“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 29 August 2016 00:00

Art 3.0: AutoRiTratto di Carlo Piterà

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"Sicuramente nacqui in quel giorno, come artista; attraverso lo scacco supremo che è l'arte, l'uomo, eterno ingannatore di se stesso, cerca di contrabbandare come una risposta ciò che è destinato invece a restare un tragico interrogativo". (La promessa dell'alba di Romain Gary)


Quando ti sei accorto di voler essere un artista?

Sono sempre intossicato dal tempo, ma direi nell'infanzia, mio padre lavorava al Museo Bianco. Una sera aveva dimenticato le chiavi e mi propose di fare un giretto con lui, avevo otto anni e quando ho visto i quadri di Caravaggio ne sono rimasto sconvolto. In precedenza, a sei anni, avevo vinto un premio da cinquecentomila lire per un disegno. Il primo approccio con l'olio, invece, fu traumatico, una faticaccia enorme, eppure amo operare come operavano i maestri del Cinquecento.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Ho fatto la prima mostra su pressione della famiglia, ma non mi piace la gente, non mi piacciono le mostre e non mi piacciono le interviste. La prima esposizione l'ho fatta a quattordici anni, il pubblico gradiva i miei lavori e la cosa mi sembrava molto strana; a rivederli adesso li ricomprerei tutti per poi bruciarli, però, sono consapevole che il passato non deve mai essere rinnegato, perché è attraverso quelle esperienze che sono arrivato a quello che sono oggi. In seguito, mi sono dedicato completamente all'arte e a volte penso che sto perdendo la mia vita in altre cose, quando invece vorrei stare a tempo pieno nello studio, a dipingere. In un anno riesco a fare al massimo una cinquantina di pezzi grandi (2 x 3 metri) e una cinquantina di altri pezzi di dimensioni più piccole.
Il mio obiettivo è quello di dare pugni nello stomaco alle persone perché  trovo che l'insensibilità, l'appiattimento sia ormai una condizione dominante, vedo che le persone riescono ad accettare l'insopportabile e che a molti tutto questo sembra normale; quello che voglio esprimere non è sofferenza, ma rabbia nel vedere un popolo lobotomizzato e giovani rintronati.

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Da ragazzo ho abbracciato Dalì, Magritte, Bosch e Brueghel: ero affascinato da questo mondo fantastico ed anche ora, rimanendo nel figurativo, voglio esprimere la parte oscura, psichica, che resta una tematica surreale, ma molto più leggibile. L'idea è affidata al disegno e il colpo nello stomaco lo dà il colore.
Fare pittura è come fare una magia, la pittura infatti riesce a dipingere il sogno, cosa che la fotografia non è ancora riuscita a fare: per questo sono stato definito un realista fantastico. Prendo come riferimento il corpo umano che considero al pari di una divinità e apprezzo la bellezza anche perché è più difficile fare una donna grassa con le vene varicose e la cellulite nonostante sia sicuramente più interessante dal punto di vista della tecnica perché si devono affrontare cambiamenti di tono più frequenti e molti altri sono i dettagli a cui prestare attenzione.
Adesso ho in mente un ciclo sul lato negativo della psiche femminile abbinato al suo simile nel regno animale: la vipera, la iena, la mantide, la vedova nera, il camaleonte ed altro ancora. Quelle presenze maligne che scorrono nel profondo dell'anima. Nella mia pittura sono autobiografico, prendi ad esempio l'opera dal titolo L'entomologo in cui è raffigurato un lui che osserva con una lente di ingrandimento gli insetti tralasciando i piaceri della vita come segno della gioventù che passa, scorre, mentre si radicalizzano interessi molto più coinvolgenti e gratificanti.  


Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Penso che la maggior parte del mercato dell'arte sia stato conquistato dall'informale perché è facile e permette una produzione più elevata quindi interessa maggiormente ai mercanti d'arte, anche se la figura del mercante d'arte, come una volta, non esiste più, ora il mercato lo fanno le aste e se non sei quotato in asta è come se non esistessi: il merito non è quasi mai premiato in arte. Per me, il vero artista, è colui che riesce a mettere un'anima in quello che fa, è colui che riesce a suscitare emozioni forti, quello, secondo me, è un vero artista. Purtroppo, sempre più spesso, il campo della pittura si trasforma invece in una discarica dove si mescola tutto.

Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Tutti  gli artisti che trasmettono cuore e anima sono veri artisti. Tu sai che gli artisti spesso non hanno la capacità di valorizzare il proprio lavoro, servirebbe forse una commissione capace di selezionare e promuovere il talento. Non è facile perché la pittura resta sempre la miglior espressione d'arte perché parla un linguaggio universale trasversale alle etnie, ai periodi storici e alle lingue. Probabilmente proprio per questo non mi piace l'informale perché disconosce un linguaggio comune in cui tutti possono riconoscersi, inoltre, come già accennato, temo che sia solo un modo per monetizzare l'arte: di questo era assolutamente consapevole Picasso.

Qual è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?
Caravaggio anche se Velázquez è il genio della pittura, ma a livello emotivo Caravaggio è quello che mi emoziona di più: Davide con la testa di Golia prodotto nel periodo in cui era perseguitato, la Morte della Vergine, mi fa impazzire la Vocazione di San Matteo, quando entra nell'osteria e indica con la mano.
Se invece parliamo delle mie opere devo rispondere: l'ultima.
A livello mediatico l'opera che ha più fatto parlare di me sono i Tarocchi: settantotto pezzi da 1 x 1,75 metri e sono i più grandi al mondo: è stato un lavoro massacrante perché non ho fatto solo gli arcani maggiori, ma anche gli arcani minori, anche se i primi sono di gran lunga più gratificanti. Ho impiegato undici mesi lavorando tutti giorni anche dodici ore al giorno.
Il mio cruccio è che non riesco mai a fare un'opera come la visualizzo nei pensieri quindi mi devo spingere oltre, guardare sempre al successivo: mi piace il quadro che devo ancora fare. Vorrei morire dicendo “Ecco, questo quadro è come lo volevo io”, sarei pronto a dare la vita per questa emozione.

Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell'anno?
Vorrei esporre in una società civile e in qualunque periodo dell'anno. In un luogo con persone con una cultura tale da capirla l'arte. Non è il periodo, ma la testa delle persone che non va, come avrai capito mi piace pescare dal passato dove bellezza, arte e vita erano dei valori ai quali riferirsi.

Secondo te si può vivere di arte in Italia?
Per me sì. Sarebbe utile avere un po' più di ascolto e di spazio, ma siamo un ingranaggio del mercato, la mia rabbia è che non ha più senso il valore; ogni imbecille può diventare miliardario facendo delle porcherie. È immorale. Se io sbaglio a disegnare un'unghia è una tragedia mentre in certi contesti è tutto permesso. Trovo che sia folle.

Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?
È costoso dipingere, servono molti soldi ed è il denaro la più grande difficoltà, tutto è a pagamento. Mi piace lavorare con gli enti pubblici, esporre nei luoghi in cui avviene la vita comune e collettiva, mentre non ho grande simpatia per le gallerie che sono per me alla stregua di affittacamere. Però riconosco che organizzare una mostra è sempre un delirio, non è nelle mie corde, io voglio stare nel mio studio a dipingere, punto.

Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?
Intanto direi di fare chiarezza perché siamo nella confusione più totale, staccare drasticamente la spina e cambiare rotta.  Serve  tornare alla bottega e impastare i colori perché adesso non si tramanda più niente.

Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?
Mah... non lo so... quando sento parlare di critici mi vengono in mente le prostitute; non sempre e non tutti, sia chiaro, perché ci sono anche critici che fanno trasmissioni bellissime: Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio e Federico Zeri finché è stato in vita. Quel tipo di critica mi piace, so, ovviamente, che anche loro sono mercenari e anche loro su commissione riescono a scrivere per chiunque.

Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Vorrei che vedessero quello che faccio perché il mio sapere è lì non sono un letterato non so esprimermi, guardate quello che faccio e non quello che dico: è tutto lì.

Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?
"Qual è il motore che muove tutta questa passione?". Non ho mai inseguito il denaro e il successo, mi interessa solo diventare un buon artista.

 

 


ART 3.0 − AutoRiTratti

Carlo Piterà
in collaborazione con Accademia dei Sensi
website pagina Wikipedia dedicata all'artista
                        sito web dell'artista
                        pagina FB dell'artista

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