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Thursday, 16 June 2016 00:00

La solitudine è un dolore che fa paura

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In un città della Sicilia, nel 1998

Io so che lo chiamavano Falco.
E lo so perché frequentavamo lo stesso bar, quello di Piero, in corso Umberto.
Scendevo lì in pigiama, a leggere il giornale, a cercare qualcuno con cui parlare.

Perché, con Falco, mai ci siamo scambiati due parole, mai. Lui non parlava con gente come me, della mia classe sociale. Lui parlava con chi conta. Discorsi corti.
Oppure, chi non conta, parlava con lui. Discorsi lunghi.
Arrivava al bar alle 10:00 in punto, con la moto, che posteggiava a pochi passi dall'ingresso.
Sempre in cravatta, di seta. Dopobarba buono. Capelli lucidi. Anello al mignolo.
Si pigliava il caffè senza pagare. E figurati. A volte si pigliava anche il cornetto, alla marmellata. E poi una birra ghiacciata. Come facesse a unire i due sapori, caffè e birra, cornetto e birra, lo sapeva lui.
Falco, al bar, gran parte del tempo lo passava a ricevere saluti. Dare consigli. Prestare aiuti.
"La colla alla serratura mi hanno messo!". Oppure: "Mio figlio non lavora!". Queste potevano essere alcune delle imprecazioni, sovrapposte ai discorsi di calcio, recitate sommessamente dinanzi la calda macchina del caffè, dinanzi al caldo petto di Falco; dinanzi la gratitudine di un uomo al bar.
Il Falco, alle imprecazioni, rispondeva così, sempre: "Come ti chiami? Ci penso io". E rivolto al barista urlava: "Piero! Il caffè al mio amico offri".
E ci pensava davvero a risolvere i problemi con un caffè offerto, non pagato. Ci pensava nel giro di un giorno. La colla alla serratura diventava la colla nelle narici di chi si era permesso, il figlio disoccupato diventava uno che dirigeva senza sudare.
Di donne, Falco, ne aveva assai. More, rosse, ma soprattutto bionde. Che disprezzava. E quelle, però, non si ribellavano. A parte una.
Un giorno arrivò al bar che era furiosa, gli occhi insanguinati sembravano. Diceva, rivolta al Falco: "Cornuta? A me cornuta mi hai fatto? Ti ammazzo!".
Questa non si è più vista in giro. Dicono sia in Germania, da parenti. Anche se, in realtà, in Germania non ha affatto parenti.
Era carina.
Falco poteva apparire scontroso, con il volto contratto, con le rughe da vecchio. Ma questo atteggiamento, questo volto, queste rughe, erano soltanto il frutto della sua solidarietà. Perché Falco comandava tutta la città, ché altrimenti sarebbe annegata, scassata com'è.
Per comandare bisogna essere davvero altruisti, e non aspettarsi mai nessun grazie. Però non ricevere mai un grazie, prima o poi ti rende scontroso. Chi sceglie di comandare, spesso, viene avvolto dalla solitudine. La solitudine è un dolore che fa paura. Alcuni muoiono, per eccesso di solitudine. Falco sapeva che chi comanda non deve avere paura.
Il denaro, ti stai chiedendo, amava il denaro? E che dovrebbe farsene del denaro colui il quale sta sopra il denaro? Il denaro è dei poveri, sia dei poveri che ne hanno in abbondanza e si illudono di essere ricchi, sia dei poveri che non ne hanno e si sentono sfruttati da tutti. Insomma, il nostro è un mondo di poveri, diviso in illusi e sfruttati.
Falco non partecipava di questa divisione. Lui era la divisione.
Perché parlo al passato? Da un mese non si hanno più notizie di Falco. Forse si è sentito troppo solo, forse ha avuto paura, o forse non so. Da un mese, le cose vanno a rotoli. Chi spara a destra, chi spara a sinistra. Sul giornale, le strade insanguinate della città stanno in prima pagina.
Adesso, da Piero, al bar di corso Umberto, c'è uno nuovo. Io so che lo chiamano Chopin. Il suo pianoforte è un kalašnikov dorato. Tutti vorrebbero evitarsi una sonata.
E infatti per parlare con lui c'è la fila.
La finestra del bar è leggermente aperta. Odo, insieme al vento, le ali di uno stormo di rondini. Il tramonto è di una luce incerta. Le nuvole, nascondendosi, eseguono gli ordini. Il disordine sembra senza cura.
La solitudine è un dolore che fa paura.

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