Print this page
Saturday, 24 December 2016 00:00

Il tutto è impossibile

Written by 

“... e l’insieme dei frammenti è la conoscenza” ha concluso Stefano nel salire sull’auto, dove io e Dario siamo già sistemati.
“Di chi è quell’aforisma?” gli chiedo.
“Non lo so, Enrico, ma mi piace. Anche se è solo una parte. La conclusione, insomma... se non sbaglio”.
Una lieve smorfia di maliziosa ironia sul volto di Dario.
È l’alba di un giorno che promette bene. Stiamo partendo per la nostra avventura dell’intelletto. E di crescita. Qualcosa come un mantra, o giù di lì. Non come formula magica ma pratica meditativa, scambio di opinioni, del personale sentire secondo le esigenze di ciascuno di noi.

Da tempo parlavamo di prenderci un breve ma intenso periodo sabbatico, un mese almeno. Lontano dai nostri studi universitari. Lettere Moderne per me e Dario. Filosofia per Stefano.
Non ci rassegniamo a confonderci con quelli − e sono tanti − che danno questo mondo come ormai andato a puttane.
L’idea è di infilare da Milano l’autostrada A4 senza una meta prestabilita, e fermarci quando la spia sul cruscotto ci segnala che la benzina sta per finire. Una semplice questione di coerenza. Ci consegniamo al caso. Per il resto si vedrà.
Una volta costretti a spegnere il motore andremo in cerca di un modesto albergo con pochi clienti dove dormiremo in tre nella stessa stanza. Ci organizzeremo poi per passare le giornate in qualche angolo appartato nei dintorni. E lì ci metteremo alla ricerca di possibili risposte − o almeno percezioni non del tutto vaghe – che ci consentiranno di elaborare scenari su dove si sta dirigendo l’essere umano e con quali prospettive, immaginando il ruolo che possono avere la speculazione filosofica e l’arte della narrativa. Il tutto per poterci sentire parte attiva e consapevole nella globale cornice esistenziale.
Guerre, terrorismo, mancanza di volontà inclusiva del vivere tra gli altri, egoismo diffuso. Offuscamento di quello che un tempo si usava chiamare consorzio umano.
A tutto ciò vogliamo opporre la nostra fermissima volontà di non lasciarci sopraffare dall’oscurità dei tempi che corrono, e quindi poter vivere con la necessaria gioia per quanto personalmente ci riguarda. E goderci anche la nostra sana fisicità.

