“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 20 March 2016 00:00

La Principessa Gaia e il rubino del drago

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C’era una volta...
C’era una volta in una terra lontana lontana, il regno incantato della città di Pietra. Nel regno vi era una città costruita ai piedi di un’altissima torre di roccia che da sola saliva al cielo in mezzo alla pianura verde dove tranquillo e lento scorreva il grande fiume Vallon. Gli abitanti di quella città vivevano sereni e felici perché a governarli c’erano un Re e una Regina molto buoni, che vivevano in un grande castello e avevano una figlia: la Principessa Gaia.

La Principessa Gaia era una bambina molto gentile e ben educata, sempre sorridente, e suscitava simpatia e allegria in tutti quelli che la conoscevano, perciò tutti gli abitanti di Pietra le volevano molto bene.

Il grande caldo
L’estate di quell’anno era stata molto calda, e nonostante fosse passato l’autunno e si fosse già arrivati alle porte dell’inverno, la caldana non accennava a scemare. Gli alberi e i prati fiorivano di continuo e non una foglia arrossata o ingrigita cadeva al suolo. Ma il clima torrido generava dei problemi: i piccoli torrenti erano asciutti e inariditi e i grandi fiumi avevano ridotto la loro portata; gli animali non riuscivano più a sopportare quella temperatura poiché avevano cambiato la loro pelliccia estiva in quella invernale, e si vedeva vagare per i boschi assonnati e confusi quegli animali che già da qualche tempo avrebbero dovuto essere in letargo. Anche gli uomini provavano un gran disagio per quell’aria infuocata che spirava fuori stagione, e il popolo tutto ne soffriva, cosicché la principessa Gaia curiosa e volenterosa com’era decise di scoprire perché si prolungasse quel caldo anomalo e stabilì che si sarebbe recata al più presto dalla saggia Annamar per interrogarla e chiederle consiglio. Fu così che preparò il suo viaggio e partì dirigendosi verso l’albero detto Cerza della donna rosa, poiché sulla cima più alta di quell’altissima pianta viveva la sapiente eremita.

Presso la Cerza
Quando la principessa Gaia raggiunse la Cerza, subito la donna rosa, la nana proprietaria dell’albero uscì dalla sua casetta ai piedi della pianta per andarle incontro e salutarla. La Principessa le spiegò perché era venuta a interrogare la saggia Annamar, e la nana rimase per qualche attimo a riflettere e disse: “Credo che la tua missione sia molto importante, e aiuterà anche il mio albero che benché sia grande e forte, comincia a soffrire la mancanza di pioggia e il caldo eccessivo” poi aggiunse: “Voglio farti un dono che ti aiuterà lungo il cammino”. La nana entrò nella sua casetta e ne uscì poco dopo consegnando nelle mani della principessa un bastone intarsiato ricavato da un ramo della Cerza, dalla cui impugnatura penzolavano ancora attaccate delle foglie e delle ghiande dell’albero. “Questo legno ricorda ancora il vento che spirava tra le foglie dell’albero, e se lo agiterai in aria, riprodurrà quel suono” disse la nana “e le ghiande sono semi della Cerza, piantali dove vorrai e vedrai che ne spunterà subito un bellissimo albero” concluse rientrando in casa e salutando la Principessa che iniziò a scalare la Cerza per raggiungere l’eremita che vi viveva. Ci mise molte ore la Principessa per raggiungere la cima dell’albero, ma alla fine vi giunse e fu accolta dallo stormire di foglie provocato dal frullare di migliaia d'ali di uccelli che svolazzavano festanti tra le fronde della pianta cinguettando. All’orecchio della Principessa giunse il richiamo della saggia Annamar che la invitava a entrare nella tenda dove viveva, posta al centro di una terrazza di rami e foglie intrecciate. Quando la Principessa entrò nella tenda trovò la saggia Annamar accomodata su cuscini e tappeti dove anche Gaia si sedette mentre l’eremita iniziava a parlarle. “So perché sei qui” disse l’eremita fissando teneramente la bimba con i suoi tre grandi occhi “il grande caldo che ci stringe nella sua morsa è provocato dai numerosi vulcani che si trovano al di là del deserto secco. I vulcani sono controllati da un grande e potente drago, e deve essergli successo qualcosa se le temperature sono così sregolate” raccontò la saggia vegliarda. “Tu dovrai recarti dal drago per verificare e il tuo viaggio sarà lungo e pericoloso, ecco perché voglio donarti questa” disse e consegnò nelle mani della bambina una piuma colorata. “Quando avrai bisogno di aiuto, mostra questa piuma agli animali volanti che sono tutti miei amici e loro ti aiuteranno” rivelò solenne l’eremita. “Desidero darti anche un consiglio, e fanne tesoro: sii buona e a tutti dona quel che desiderano, e a uno soltanto dona anche quel che non vorrebbe mai ma che si merita, solo così potrai salvarci tutti” disse enigmatica la vecchina, chiudendo il suo discorso e suggellando il commiato dalla principessa con un bacio sulla sua fronte.

