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Sunday, 12 March 2017 00:00

Le avventure della Pipucci (una storia marinara)

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“Le civiltà senza navi sono come i bambini, i cui genitori non hanno un letto matrimoniale sul quale poter giocare. I loro sogni allora si inaridiscono; lo spionaggio si sostituisce all'avventura, e lo squallore della polizia prende il posto dell'assolata bellezza dei corsari”.
(Michel Foucault, Le eterotopie)

 

La Pipucci era ormeggiata nel porto di Livorno. Era una serata stupenda, con un tramonto che faceva macerare ogni cosa nel suo languido colore rossastro che emanava da una enorme ferita aperta nell'orizzonte affamato. Mi ricordava, o miei ingenui lettori, miei simili e fratelli, alcuni dipinti di Natalini, con il porto immerso in tramonti invernali e glaciali, da mari del Nord, oppure con la via Grande immersa in una notte incipiente, con una pallina rossa piccola piccola che quasi illuminava di luce propria il dipinto, una luce che sembrava emanare un'arancia luminescente che irradiava un paesaggio urbano ancora intatto, ancora immune da scempi di biechi costruttori.

Figure umane si muovevano in quel dipinto, forse diretti al caffè per un incontro con gli amici, oppure, dopo aver controllato l'ora su un cipollone mal riposto nella tasca e offerto inconsapevolmente all'estro rubereccio di un furfante birichino marinaresco, essi quietamente si avviavano verso le loro silenti e allegre dimore spumeggianti di colori tramontani.
Ma quella sera in cui la Pipucci era ferma lì, quieta, nel porto, al suo attracco consueto, era d'inizio primavera, e nell'aria portuale la dolce stagione che Zefiro ha dalla sua parte e rimena azzurrità lontane, quella stagione densa di odori dorati e gialli era nell'aria, e stava arrivando come lo schiaffone di un gigante. Gli alberi della Pipucci, con le vele ammainate, si stagliavano nel colore rosso che andava invadendo la sera e parevano torri puntate verso il cielo lontano, cariche di sogni e di desiderio d'avventura, ammiccanti a lontane isole del tesoro sulle coste di Giamaiche ove corsari stupendi e dall'assolata bellezza bevevano rum cantando fino a notte inoltrata. "Bella una civiltà con le navi", pensò Lollo il pescatore, mentre passeggiava sul molo. Si ricordò di aver letto una volta, in un libro, che "nelle civiltà senza navi i sogni si inaridiscono".
Nedo e Gino, due ragazzini, stavano guardando la Pipucci, ammirati. Per loro era desiderio d'avventura, di viaggi in paesi lontani e di isole incantate, di pirati e avventurieri, di tesori nascosti, di paesi popolati di nani e giganti, di esseri fantastici che parlavano linguaggi sconosciuti. "Ciao Lollo", disse Nedo, che conosceva da tanti anni il vecchio pescatore che era amico di suo nonno pittore, suo compagno di viaggio in esplorazioni sulla costa labronica, tanti anni fa, per cercare la luce e il posto giusto per una pittura macchiaiola en plein air, e queste esplorazioni si espandevano fino all'Isola d'Alba per gustare, la sera, in accoglienti osterie, un albatico dolce da far schioccare la lingua. "Ciao Nedo", rispose il vecchio e saggio Lollo, masticando tra i denti il mozzicone di sigaro che ormai era diventato una parte integrante del suo rugoso viso. E il bimbo: "Mi ha sempre affascinato la Pipucci e tutte le volte che viene a Livorno, col mio amico Gino veniamo ad ammirarla estasiati... anche il nonno, quand'ero più piccolo, mi portava sempre a vederla e mi raccontava storie bellissime di viaggi incantati...". "Grande persona, tuo nonno, e per me un grande amico... ed era anche un bravo pittore...", disse Lollo, bofonchiando, mentre il ricordo del suo amico scomparso gli saliva ai precordi e gli veniva voglia di piangere ma questa voglia si stemperava sempre in un sorriso di gioia, pensando a tutto il tempo meraviglioso trascorso insieme all'amico. "Anche tu, Lollo, sicuramente conosci tante storie sulla Pipucci... perché non ce ne racconti qualcuna?". Lollo sorrise al ragazzo e pensò che davvero, lui ne aveva tante di storie da raccontare.
La Pipucci era un veliero da carico che trasportava prevalentemente tabacco da pipa proveniente dalle Indie Occidentali. In quei giorni, però, c'era un fatto inconsueto: Otto il poliziotto, col suo motociclettone con le insegne rosse della Municipale, stava presidiando la nave, dal momento in cui era arrivata. Cosa era successo? Chiesero i due ragazzi al vecchio Lollo. "Ebbene” – rispose – “è arrivata una soffiata all'ispettore Perrick: la Pipucci, stavolta, pare che nasconda nella stiva un doppio fondo e che in esso ci sia un carico illecito, forse droghe orientali o celati messaggi in codice della malavita internazionale". "Davvero?” – dissero all'unisono i due ragazzi, in coro, e già si immaginavano storie di spionaggio e d'avventura. Otto era lì, sulla sua motocicletta, annoiato come sempre e se ne impipava davvero, lui, dei sospetti sul doppio fondo della Pipucci; avrebbe voluto soltanto tornarsene a casa per guardare la partita della Violentina.
"Allora, Lollo, ce le racconti queste storie sulla nave?", disse Gino, che fino ad allora ancora non aveva parlato. "Va bene ragazzi, andiamo al Satyricon e sediamoci, così vi racconto una storia". Il Satyricon era un vecchio locale del porto, dove si poteva mangiare panini, fritto di pesce verace appena pescato ma anche quelle gustose pizze cotte nel padellino, di cui maestro indiscusso era il pizzaiolo Tom Eis, che barattò la sua chitarra con una pizza ed un fucile e che aveva il suo locale in un lontano lungomare, troppo lontano per due ragazzini appiedati. Il vecchio e i ragazzi si sedettero a un tavolo e andarono insieme incontro alla sera incipiente, densa di storie.