Siamo nei pressi di Thiene, in un borgo in mezzo al verde abitato da non più di un centinaio di persone. Quello che cercavamo. C’è un Bed and Breakfast che subito ci piace. Ci fermiamo lì rinunciando all’albergo, che comunque troveremmo solo a Vicenza dove non sarebbe possibile isolarci come vogliamo. E tra noi c’è chi dice di essere pronto a discutere delle nostre cose già dalla prima sera.
“Il ruolo della letteratura, Enrico, ha o no un suo peso? E poi, sai le volte che è stato detto dai soliti critici militanti che le umane lettere sono ormai ininfluenti? Tu che ne pensi?” Stefano, che si è già fatto un paio di whisky.
“Certo, già agli inizi dell’Ottocento Hegel sentenziava la morte dell’arte. Dando così il via a una interminabile quanto noiosa sequela di necrologi sul tema. Ma le cose non sono mai state così. La faccenda è assai più complessa, ne parleremo con più calma a partire da domani, in quel boschetto che abbiamo già adocchiato” rispondo.
Sono un vorace lettore. Ho scritto qualche racconto breve per un webmagazine di ottima fattura. Più avanti vorrei provarci con un romanzo. I miei amici lo sanno, e non mancano di provocarmi. Fa parte del gioco.
“In ogni caso la letteratura sembra la forma d’arte più esposta al rischio di estinzione. Non è così? E se sì, perché?” Stefano.
“Di estinzione non parlerei” dico. “Piuttosto sono in grado di riconoscere un suo riposizionamento, che peraltro è già in atto da tempo. Dai mass media alla pubblicità, dal cinema e televisione alla musica pop-rock, la stessa moda e altro; tutte queste forme di comunicazione non hanno delegittimato la letteratura, semmai ne sono derivate nuove estetiche che hanno prodotto mutamenti impensabili su come comportarsi nella società. L’opera letteraria che possa servire a una causa. Ethos polis. E gli scrittori responsabili ne devono tenere conto. Lo stanno facendo da più parti, credimi”.
“E tu Dario parlaci un po’. C’è una ragione per la quale hai deciso di studiare questa materia? Ti dice niente che gli italiani sono un popolo di non lettori? Da’ un’occhiata ai dati Istat sull’acquisto di libri. Deprimenti” Stefano.
“Non so che lavoro farò una volta laureato. Sono del parere che il senso della scrittura seria e non di intrattenimento, di ieri e di oggi, può più di ogni altra arte favorire se non la comprensione per lo meno l’individuazione del percorso per avvicinarsi il più possibile a una credibile testimonianza del vissuto. Coloro che definiscono la realtà narrata come non-realtà in quanto esprime soltanto ciò che sensibilmente percepiamo mentre non è in grado di portare ella luce l’insondabile, sono degli eccentrici. Si scriva invece della quotidianità”.
“Testimonianza, dunque” dico.
“Già, ma l’ideale partecipazione alle storie narrate potrebbe tuttavia essere fallace se disgiunta da una profonda indagine filosofica. Filosofia come esercizio connesso alla vita, e non una serie di formule astratte, un’episteme enciclopedica, per dirla con le parole del mio professore Carlo Sini” Stefano.
“Parole più che convincenti” Dario.
“E che dire delle sterili, incessanti dispute dei critici sul rapporto filosofia letteratura?” aggiungo.
Siamo solo all’inizio della nostra ricerca, e perché alla fine ne rimanga traccia decidiamo che sarà Dario a tenere sul suo computer portatile i passaggi di maggior interesse.
“E poi che ne faremo di quelle note? Scriviamo un libro?” Stefano, con quel fare sornione.
“No, non un libro. Non scriveremo proprio niente. Non è di elucubrazioni astratte che abbiamo bisogno, non ci interessa la sperimentazione fine e se stessa. Così come la sfrenata, inconcludente fantasia allo stato puro. Ci bastano il pensiero logico e la vita vissuta che in queste note si riflettono. La nostra memoria. D’accordo?” dico.
“Sì” risponde Stefano.

È passata una settimana. Intensa.
“Che dire di una breve pausa?” Stefano.
“È quello che ci vuole. Facciamo un salto a Vicenza. Prima però fatemi telefonare a una mia amica che studia presso un workshop universitario. Perché escludere che possa organizzarci un incontro con sue compagne di studi? Mi viene da pensare a cihcks for free. Dire Straits, grandi!” Dario con una sonora risata.
“Pollastrelle, eh! Ok” faccio io.
Dopo la pizza in un ristorante della città, una della ragazze ci ha invitato a casa sua. Dario ha portato con sé la chitarra, e suona. Noi cantiamo. Il single malt comprato da Stefano è irresistibile.
Balliamo, anche.
È Stefano a cercare un legame delle nostre meditazioni con questa giornata. “Non capisco quei filosofi che si consumano scrivendo innumerevoli pagine per tentare di dimostrare l’indimostrabile. Schopenauer, per esempio, che parla dell’insensatezza del mondo ignora che il compito del filosofo dovrebbe essere altro. Il suo approccio col mondo non può e non deve essere negativo a priori. Lo stesso si dica per altri filosofi, specialmente tedeschi... che ben conosciamo”.
“Ecco perché sono convinto che la letteratura nelle sue espressioni migliori ha un potere di gran lunga maggiore della speculazione filosofica nell’essere d’aiuto agli esseri umani per cercare rapporti genuini, carità, reciproca comprensione, pur in un mondo che talvolta saremmo portati a definire di merda” replico da parte mia.
“Senza dimenticare gli effetti della fede in un Dio o della miscredenza nella ricerca del senso della nostra vita” Dario.
Le ragazze non intervengono. Hanno l’aria di essere perplesse.
Siamo all’imbrunire. Decidiamo di tornare nel nostro B&B, a Thiene.
Le ultime parole sono di Dario. “Io questa notte mi fermo qui. Ci vediamo domani”.

