduto in bagno. Scivolato su del sapone. A te Enrico... mai? Eh sì, il tuo autocontrollo non ammette distrazioni, e ‘ste cose non ti possono capitare.
– Ma davvero?
Sapevo già tutto, mi aveva telefonato sua moglie Vanda subito dopo la caduta per chiedermi di andarlo a trovare e convincerlo a rinunciare, in tali condizioni, a quel suo progetto a dir poco estroso. Se non in qualche maniera rischioso.

Sono ormai passati dieci anni da quando noi due abbiamo fondato, dopo la laurea, un ufficio di pubbliche relazioni. Organizziamo eventi per conto terzi, società industriali e commerciali in particolare. Tutto funziona alla grande. Si guadagna bene, meglio di così non potrebbe andare. Abbiamo due assistenti molto proattivi e ambiziosi, una garanzia per noi.
Ma non è solo il lavoro che ci accomuna. Se c’è una stella polare che orienta la nostra vita privata, pur con diverse sfumature nel nostro pensare e agire, beh quella è la cultura. Fuori dal nostro ufficio non viviamo in simbiosi, ma ci frequentiamo assiduamente. Secondo mia moglie Laura io e Lorenzo siamo i due volti di un paradosso.

Semplice. Viviamo in un mondo di merda, davanti a noi un vuoto che ci urta e indispone. Ma che fare, allora? Allontanarci da dove siamo non servirebbe a niente. Conoscere magari più in profondità la vita della gente comune, le ansie, i rancori di tutti i giorni che guastano l’esistenza? Una impresa tutt’altro che facile. L’essere umano si nasconde dentro di sé, e rende esplicito solo ciò che ritiene gli possa convenire. Rapporti sinceramente genuini tra persona e persona sono pressoché un’utopia. Anche i nostri clienti – imprenditori affermati di un certo peso – alla resa dei conti tolgono la maschera e l’utilitarismo appare essere il loro solo obiettivo. Ma se cerchi una via d’uscita ti trovi davanti un muro invalicabile. E deprimente. Quindi si continua così, apparentemente non sapendo come reagire. Ma Lorenzo ha deciso che non ci sta più.

– Se l’umanità non è in grado di mostrare una sana e credibile spontaneità del suo essere, non me la sento proprio di andarla a cercare in una sorta di insondabile fake news mistica e metafisica di antica memoria. Tempo perso, e rischio di cadere nel pantano dell’ipocrisia – Lorenzo.
– Ma ci sarà pure un qualche modo per poter accedere sia pur per velate sensazioni alla vita interiore dei nostri cosiddetti simili. O no? – dico.
– Ho deciso.
– Cosa?
– Fuggire, mai. Faccio un tentativo. Mi ci vorrà almeno un anno per capire se funziona. Fonderò un’associazione o un club, e il suo nome sarà Restore Human.
– Perché un nome inglese?
– Incuriosisce... e suona meglio.

Ha fatto sistemare un locale tipo caveau nel piano inferiore del palazzo di Via Meravigli ereditato dai genitori. C’è anche un mini-bar dove ciascuno dei partecipanti si può servire. In abbondanza. Poltrone in pelle, comode e di un certo buon gusto. C’è posto per almeno venti persone.
Ha usato Facebook per diffondere il suo appello. Il messaggio è indirizzato a chi è interessato a discutere di fatti vissuti di persona o semplicemente diffusi dai media. Lo scopo è di approfondire, mettere a confronto opinioni sul tipo di vita e di rapporti interpersonali in varie località del Paese, non solo Milano, ma soprattutto città di provincia. Le spese sono a suo carico, e i corsi di studio durano una settimana.
Non ha avuto difficoltà a convincere Vanda che per un anno si sarebbe staccato dall’ufficio. I soldi non gli mancano, e il suo lavoro sarà svolto da uno dei due assistenti.
– Vieni giù a dare un’occhiata – mi ha detto, dopo un mese dall’inizio di quell’esperimento.
Ci sono andato una sera. Sedute a tavoli di quattro posti discutevano persone di varia provenienza. Ascolto con curiosità qua e là. Un confuso florilegio di banalità.
Lui, Lorenzo, si aggira lento fra i tavoli e di tanto in tanto registra quanto dicono i suoi ospiti/studiosi. Ha il bicchiere di whiskey in mano.
Non me la sento di fermarmi a lungo, né tantomeno di partecipare alla discussione. Eppure tra quella gente c’è qualcuno di buona cultura, ma il casino è al top. Interrompere chi sta parlando appare come essere una regola. Lo specchio dei tempi, mi viene da pensare.
Strampalati accenni a teorie filosofiche, cazzate allo stato puro e insignificanti analisi pseudo-sociologiche danno vita a uno spettacolo al limite del ridicolo. Se, al contrario, non fosse la spia di un malessere esistenziale che si aggira nei nostri confini. Ma anche negli altri Paesi, naturalmente. Sappiamo tutti come vanno la cose. Tuttavia, perdere la speranza sarebbe un delitto. Un “consorzio umano” spoglio di carità? No.

