“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 30 March 2013 18:14

Che vi piaccia o no, ecco il nostro mondo! L'arte di Angelo Volpe

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“Non è forse sempre e comunque decisivo chiedersi che cosa ne è dell’oggi e cosa ne sarà del domani?”

Certo che, formulata così, potrebbe sembrare la classica domanda retorica, buttata lì per trovare una buona introduzione (buona per noi, si intende, nel senso di: politica) per questa sorta di riflessione che stiamo picchiettando sulla tastiera. E allora bisognerebbe rispondere (su! tutti in coro!): “sì! certo che sì!”, perché nessuno né in buona fede né in cattiva fede ammetterebbe di non fregarsene punto né del mondo presente né del colore dell’avvenire. Ed è giusto che sia così, nel senso che ognuno deve avere la possibilità, anche soltanto gridando un “sì” di tanto in tanto (ma anche un “no” e un “forse”), di sentirsi partecipe di un movimento globale.
Altra domanda.
“Non è forse sempre e comunque decisivo che l’arte si chieda che cosa ne è dell’oggi e cosa ne sarà del domani?”
Quest’altra domanda retorica è un po’ più complessa perché l’arte contemporanea ha questa fortuna (fortuna? sì, per il momento diciamo “fortuna”), che tutto le viene concesso, l’arte può dire proprio quello che cazzo le pare, lo può fare nella maniera più aggressiva, può usare manichini di bambini impiccati, può sgozzare animali, può mostrare un gigantesco dito medio nientepopodimenoché al sistema finanziario di Piazza Affari. Gli esempi si moltiplicano, possono essere decostruite in misura più o meno feroce tutte le istituzioni, terrene e ultra-terrene. Tutto, proprio tutto, si può fare e soprattutto liberamente. Dunque (diciamo così) chi fa arte è fortunato in quanto non soltanto libero, ma libero di essere libero.
Altra domanda.
“Forse che l’arte è mai stata pericolosa nel chiedersi che cosa ne è dell’oggi e cosa ne sarà del domani?”
Ah! Questa è l’interrogazione tipica di un qualsiasi fottuto smaliziato o di chi soffre di mal di stomaco o addirittura di quella acidità esofago-laringea di cui spesso si fa esperienza oggigiorno. Su questo, però, cioè sulla pericolosità eventuale dell’arte, ci tocca sospendere il giudizio, e per un motivo molto semplice ci tocca farlo, perché non ce la sentiamo di dare una risposta definitiva soprattutto perché non esistono risposte definitive (e così, in maniera intellettualistica, ce la siamo cavata).
Intanto però – e vedrete che quello che segue c’entra con quanto appena detto – in questi ultimi giorni ci siamo trovati in un posto bizzarro, veramente bizzarro. E soprattutto siamo giunti lì all’improvviso, senza averne minima cognizione o precognizione. Quando siamo entrati (avvertimento: si trova a un pianoterra!) questa era più o meno la scena che si è composta dinanzi alle nostre stupite pupille, una sfilata di strani e stranamente inquietanti personaggi: per cominciare uno strano tipo, tatuato e ingrassato, una specie di Popeye con cappuccio rosso che espelle bollicine da una pipa, con una bella scarpa firmata ben allacciata all’unico piede di cui è dotato (l’altra gamba sembrerebbe essergli stata strappata via), che si staglia su un cielo attraversato da squarci di rosso sul quale è possibile intravedere in controluce un Cristo Redentore (quello di Rio de Janeiro) e ben visibili, nel loro splendore e nella loro riconoscibilità da brand post-umani, un bellissima M di McDonald’s e un (un po’ più kitsch) simbolo di Burger King e, mentre con un sospiro profondo cerchiamo di cacciar via lo stordimento dato da quel personaggio, ecco che vediamo una sorta di Madonnina poco più in là, con le orecchie si direbbe di Minnie (la compagna di Mickey Mouse – non una qualsiasi), con la faccia di Pikachu, un sacro cuore di Cartier, immersa in uno strano paesaggio che vorrebbe essere fatato ma che è soltanto la finzione realizzata di un incubo incipiente, insomma seppur oltremodo colorato e in un certo senso shocking e allegro, non ci comunica granché serenità o infantile commozione e così pensiamo che quella Madonnina lì è proprio una Madonnina inquietante, ma non è tutto! a noi è sembrato anche di vedere Ratzinger in persona il quale, evidentemente più libero da