Verso il deserto secco
Quella notte la Principessa dormì nella tenda della saggia Annamar, poi alle prime luci dell’alba scese dall’albero e s’incamminò verso il deserto secco. Attraversò il ponte sul fiume Vallon, le terre dei sarchiaponi e la selva dei briganti, fino a trovarsi ai bordi del deserto secco. Più andava verso sud e più il caldo aumentava fino a diventare soffocante. Il deserto secco era una graticola ardente sotto il sole e la sabbia rovente faceva aumentare ancora di più la temperatura emanando calore. La principessa procedeva a fatica sulla pietraia secca e i cactus spinosi appoggiandosi al bastone che le aveva donato la nana rosa, e quasi stava per arrendersi e tornare sui suoi passi quando qualcosa la distolse dai suoi pensieri. Un gridolino di aiuto si sentiva provenire da dietro una montagnola di sassi e la principessa la scalò per vedere cosa succedesse. Ai piedi della montagnola stava una piccola topolina ed era circondata da parecchi grossi serpenti che cercavano di morderla. La topina saltellava agilmente ogni volta che un serpente balzava in avanti per morderla, ma era ormai quasi sopraffatta dai rettili famelici e feroci. La principessa allora decise di salvarla e si alzò in piedi sulla cima della montagnola, sollevò il suo bastone e lo fece roteare velocemente nell’aria. Dal legno si sprigionò un tremendo rumore di vento e di foglie, e più forte il bastone turbinava, più potente e assordante si faceva il fracasso sprigionato. I serpenti, impauriti da quel frastuono sconosciuto e improvviso ebbero paura, e presi dal panico scapparono disordinatamente tra i sassi cercando di nascondersi nelle loro tane sotterranee. La Principessa scese dalla montagnola e prese tra le mani la topolina sollevandola, ed ella si profuse in ringraziamenti alla sua salvatrice. “Come ti chiami?” chiese Gaia “io non ho un nome umano” disse la topolina “allora ti chiamerò soltanto Suricilla” disse la principessa e la topolina acconsentì. Poi la piccola roditrice parlò ed espose alcune cose alla bambina: “Una volta il deserto secco era più piccolo, e tra le dune e i sassi spesso si trovavano oasi nate spontaneamente da sorgenti d’acqua. I topolini come me erano numerosi perché trovavano da mangiare, e i serpenti che non si avvicinavano troppo all’acqua erano pochissimi. Da quando fa tanto caldo il deserto è cresciuto e le oasi sono sparite, i topini diminuiti e i serpenti aumentati” raccontò Suricilla lamentandosi degli accadimenti. “Io sono qui per raggiungere il drago e mettere fine a questo gran caldo” disse la Principessa, e il topino subito le rispose che l’avrebbe aiutata per saldare il debito di riconoscenza, che le avrebbe mostrato le oasi lungo il percorso per farla rinfrescare, e che avrebbero dovuto viaggiare di notte, perché era più fresco e i serpenti col buio si ritiravano nelle loro tane. Le due compagne intrapresero così il loro viaggio verso i vulcani.

