“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 15 November 2016 00:00

World Press Photo 2016 a Napoli

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In prossimità del lungomare partenopeo, dentro l’eleganza di Villa Pignatelli, sono comparsi, il 4 novembre, centocinquanta scatti di fotoreporter professionisti (tra questi gli italiani Francesco Zizola e Dario Mitidieri). Le immagini arrivano da tutto il mondo e sono state accuratamente scelte dalla Fondazione olandese World Press Photo.

Tre premi per ognuna delle nove categorie, un solo vincitore assoluto, ed alla base la necessità di perpetrare quell’atto di promozione e tutela del fotoreportage che ha rappresentato il motivo costituente dell’iniziativa rivolta allo scenario internazionale, e svoltasi a partire dal 1955.
La foto vincitrice Hope for a New Life, dell’australiano Warren Richardson, immortala il gesto di un uomo che fa passare un neonato attraverso un filo spinato sul confine tra Serbia ed Ungheria, ed è stata scattata in una notte del 2015.
In perfetta sintonia con il principio del World Press, lo scatto subito ci catapulta nel mezzo dell’emergenza umanitaria, al centro dunque dell’obbiettivo principale di ogni fotoreporter: quello di cercare di trovarsi, per l’appunto, dentro il fulcro di ogni azione, in quell’occhio del ciclone che permette di scandagliare dall’interno, seppur sempre in una condizione diversa rispetto a quella vissuta dai veri attori dell’accadimento, una determinata situazione, cogliendo il sentimento generale nel particolare, facendoci respirare quell’aria che gira intorno alle faccende più grandi ed alle questioni di maggiore incombenza dentro uno dei tanti dettagli e delle tante realtà che le compongono. Ma al di là di tale scatto rubato al mattino presto con un delicato tempo lento e senza flash, e reso memorabile dagli avvolgimenti del filo spinato alla luce della luna, ulteriori riflessioni, forse più intriganti dell’esplicita e perfetta verità di quest’ultimo, sono messe in atto fra i vincitori e non delle altre sezioni. Colpisce quella schiettezza nell’opera di John J. Kim, senza una retorica piena di parole che non è necessario dire. È lo sguardo sottilmente di sfida, ma ancor più di domanda, che un giovane afroamericano rivolge ad un sergente di colore che gli sta innanzi, a pochi centimetri dal viso, ed il quale risponde con fermezza, ma sembrerebbe anche apertura al confronto e volontà di auto-interrogarsi, a quello sguardo, durante una manifestazione contro la violenza razzista delle forze armate negli States.
Incanta il sentimento del sublime in The Power of Nature di Sergio Tapiro, che è emblema della bellezza talvolta inquietante e sempre potenzialmente distruttiva degli elementi, qui radunati nella spettacolare eruzione notturna, e coronata dal cielo stellato, del vulcano messicano Colima, che proiettando oltre la cima la sua nube di fumo mista a particelle di ghiaccio, polvere e frammenti di rocce, genera un accecante fulmine ramificato direttamente a ridosso del cratere. Così come allo stesso modo è magico e minacciosamente funesto l’imponente ed all’apparenza surreale banco di nubi che si approssima ad una spiaggia australiana, nello scatto di Rohan Kelly. Romantico ed edificante è il “quadro” di Sergey Ponomarev. Nella dignitosa forza e giustizia del gesto dell’uomo che traina una piccola imbarcazione di rifugiati, in procinto di approdare all’isola greca di Lesbo, si stabilisce un perno visivo che fa sembrare che la punta della barca sporga oltre i limiti della superficie fotografica per conquistare lo spazio tridimensionale.
È l’attualità la componente condivisa da tutti i lavori proposti, ed il dato reale, che sia esso naturalistico, socio-antropologico, politico, è sempre il protagonista indiscusso di una ripresa istantanea che narra dell’attimo in procinto di fuggire, o di tutta la storia che si cela al di sotto dell’istante, come fosse una sorta di attivatore di precedenti fotogrammi sintetizzati in un insieme di flashback accorpati fra loro. Qui, chiaramente, la sensibilità e le suggestioni variano molto di personalità in personalità, ed il picco sensoriale è raggiunto forse proprio nelle immagini più essenziali, che aggiungono qualcosa alla sensazione visiva e che trattano paesaggi, folle ed oggetti come si trattasse di un unico omogeneo organismo di cui poter continuare a distinguere i singoli particolari, senza togliere niente all’unità sostanziale che un eccessivo descrittivismo annullerebbe in favore di movimenti sperduti e vaganti dell’attenzione, in linea con la concezione del fotogiornalismo.   

 

 

 

World Press Photo 2016
Museo Villa Pignatelli
Napoli, dal 4 al 27 novembre 2016

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