“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 27 November 2012 20:58

Ucciderò Roger Federer (parte 2)

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2. “Il mese peggiore è ottobre, senza ombra di dubbio”

“Uccidere Roger Federer, mica cosa da poco”, ragionava il piccolo signor F mentre disperatamente cercava di tamponare il sangue che a leggeri ma rapidi e costanti fiotti fuoriusciva da un piccolo taglio situato poco sotto l’orecchio, “Uccidere Roger Federer” sembrava proprio il titolo di un romanzo o di un racconto, o addirittura il titolo di un film, un po’ come “Essere John Malkovich”, film che il piccolo signor F non aveva mai visto ma di cui amava profondamente e senza darsene ragione il titolo.

“Uccidere Roger Federer” aveva la stessa potenza, la potenza di una frase idiomatica, la cadenza di un inno immortale, una di quelle espressioni che si scolpiscono direttamente nell’anima o nello spirito o in qualche altro diavolo di posto dove risiedono i ricordi e le sensazioni (il piccolo signor F non si dava a sottigliezze metafisiche sulla distinzione tra anima e spirito o altro), una di quelle espressioni che può riempire di senso una giornata o addirittura una vita, che può costruire una direzione da seguire, che può porsi come orizzonte all’interno del quale cercare il significato della propria esistenza, un’esistenza non meccanica, non ripetizione ridondante del funzionamento di un qualsiasi macchinario (“che poi – pensava a volte il piccolo signor F – noi uomini abbiamo costruito questi macchinari, ma il 99% di quelli che li usano non sanno neanche come funzionano, il computer poi è proprio un mistero!”), ma rottura e distruzione di ogni dimensione meccanicistica dell’umano, la riproposizione di uno schema di pensiero capace di distruggere ogni forma di relazione di causa e effetto e ogni prova della moralità come esigenza interiore, capace di mostrare la falsità di ogni legge morale che si presuma universale e necessaria per l’essere umano e di ogni teoria fisica sul cosmo che pretenda di determinare regolarità che sono soltanto probabilistiche, in poche parole “Uccidere Roger Federer” sembrava l’atto da cui cominciare per cominciare a vivere. “Oggi mi sento un poco più vivo”.

In realtà il piccolo signor F non stava pensando a tutte queste cose mentre disperatamente cercava di tamponare il sangue che a leggeri ma rapidi e costanti fiotti fuoriusciva da un piccolo taglio poco sotto l’orecchio, è stata una forma di licenza poetica o, forse, sarebbe più corretto definirla “forma di licenza filosofica” che lo scrittore ha voluto prendersi soltanto per divertirsi un po’ (non che il piccolo signor F, che lo scrittore segue da vicino da qualche tempo, non gliene dia modo). Bisogna, però, onorare anche la cronaca e l’ordine consequenziale dei fatti, per cui è necessario sottolineare che il piccolo signor F qualche attimo prima che si accorgesse che la sua camicia (lo dimenticava sempre e sempre! si vestiva prima di farsi la barba) era divenuta forse irrimediabilmente lorda di sangue (e non poco, non qualche gocciolina, ma veri e propri lunghi schizzi di cui poi il piccolo signor F si sarebbe domandata la balistica) aveva uno sguardo come ipnotizzato, mentre il sopracciglio inarcato sinistro proprio per l’emozione di chissà quale idea o pensiero addirittura tremava dando quasi un aspetto di sincerità, naturalezza e simpatia. Tutto durò soltanto un istante, fino al momento in cui lo sguardo era piombato sul lato destro della camicia dove a pochi centimetri dalla cucitura laterale campeggiavano due forse tre schizzi di sangue dalle forme più impensabili e dall’intensità rosso-bruna veramente (si sarebbe detto) seducente.