Il grande drago
Dormirono di giorno al fresco delle rare oasi e di notte viaggiarono col favore delle tenebre, evitando luoghi e animali pericolosi, seguendo prima le stelle poi i bagliori rossastri lontani, e via via più vicini, dei grandi vulcani all’orizzonte. E una notte la Principessa, che portava sulla spalla la topina che le indicava la via, presso un vulcano più grande degli altri, trovò l’ingresso di una caverna e coraggiosamente vi entrò. Il cunicolo era ampio, ricco di stalattiti e stalagmiti, e sulle pareti di roccia brillavano gemme minerali e cristalli di ogni colore. Non vi era bisogno di lampada o torcia per vedere al buio, perché ogni tanto fiammelle tenui si sprigionavano da minuscoli fori sul pavimento e si consumavano in breve tempo lasciando nell’aria un olezzo di zolfo. La piccola Gaia camminò cauta in quell’antro fino a che davanti a lei si aprì una grande sala scavata nella roccia in cui intravedeva un enorme tesoro di oro e pietre preziose sparso in grandi cumuli ammonticchiati sul pavimento e contro le pareti. “Chi siete? E cosa volete? Andate via, ladri!” squillò a un tratto una voce profonda amplificata dall’eco della grotta, mentre una grande ombra dalle forme di drago si disegnava sulle pareti della stanza. La Principessa tentò di spiegare chi fosse e cosa volesse ma il drago continuava a cacciarla via urlando, e le sue grida tremende sembrava scuotessero la pietra della montagna tanto era forte l’eco delle sue parole. Alla fine Gaia decise di entrare nella grande camera e affrontare a viso aperto il drago e grande fu la sorpresa che gli procurò ciò che vide. Davanti ad un fuoco che si sprigionava dal pavimento, stava un lucertolino alato in piedi sulle zampe posteriori, che in quella posizione proiettava sulla parete la grande ombra di drago. Il rettile allora si coprì la faccia con le zampine anteriori vergognandosi e singhiozzando per il pianto. La Principessa si avvicinò e cercò di confortarlo, chiedendogli dove fosse finito il drago che regnava sui vulcani. Il rettile spiegò che si chiamava Silano e che era lui il drago, ma gli era stata rubata la fonte magica del suo grande potere e della sua forza, e per questo non riusciva più a controllare i vulcani. “Chi è stato? E cosa ti hanno portato via?” chiese la Principessa e la lucertola si affrettò a spiegare “il nuovo re dei nani è crudele e avido, ha mandato i suoi sudditi a rubare i miei tesori. Non sono riusciti a portare via l’oro, ma mi hanno rubato un grosso rubino che un giorno fu partorito solo per me dalle viscere del grande vulcano, e che mi dà il potere di regolare il fuoco che proviene da sottoterra. Il rubino funziona solo con me che sono l’eletto tra i draghi, ma senza di esso io sono solo un povero lucertolino indifeso”.La Principessa rassicurò Silano e gli annunciò che lo avrebbe aiutato a riavere il suo rubino e in cambio lui avrebbe ripreso a controllare il clima caldo. Dopodiché la principessa e la topina andarono a dormire alla luce di un piccolo fuocherello e l’indomani ripresero il cammino dirigendosi verso nord.