Poche le donne presenti. Che sia il risultato della ricorrente misoginia? Difficile poterlo provare. Di questi tempi la tv non fa che parlarci di femminicidi quotidiani.
– Dài fermati, resta qui almeno per la discussione di oggi – mi fa Lorenzo, il viso un po’ segnato, occhiaie tendenti al violaceo e profonde. E il bicchiere sempre in mano.
– Lorenzo, il tuo tentativo è più che lodevole. Avvicinarsi discutendo con la gente per tentare di intravedere un barlume di autentica natura umana è un compito di estrema difficoltà. E quello che stai facendo magari un qualche esile segno te lo potrà dare. Ma spetta a te, solo a te, vivere dall’intimo questo viaggio nell’insondabile. In apparenza, almeno.
– Ma con la tua interiore disciplina che sempre ti sorregge, anche nei momenti difficili, tu potresti aiutarmi.
– Ti sono vicino con tutto il mio sentire, ma non mi ci vedo. È un’avventura grande negli intenti, ma pressoché disperata. Ci vuole ben altro, però non so cosa. Tuttavia non cedo alla rassegnazione, deve per forza venire un giorno o l’altro – chissà quando – il momento in cui noi umani, tutti noi, ci diamo un colpo di reni. Pena la nostra estinzione, e il collasso del pianeta.
Torno in ufficio. Con mia sorpresa nella sala d’aspetto vedo Vanda e Laura che pacatamente stanno parlando.
– Hei ragazze, che ci fate qui?
– Si chiacchiera, che vuoi.
– Già, ma di che?
– Figuriamoci se non lo immagini.
– Di Lorenzo, insomma.
– Come andrà a finire? – Vanda.
– Beh, è in ricerca.
– Beve troppo.

All’Ospedale San Raffaele di Milano l’Unità per dipendenza da alcol è quasi introvabile nei locali sotterranei. Ma c’è, e per accedervi occorre essere accompagnati con tanto di autorizzazione da medici specializzati.
Sta guardando fuori dalla finestra di una piccola stanza. – Ciao – dico.
Si gira lentamente, mi fissa come avesse davanti a sé il vuoto. Quel vuoto che ormai da quasi un anno cerca invano di indagare. Non parla. Ha il volto come scavato. – Lorenzo – dico. – Allora, quando esci da questo buco?
Ancora non parla. Poi, d’improvviso: – Enrico, come sei riuscito a scovarmi? Mi dimettono domani.
– Bene, e che farai dopo?
– Torno in ufficio, riprendo il mio posto.
– Ottimo, ci mancavi.
Poi attacca a parlare. È evidente che sta cercando di uscire dai vaneggiamenti per riprendere contatto con la realtà. – Vuoi che te la dica tutta?
– No, non è necessario. Questa tua ricerca ti fa onore, credimi, ma sapevamo tutto già da prima. T’è rimasto almeno nel tuo animo e nella mente un sia pur esile segno di dove sembrerebbe dirigersi il senso umano?
– Guarda. Enrico, stufo com’ero di tutto quello schifo che i media mi propinavano, e non solo loro, ho tentato una modesta ricerca a un livello possibilmente riconoscibile di persona, senza filtri più o meno interessati. È stata per certi versi sorprendente e al tempo stesso paradossalmente una conferma. Di questi tempi si stanno scoprendo nuovi pianeti. Come cazzo vuoi che si riesca a penetrare il mistero, perché mistero lo è, chi siamo noi e dove andiamo? A meno di sottostare, estremizzando, a logiche terroristiche, che di questi tempi non ho ancora capito se turbano o no la gente comune. Mi sentirei di concludere, ma non ne sono del tutto sicuro, che non c’è altra strada che accettare lo stato delle cose. Perché indagare non ti porta da nessuna parte.
– Stai per dirmi che...
– Che al di là del quotidiano non si intravede niente. Viviamo dunque l’oggi, e basta.
Rientro a casa, il tenero sorriso di Laura mi riconcilia con la vita.

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