“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 25 January 2017 00:00

Ayotzinapa

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L’antologia poetica 43 poeti per Ayotzinapa non compare nella collana a cui siamo abituati, vale a dire Gli eccentrici.

Si tratta di un’altra sezione, Incroci, una delle numerose proposte di Arcoiris, anch’essa legata saldamente alla cultura ispanoamericana. In questo caso, è l’apporto dell’ispanoamericanista Maria Rossi a essere fondamentale; a differenza del lavoro di Loris Tassi, gli interessi di Maria collocano i contenuti di Incroci in un discorso differente, ma fondamentale da, per e sull’America Latina. Ci riferiamo all’attenzione per il sociale, per le complesse vicissitudini che coinvolgono donne e uomini (esilio, emigrazione, identità) e, ahimé, per gli abusi del potere nel subcontinente.
Incroci
ci mostra la persistenza della violenza in America Latina, lontana dal cessare e in continua mutazione. Se il nostro immaginario, o perlomeno quello della nostra generazione, ricorda la violenza politica di stampo dittatoriale – eserciti più o meno crudeli occupati a reprimere brutalmente la popolazione civile e le sue richieste di emancipazione e giustizia –, 43 poeti per Ayotzinapa ci trasporta nell’inferno della nuova versione della violenza. Non si parla di un fenomeno totalmente nuovo, né sconosciuto al giornalismo o all’accademia. La violenza del narcotraffico ha già i suoi classici (si pensi, per esempio, a Notizia di un sequestro di Gabriel García Márquez, 1996), il suo dibattito storiografico (a partire dal Plan Colombia), la sua sociologia del terrore. Eppure, l’incremento del fenomeno e la sua irruzione ipocrita e corrotta nell’agenda politica di molti Paesi latinoamericani, ha fatto sì che si trasformasse in un fenomeno di massa consolidato. Tale fenomeno, nelle sue rappresentazioni narrative, televisive o cinematografiche, ha costruito la sua epica, la sua lirica e il suo dramma, come nel caso della nostra antologia.
43 poeti per Ayotzinapa propone un “grado zero” della narrativa orrifica del narcotraffico. Le poesie riunite in questo libro si ascoltano come grida laceranti; invettive lanciate verso il deserto in cui permangono desaparecidos i quarantatré studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa. Si tratta di una scuola “magistrale”, in cui vengono formati i maestri rurali che in Messico, si sa, sono tra i più consapevoli dei propri diritti e i più decisi nel difenderli. La crudeltà non è una pratica sottile; il fine dell’atto è fin troppo ovvio. (Per non dilungarci nella relazione della storia complessa di coinvolgimenti, depistaggi, orrori, segnaliamo l’introduzione al volume di Fabrizio Lorusso e rimandiamo a tale ottima nota per ulteriori informazioni).
Tornando a noi, vale aggiungere un’ultima considerazione. Si tratta di un libro importantissimo per alcune ragioni: la prima, perché il terrore è un fenomeno globale e guardarlo dall’America Latina ci aiuta a capire il ruolo repressivo che gioca lo Stato in questa guerra contro il popolo; in secondo luogo, perché è un documento della globalizzazione, un aide-mémoire della violenza della postmodernità; in terzo luogo, perché è un modo per aiutare le famiglie dei ragazzi scomparsi, almeno – immaginate lo strazio – a riavere il corpo del loro giovane figlio.
Così come molti poeti dell’antologia, anche noi lettori possiamo porci una domanda: è utile quello che sto facendo (scrivere poesia, leggere poesia)? Se ascoltiamo gli autori, risponderemo “No, ma è quello che ci resta”.

 

 

Aa. Vv.
43 poeti per Ayotzinapa
(a cura di Lucia Cupertino)
Salerno, Arcoiris, 2016
pp 216

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