Le miniere dei nani
Lungo fu il cammino della Principessa e della topina che riattraversarono il deserto secco, la selva dei briganti, il fiume Vallon. Nelle terre delle fate riposandosi di notte udirono spesso frullare d’ali molto vicino e dolci canzoni provenire da cespugli stranamente illuminati da luci più intense di quelle delle lucciole. Le energie non mancavano alle due amiche quando raggiunsero la montagna ai cui piedi si apriva l’ingresso delle miniere dei nani. La principessa vide un’enorme parete di roccia nuda e liscia nella quale si apriva una grande porta intagliata nella pietra adornata tutt’intorno da cesellature nel granito raffiguranti i laboriosi nani intenti nelle loro faccende quotidiane. Sull’uscio della porta stavano due nani di guardia che interrogarono la principessa per comprendere chi fosse e se portasse pericolo, ma la principessa era solo una bimba dolce e educata così fu lasciata entrare. Un nano accompagnò la principessa e la topina che grazie a quella guida si addentrarono nei corridoi che portavano nel cuore della montagna a una grande sala piena di robuste colonne di pietra. Era la stanza dove il re riceveva gli ospiti e dava i suoi ordini, in fondo ad essa si trovava il trono sul quale stava seduto il sovrano circondato da soldati e consiglieri. Il re aveva un aspetto sontuoso e terrificante. Il nano era vestito tutto di nero tranne  un colletto bianco intorno al collo che però era quasi del tutto coperto da una lunga e folta barba intrecciata e ingioiellata, come intrecciati e ingemmati erano i lunghi capelli che cadevano copiosi dal capo. Portava alle dita delle mani grassocce parecchi anelli preziosi di ogni sorta. Dal collo gli pendeva un’ingombrante catena d’oro con un pendaglio in cui era incastonato un grande rubino. Due occhietti piccoli e mobilissimi da cui traspariva la malizia dell’anima del nano incastonati in un faccione rubicondo fissavano avidi la Principessa. “Io sono Fanio, re dei nani, dimmi bambina perché sei qui?” Gaia e la topina si avvicinarono ed entrambe fecero un grazioso inchino di riverenza, e la principessa cominciò a raccontare le ragioni del suo viaggio. “E dunque cosa desideri da me?” chiese il re alla bimba. “Ti chiedo di restituire il rubino al drago, per il bene di tutti” rispose candidamente la bimba. Ma il re che si aspettava questa risposta s’infuriò e mostrò tutta la sua malvagità: “tutte le gemme della terra sono mie, io le voglio e non le lascerò mai” tuonò tremendo il nano. Ma i suoi consiglieri gli si fecero intorno preoccupati e cercarono di calmarlo e farlo ragionare. L’avido re allora pronunciò la sua sentenza “portami una ricchezza tale da eguagliare il rubino, ma che non sia stata generata dalla terra, ed io ti restituirò quel che chiedi” disse il nano pensando che con questa richiesta avrebbe allontanato per sempre la principessa. Ma la bimba accettò e dopo essersi congedata dal re si allontanò e uscì con la topina dalle miniere dei nani per andare a cercare ciò che il re pretendeva. Uscita all’aria aperta e lontana ormai dall’ingresso delle miniere, presso un boschetto uno dei nani consiglieri del re si avvicinò alla bimba di nascosto e le parlò: “Coraggiosa principessa il nostro nuovo re è tanto malvagio, la cupidigia gli ha fatto perdere il senno e costringe il suo popolo a molte cattive azioni... un tempo eravamo gente pacifica che lavorava in miniera, oggi siamo dei ladri… molti hanno paura di opporsi al re, aiutaci a fermarlo e torneremo a essere un popolo buono e giusto...” pregò il vecchio nano. La principessa senza dire una parola strinse le mani del vegliardo e proseguì nel suo cammino.

Il volo
La principessa e la topina si aggirarono a lungo per i boschi in cerca di qualcosa o qualcuno che fosse in grado di aiutarle nella loro ricerca, ma non riuscivano nemmeno a capire quale potesse essere il luogo dove trovare una ricchezza che non fosse uscita dalla terra. A un tratto udirono dei lamenti provenire dal folto della boscaglia e vi si diressero. Tra i cespugli scorsero un enorme grifone imbrigliato in una rete di cacciatore da cui cercava invano di liberarsi. La bestia aveva un grande corpo di leone ma coperto di piume, grandi ali e una testa d’aquila con orecchie piuttosto lunghe, e quattro zampe terminanti in artigli d’aquila sulle quali cercava di mantenersi in equilibrio impedito dalla rete. La principessa tentò di avvicinarsi, ma il grifone spaventato pensando che la bimba volesse fargli del male le intimò di stare lontana. Allora Gaia si ricordò del dono della saggia Annamar e mostrò al grifone la piuma datale dall’eremita. L’animale si ammansì quasi subito e lasciò che la bimba sciogliesse i legacci della rete che lo teneva imprigionato. Parlarono a lungo delle loro vicende e a un certo punto il Grifone disse: “Per ringraziarti del tuo aiuto ti porterò laddove la terra finisce e comincia il mare, chissà che lì tu non trovi ciò che cerchi”. La bimba e la topina salirono sulla groppa del grifone e questo si alzò in aria verso cielo e dopo un primo momento di stupore e spavento, Gaia e Suricilla presero a godersi il volo. Andarono molto in alto, e sorvolarono le cime degli alberi dei boschi e le vette delle montagne, le valli scavate dall’impeto dei fiumi da cui saliva il boato delle cascate, e volteggiarono sulle dolci pianure d’un verde intenso interrotto da cespugli di ogni forma e di fiori d’ogni colore. Infine raggiunsero le spiagge del mare, dove la sabbia si sostituiva alla terra e le palme alle querce, e lì il grifone planò e atterrò, deponendovi la bimba e la topina congedandosi da loro con tanti auguri di buona fortuna.