"Diversi anni fa” – iniziò Lollo – “ebbi la fortuna di passare una serata insieme ad un marinaio della Pipucci. Era una sera estiva, calda, una di quelle sere in cui il caldo ti si appiccica addosso e non se ne vuole andare e dal mare sale solo calore, un acqueo calore di sale e magma e davvero non ne potevo più di stare a pescare sul molo. Vidi uscire un marinaio dalla scaletta della Pipucci e mi avvicinai. Il marinaio mi chiese dove fosse un buon locale per farsi una birra. Lo accompagnai allora alla Artigianal Fake, la più famosa birreria della costa ovest. Ci facemmo portare subito una pinta di Pipabro, una birra scura e ghiacciata, che apre le menti ad avventure lontane. Il nome del marinaio era Pippip ma tutti lo chiamavano Pippo. Egli, dopo due pinte di birra e dopo due tirate di pipa caricata con un tabacco chocolat flake, forte, cominciò a raccontarmi di alcuni viaggi della Pipucci. Una volta, diretti verso le Indie Occidentali per fare un bel carico di tabacco Black Cavendish, vennero assaliti dai pirati. Quella volta portavano ponce al mandarino che dovevano scambiare, appunto, con una tonnellata di Cavendish del Brasile. Un veliero pirata affiancò la Pipucci e, dopo averla ramponata, si precipitò a bordo il capitan Pipanera gridando che il carico era requisito dalla Filibusta. I pirati portarono via tutte le casse di ponce e la Pipucci, alla fine venne lasciata andare. Ormai la nave stava entrando nel porto di São Paulo. Che fare? Adesso non c'era più il ponce da scambiare col Cavendish. La compagnia commerciale si sarebbe arrabbiata e, soprattutto, migliaia di pipatori della costa ovest sarebbero rimasti a pipa asciutta. A Pippo venne allora un'idea: travestirsi da petroliere texano e recarsi presso il centro di smistamento Cavendish offrendo in cambio del tabacco una sorta di assegni a vista pagabili in petrolio greggio. Tentar non nuoce, disse il comandante. Così, il giorno dopo, Pippo uscì dalla nave in un impeccabile abito bianco, con un cappello a larghe tese, anch'esso bianco, e un sigaro cubano in bocca e un finto nome da vero texano, Jey Ar. Così si presentò al centro Cavendish. Lì erano tutti un po’ distratti perché si stava giocando un'importante partita, quel giorno, e tutti i brasiliani che non erano riusciti ad accaparrarsi un biglietto per lo stadio stavano incollati al televisore: era infatti una partita che vedeva l’uno di fronte all'altro, forse per l'ultima volta, due grandi campioni latinoamericani, Paradona e Zelè. Pippo-Jey Ar si presentò all'ufficio commerciale della compagnia del Cavendish e, incredibilmente, riuscì nel suo intento. All'impiegato mezzo rincoglionito, tutto preso dalla partita, riuscì a rifilare duecento "pagherò" in petrolio greggio in cambio di una tonnellata di Cavendish. Caricarono in fretta il carico sulla Pipucci e salparono all'alba. Durante il viaggio di ritorno, dopo molti giorni trascorsi tranquillamente, nel Pacifico meridionale incontrarono la nave del Pipatore Volante. "Ragazzi sapete” – disse improvvisamente Lollo – “avevo sempre creduto che fosse una leggenda ma dopo il racconto di Pippo dovetti crederci". I due ragazzi ascoltavano estasiati. Pippo continuò dicendo che riuscirono ad eludere il cattivo influsso della nave fantasma grazie a un amuleto che il comandante portava sempre con sé: una pipina rossa a forma di corno. Il viaggio proseguì tranquillo fino al porto di Livorno. E Pippo ne aveva di storie da raccontare, e me ne raccontò ancora, come quella volta nel porto di Napoli quando incontrarono Jack il contrabbandiere che gli rivelò un segreto su un magnate della finanza, poi politico, Pipusconi, su come era salito al potere grazie alla mafia, oppure quella volta nel porto di Amsterdam, quando impegnò la nave in una partita a carte e, avendo perso, dovette sudare sette camice prima di poterla riavere. “Ma ora è tardi ragazzi, dovete tornare a casa, i vostri babbi vi aspettano per mangiare la torta di ceci. La prossima volta vi racconterò altre storie".
"Ci contiamo, Lollo, a presto..." – dissero i ragazzi mentre si dirigevano verso casa salutando affabilmente il vecchio Lollo. Lui tornò lentamente verso il porto e guardò di nuovo la Pipucci, nella sera che andava scendendo e tutto avvolgeva, una dolce serata primaverile in cui un cielo cristallino e azzurro cupo aveva preso il posto del tramonto luminescente. La Pipucci era lì, ormeggiata, con vicino Otto che ormai si era addormentato sulla motocicletta sognando la partita della sua Violentina. E – pensò Lollo – il controllo di Otto e di quelli come lui non la potrà fermare, davvero, non potrà inaridire i sogni. Nella nostra civiltà ci saranno sempre le navi. E, davvero, miei ingenui lettori, miei simili, miei amici, pochini come sempre, pochini ma buoni, vi dico che finché la Pipucci e altre navi come lei solcheranno i mari, i sogni di ragazzi come Nedo e Gino e di molti altri ragazzi e bambini non si inaridiranno mai.

 

 

 

 

 

immagine di copertina: Alfredo Luxoro Il porto (olio su tela; 1914; part.)

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