Dario è rientrato, l’ha accompagnato in macchina la sua amica.
Siamo seduti per terra sotto un bosco d betulle pendule dalla chioma piramidale (chissà da dove arrivano), ci siamo portati la colazione e cominciamo a scambiarci le prime impressioni. Prendo io l’iniziativa di affrontare il tema della letteratura connesso alla ricerca filosofica. E mi è del tutto naturale partire da Jean-Paul Sartre che oltre a essere un filosofo di primissimo livello ha scritto anche ottimi romanzi. Ho l’occasione di portare l’attenzione dei miei due amici su uno stato di cose che secondo me non va sottovalutato per farci progredire nel nostro lavoro. Così non manco di dilungarmi quanto basta su un fatto a loro ignoto: nell’ottobre del 1945 Sartre tenne a Parigi una conferenza pubblica per il club Maintenant, il botteghino fu preso d’assalto, alcune persone svennero e diverse sedie furono danneggiate. Ne scrisse anche il Time riferendo di donne in estasi.
“Cazzo, vedi allora che filosofia e letteratura non sono necessariamente così distanti l’una dall’altra nelle rispettive finalità” Stefano visibilmente eccitato.
“Sì” dice Dario. “Ma stiamo parlando di più di settant’anni fa... e di Parigi. Non so se mi spiego”.
L’atmosfera del nostro discorrere si sta scaldando. Bene. Ne approfitto per toccare un punto che vorrei chiarire: il politically correct quale volontario allontanamento da ciò che è o può essere reale. Ho letto a suo tempo un articolo, non ricordo su quale giornale, che parlava di critici orientati, in tempi fortunatamente ormai alle spalle, a bandire Moby Dick per la sua crudeltà nei confronti delle balene o Huckleberry Finn perché si lascia andare a scrivere la parola ‘nigger’, così come ce n’era per il grandissimo Hemingway in quanto maschilista e cacciatore. Oggi questa attitudine, che si era imposta particolarmente in America, è stata fortunatamente messa in soffitta, lasciando così alla narrazione la libertà di cui ha bisogno per svolgere la sua funzione. Libertà di espressione. Niente limiti se non una particolare − doverosa per il buon gusto − attenzione a tenersi lontano dal caos di brutture inventate e mascherate da metafore e allegorie al solo scopo di far parlare di sé. C’è qualche esempio anche nel nostro Paese, grazie a certi critici o pseudo tali a cui fa comodo accendere e spegnere interessati dibattiti essendo incapaci di riconoscere il valore letterario di un’opera.
Domani è un mese. La nostra missione è per il momento compiuta. Ci sentiamo soddisfatti e più determinati di prima a coltivare i nostri interessi culturali.
“Certo che altri aspetti della materia meritano di essere affrontati, ma lo faremo in seguito, e toccheremo punti nevralgici” Dario.
“Conviene prima mettere a frutto quanto abbiamo discusso in questi giorni e le ipotesi che ne sono venute fuori... senza sottovalutare l’importanza del pensiero filosofico perché ci da la possibilità di stupirci. Un autentico miracolo, di questi tempi” Stefano.
Non abbiamo attivato i nostri cellulari per trenta giorni. Adesso io sto guidando, gli altri ormai in preda alla sindrome telefonica.
Ma posso capirli. Prendo il mio smartphone, e chiamo Laura.
Milano è ormai vicina.
Domani rientriamo nella quotidianità.

Latest from Enrico Brega

Related items