“Uccidere Roger Federer” in poche parole era stato uno di quegli attimi di “verità” che il piccolo signor F continuamente cercava. Il nostro eroe in realtà non sapeva spiegare a se stesso l’intensità o il significato di quel senso di pienezza che accompagna l’intuizione del vero, quel respiro profondo che dilata l’ampiezza polmonare, quell’aria pulita che può essere respirata soltanto sulle alte montagne dove la rarefazione dell’ossigeno riesce a pungere il nostro organismo in profondità, sensazione corporea più che spirituale, e il nostro tentativo è stato indubbiamente meschino, un ridurre in poche parole, qualche riga e qualche sintagma filosofico, uno stato d’animo la cui ricchezza (e non sapete quanto può essere ricca la vita interiore anche delle esistenze più grame) non solo non può essere resa in generale, ma in particolar modo non può essere resa dalle parole, può essere magari intuita, ma non descritta e non basta osservare per qualche giorno o settimana il piccolo signor F in tutta la sua abbagliante quotidianità, nella sua obbligata aurea medietà (non ci permetteremmo mai di chiamarla “mediocrità”) per poi essere convinti di poterne esprimere i moti interiori, no! questo proprio non è concesso a nessuno ma nonostante ciò ci si prova un po’ per divertimento, un po’ perché è il destino umano, quello di trasformare in parole (prima menzogna) un qualsiasi stimolo nervoso e fisico.

In effetti il pensiero del piccolo signor F si era invece concentrato su un altro dato al quale non si era fatto caso. La coincidenza (per il nostro eroe realmente strabiliante) tra il pensare all’espressione “Uccidere Roger Federer” e contemporaneamente il procurarsi un taglio sulla pelle con la conseguente fuoriuscita di abbondante sangue (“controllerò le piastrine”, così en passant nella sua mente, senza prendervi radice). Per spiegare la maniera attraverso la quale il piccolo signor F ha potuto intuire questa coincidenza (che può sembrare non così immediata) e affidarsi a essa come a una sorta di “rivelazione” capace di dare una svolta essenziale alla propria esistenza, bisogna forse ricordare lo stato d’animo del piccolo signor F in quei giorni di inizio autunno durante i quali un quarantenne (in realtà ne aveva trentotto di anni, ma lui, invecchiato precocemente e con vaste stempiature che accentuavano il senso interiore di vecchiezza, se ne dava già quaranta, come se la cifra quaranta fosse di per sé il segno di un decadimento senza possibilità di ritorno, come se la quota quaranta per una generazione che non ha mai avuto modo di crescere, di “farsi” adulta, fosse quella definitiva, un oscuro punto di non ritorno, un oscuro presagio di fallimento e di disperazione) si ritrova ancora una volta senza lavoro, si ritrova ancora una volta a dover spulciare tutti i siti di lavoro interinale e non, si ritrova a fare i conti con quel poco che gli resta in banca e quel poco che i genitori gli possono passare (“sono fortunato!, altre famiglie neanche quello possono fare”) affinché, se non altro, possa almeno pagare l’affitto. “Il mese di settembre non è assolutamente il peggiore”, rifletteva il piccolo signor F (l’espressione “Uccidere Roger Federer” era per qualche momento finita sullo sfondo ma rappresentava oramai l’orizzonte di senso di ogni altro pensiero), mentre con una spugnetta cercava di lavar via il sangue dalla camicia (intanto rischiava di ammalarsi, a torso nudo, con l’aria pungente che incanalandosi attraverso le finestre della stanza da letto e del bagno producevano una corrente che gli penetrava sino in fondo al midollo) con l’unico risultato di rendere sì più leggera la sfumatura del rosso-bruno che stemperandosi nell’acqua assumeva a tratti una tonalità rosso-fuoco per poi spegnersi nuovamente non appena l’acqua tendeva ad asciugarsi ma in realtà ampliando l’estensione delle macchie che, quando il piccolo signor F sbuffando si arrese, ricoprivano quasi tutto il lato destro della camicia, avendo quasi raggiunto nella parte superiore il colletto e nella parte inferiore la spaccatura laterale che dava un taglio giovanile alla camicia che andava indossata al di fuori dei pantaloni. “Il mese di settembre non è il peggiore”, rifletteva in quei momenti e con fare serio il piccolo signor F, e non è il peggiore proprio perché è il mese in cui anno dopo anno e sempre si riprende in mano la propria esistenza, come una sorta di rinascita o di palingenesi ciclica (non usava ovviamente questi termini aulici e complessi il nostro piccolo signor F!), settembre per così dire era il mese in cui ricostruire ogni volta da zero la propria esistenza, “o almeno provarci”, aggiungeva amaramente il nostro eroe che questa vita degli anni ’10 del 2000 in un modo o nell’atro l’aveva conosciuta bene e in profondità. Quest’ultimo agosto il piccolo signor F aveva deciso di non fare nulla, di non andarsene in vacanza né con i genitori né da solo, neanche i soliti cinque giorni a cavallo di Ferragosto, gli unici che può permettersi, la motivazione “ufficiale” era questa: l’esigenza di studiare per il concorsone al Comune di Napoli per ottenere uno dei 25 posti nel ruolo altisonante (ma indubbiamente poco chiaro nelle mansioni) di “amministrativo” (il nome della mansione era ben più complesso e incomprensibile, però), e la motivazione era “ufficiale” non soltanto perché era quella che proponeva quando gli era capitato di parlare con qualcuno (durante quelle classiche chiacchierate settembrine sulle vacanze, sui divertimenti, sul sole e sul mare e su quanto aveva fatto caldo e sugli irreversibili e apocalittici cambiamenti climatici), in quei casi sottolineava come un’esigenza stringente e improrogabile la preparazione approfondita, lo studio non proprio matto e disperatissimo ma comunque costante e ordinato, sottolineando in maniera che a volte poteva sembrare un po’ presuntuosa che non poteva permettersi di trattare con superficialità quella che poteva rivelarsi un’opportunità concreta perché “non passano soltanto i raccomandati” e di questo ne era sinceramente convinto il piccolo signor F e per questo si dedicava allo studio con una certa intensità, ma la motivazione era “ufficiale” anche quando ne parlava con se stesso nei momenti in cui si lasciava andare alla sua indole malinconica e passeggiava sul lungomare pensando a questo e a quello e si immergeva nelle sue fantasticherie e immaginava di essere assunto al Comune, pensava a come si sarebbe integrato nella Pubblica Amministrazione (quel nome gli ricordava il lungo corridoio, immerso in un buio senza tempo, della vecchia casa dei nonni), di come si sarebbe potuto mostrare come un “originale” (era un suo tentativo anche questo, l’originalità), di come forse avrebbe incontrato una donna e magari si sarebbe addirittura innamorato (non che il nostro piccolo signor F credesse veramente nell’amore, non possiamo negare che la tentazione di dipingerlo come un romantico da parte nostra ci sarebbe, e la tentazione è anche forte in quanto renderebbe ancora più “toccante” il nostro piccolo eroe, ma per dovere di cronaca e per un’inquieta e costante esigenza di realismo bisogna dire invece che si trattava di una pura e semplice fantasticheria da passeggiatore solitario, quando, una volta ogni tanto, è necessario concedersi un futuro alternativo, anche soltanto nello spazio di qualche minuto, così!, anche soltanto per comprendere cosa potrebbe significare essere “felici”).