impegni pastorali (tanto ora abbiamo Francesco, il papa povero – viva la vita!), mostra (e scusate la blasfemia) un dito medio scarnificato al pubblico e in più la sua faccia è proprio verde (non per la rabbia, intendiamoci) e, con muso da pastore tedesco (il riferimento è d’obbligo!), mormora un pietatem colite accompagnato da una croce rovesciata; non nascondo il fatto che tutto ciò ci ha un po’ spaventato o comunque abbiamo provato un senso di orrida angoscia e così ci voltiamo da un altro lato cercando un po’ di serenità e scampo e cosa ci troviamo di fianco? Mickey Mouse crocifisso, scarnificato, poco lontano un Pikachu coronato di spine e una Hello Kitty radiografata in un angolo, cervella e aeroplani sparsi un po’ ovunque; a questo punto il terrore ci ha preso, abbiamo cominciato a scappare ma prima di raggiungere nuovamente l’ingresso ci è venuto incontro un pagliaccio della McDonald’s con al posto della simpatica e rassicurante testolina un mefistofelico teschio (tra l’altro truccatissimo di rossetto e agghindato con piercing e cresta) e uno strano mostro dalla testa che si sdoppiava con vari occhi e bocche posizionate un po’ a caso, un po’ e soprattutto per spaventare i poveri ingenui come noi; infine, ci siamo voltati di scatto e, non trovando più l’uscita da quello strano mondo colorato e preconfezionato, ci siamo diretti verso una serie di figure femminili, sì! sicuramente un po’ manga e un po’ pornografiche, ma fortunatamente abbiamo superato l’età in cui le tette al vento turbano o la lingerie eccita eccessivamente, e così ci siamo diretti verso quella zona che però letteralmente pullulava di queste figure femminili, sensuali e mercificate proprio come piace a noi maschietti, ammiccanti e seducenti, immerse in un coloratissimo mondo dei balocchi, formato da orsetti di peluche impiccati, Hello Kitty con baffetti alla Hitler, cuori di fragola, dinosauri che gridano “why”, un povero Winnie the Pooh impiccato e lo stesso Mickey Mouse purtroppo già deceduto perché (evidentemente deve esserci stata una ribellione organizzata e questa deve essere stata la repressione) anche lui impiccato con le mani ben strette dietro il corpo.
Finalmente, ci viene incontro l’artista, e a modo suo ci rassicura. Ci racconta che tutto questo non è altro che il suo modo di vedere il mondo – non sono altro che mostri creati da lui e che a lui obbediscono – perché intende l’arte proprio in questo senso, come rappresentazione critica della realtà. E quindi, un po’ più rilassati, scambiamo cordialissime chiacchiere con Angelo Volpe mentre intanto vediamo quegli strani personaggi rientrare nelle loro tele e restare per sempre immobili lì dentro. E allora si discute sull’opportunità che l’arte scavi nelle forme più dissonanti della nostra realtà, sulla maniera nella quale dovrebbe farlo e se è lecito attendersi qualcosa da questo modo di intendere il gesto artistico.
Insomma, a noi Angelo Volpe è piaciuto (non aspettatevi giudizi più articolati, però) e non tanto per la critica ai grandi brand – cosa che troviamo un po’ “facile” – ma proprio perché è riuscito a creare un mondo folle ma credibile, estremo ma reale, totalmente Altro ma già sempre proprio il Nostro. Kitsch, disgustoso, feroce.
E così, mentre ritorniamo a casa riflettiamo prevalentemente su una cosa, in maniera tale da rispondere al fottuto smaliziato di prima (e a quello che soffre di mal di stomaco o addirittura di quella acidità esofago-laringea di cui spesso si fa esperienza oggigiorno), che prima o poi verrà il momento che tutte queste raffigurazioni artistiche prenderanno veramente vita e usciranno dalle tele e allora veramente faranno il culo a tutti, e così il mondo cambierà.
Poi pensiamo che questa è l’ultima cazzata che possiamo concederci in questa riflessione e torniamo a casa un po’ silenziosi e un po’ rattristati, fissando negli occhi tutta la malinconia dei volti che incrociamo, soprattutto quello di quel tizio lì che grigio scava nella grigia munnezza per trovare qualcosa di più o meno grigio per sopravvivere in questa bestia di grigia realtà. 

 

What about tomorrow?

di Angelo Volpe

Galleria Siniscalco 

Napoli, dal 23 marzo al 14 aprile 2013

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