Il capo dei pirati
Gaia e Suricilla camminarono a lungo sulla sabbia spiaggia e strada facendo videro dei pescatori che lavoravano sul bagnasciuga. Quegli uomini erano molto indaffarati e non si avvidero delle visitatrici, ma quando queste si avvicinarono e li salutarono educatamente, il più vecchio tra loro smise di cucire le reti e si intrattenne a parlare con loro. La principessa raccontò la sua storia, e il vecchio raccontò quella dei pescatori esordendo nel dire: “Piccolina noi non possiamo aiutarti, un tempo avevamo accumulato grandi ricchezze raccolte in mare con l’aiuto del nostro capitano; eravamo infatti avventurieri e pirati abilissimi, ma da quando il nostro capitano ha smesso di condurci per mare ci siamo ridotti a fare i pescatori, i giovani sono partiti e molti di noi sono diventati ormai troppo vecchi per uscire in barca sul mare”. La principessa chiese ancora ausilio al vecchio, ma egli non era in grado di aiutarla e la invitò ad andare a trovare il loro capitano che se ne stava spesso solitario sugli scogli del promontorio. La bimba e la topolina seguirono il consiglio e si diressero dove il vecchio aveva indicato loro. Presso il promontorio le due sentirono un triste canto accompagnato da una musica di mandolino e si avvicinarono agli scogli ma rimasero molto sorprese da quel che videro. Il capitano non era altro che un enorme pesce che se ne stava al sole a suonare il suo strumento e che quando intravide le visitatrici si presentò dicendo di chiamarsi Guarracino. Quando la Principessa terminò di riferire le proprie vicende, il pesce pirata raccontò la sua travagliata storia d’amore con una bella pesciolina di nome Sardella, e di come essa fosse osteggiata da un pesce rivale che alla fine di una lunga guerra riuscì a rapire la pesciolina e a nasconderla chissà dove. A lungo il pesce Guarracino l’aveva cercata per mare abbandonando tutte le attività di avventuriero, ma ormai si era arreso alla sua triste sorte e se ne stava solo sugli scogli privo di forze e di volontà a cantare del suo amore perduto. La principessa Gaia si dispiacque molto per la condizione del Capitano e si ripromise di aiutarlo, perciò tornò dai pescatori e gli chiese in prestito una barca per andare in mare. Il vecchio pescatore le offrì la sua piccola imbarcazione – che assomigliava al guscio di un grande cocco – e tutte le provviste che aveva. La principessa e la topolina si misero in viaggio sulle onde alla ricerca di Sardella.