“Il mese peggiore è ottobre, senza ombra di dubbio”. Il mese peggiore è ottobre proprio perché segna la fine di settembre e di ogni possibile rinascita. Ottobre è il mese peggiore perché è la fine di un’illusione e porta con sé la precisa sensazione che la verità ultima delle cose umane risieda nell’accettazione del fatto che si muore ogni giorno, lottando vanamente anche se virilmente contro le astuzie della realtà. “Si muore ogni giorno, dove l’ho già sentita questa frase?” Anche questo era capace di pensare il piccolo signor F da un lato meravigliandosi egli stesso della bellezza e della profondità delle frasi da lui pensate, dall’altro riflettendo sul come poterla spendere in un contesto pubblico per fare colpo su qualcuno.

Infilata in fretta e furia un’altra camicia (non che avesse fretta il nostro eroe, diciamo che era un suo modo, per così dire, di “stare al mondo”, la “fretta”, e spesso riteneva – ma l’intuiva soltanto e non riusciva a razionalizzarlo fino in fondo per cui non ne parlava mai a nessuno – che la “fretta” fosse connessa e in un certo senso coessenziale alla nostra realtà economico-sociale), il piccolo signor F scese di casa, non riuscendo a staccare il pensiero dall’espressione “Ucciderò Roger Federer” che gli si era nuovamente impressa nella mente e dal fatto che si fosse tagliato facendosi la barba proprio nel momento in cui percepiva quell’espressione come una “rivelazione”.

Era ottobre, il giorno successivo aveva la prova preselettiva del concorsone e oramai l’aveva compreso, in un modo o nell’altro bisognava “Uccidere Roger Federer”.

 

 

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