L’isola nuotante
Per alcuni giorni Gaia e Suricilla navigarono senza trovare traccia dell’innamorata del Capitano ma senza risultato. Poi una notte sul mare arrivò una grande tempesta, le nuvole nere coprirono le stelle, il vento soffiò fortissimo e i flutti si gonfiarono. I marosi divenivano di ora in ora più violenti, e la principessa e la topina furono costrette a stringersi in un cantuccio della barca che andava ora su ora giù sulla cresta o sul cavo delle onde delle quali erano in balia. Fu una lunga notte di terrore per le due avventurose amiche che a un certo punto, quando erano già stremate dalla fatica e dallo spavento videro giungere un’onda più grande delle altre che rovesciò il natante e le buttò di peso in acqua. Le due amiche si strinsero ancora più forte l’una all’altra e cercarono di nuotare aggrappandosi alla barca rovesciata rimanendo alla mercé dei flutti. La notte passò, e la principessa aprì gli occhi al sole del mattino capendo che si era addormentata in acqua per la stanchezza ma che ora si ritrovava in una capanna. Dentro la sua camicia dormiva beatamente Suricilla che si svegliò quando la bimba cominciò a muoversi. Entrambe stavano bene ed erano felici di essersi salvate. “Buongiorno” disse una voce vicina all’improvviso, e le due amiche si accorsero che seduta accanto a loro vi era una bellissima fanciulla dai lunghi capelli e dall’abito intrecciato con conchiglie e stelle marine. La fanciulla, la principessa e la topolina si interrogarono a vicenda e si scoprì che la ragazza altro non era che Sardella che aveva raccolto la bimba e la topina sulla spiaggia. Il castello in cui si trovavano era fatto di sabbia e si trovava su un’isola che era la prigione della fanciulla. Inoltre Sardella era stata colpita da un sortilegio: il suo rapitore le aveva fatto toccare una grossa perla d’ostrica che l’aveva trasformata da pesce a essere umano, dopodiché aveva posto l’ostrica in cima a un’altissima e ripida guglia di roccia al centro dell’isola. Inoltre l’isola non era quel che sembrava, non era terra ferma in mezzo al mare ma si muoveva di continuo galleggiando poiché si trovava sul guscio di un’immensa tartaruga marina che quando non dormiva nuotava in cerca di cibo. La Principessa incredula si fece accompagnare in giro per l’isola dalla fanciulla che le mostrò da una spiaggia la testa della tartaruga addormentata che spuntava dall’acqua del mare e  che attaccata al lungo collo rugoso della bestia formava una specie di grossa penisola. La fanciulla fece vedere a Gaia anche la guglia rocciosa in cima alla quale si trovava l’ostrica e la principessa comprese osservandola che era impossibile arrampicarsi. Gaia a lungo rifletté su come aiutare Sardella, e a un tratto le venne un’idea. Fece un buchino in terra nei pressi della guglia di pietra, vi adagiò una delle ghiande che staccò dal bastone che le aveva donato la donna rosa, e subito prese a crescere un albero simile alla grande Cerza. Presto l’albero crebbe altissimo e i suoi rami raggiunsero persino l’ostrica adagiata sulla cima dell’obelisco di pietra. Così fu che la principessa poté arrampicarsi agevolmente e raggiungere l’ostrica, e raccolse la perla dentro delle grandi foglie senza toccarla, temendo la sua magia. Quando ridiscese dall’albero, Gaia e Suricilla accompagnarono Sardella alla spiaggia, e le fecero toccare la perla: la fanciulla si ritrasformò in un pesce che si tuffò entusiasta nel mare. Sardella promise di ritornare presto con una barca e col suo amato Guarracino per salvare anche la principessa e la topina e si allontanò velocissima inabissandosi sotto le onde.

Bolle di sapone
Passarono i giorni e nessuna barca si vedeva all’orizzonte. Probabilmente Sardella non riusciva più a trovare l’isola oppure la tartaruga si era rimessa in movimento. La principessa però non disperò perché le era balenata in mente un’idea per allontanarsi dall’isola. Gaia si fece aiutare da Suricilla e insieme frugarono la capanna in cerca di tutto il sapone che riuscissero a trovare, e quando lo ebbero recuperato lo sciolsero nell’acqua di un catino ottenendo un liquido molto denso. Si recarono poi sulla spiaggia da cui si vedeva affiorare dal mare la testa della tartaruga dormiente, e salite sul collo rugoso, cercarono di raggiungerla. Giunte sulla testa dell’animale, si avvicinarono a due grossi orifizi che erano le narici attraverso le quali la bestia inspirava l’aria ed espirava grosse folate di vento. La principessa seguì il ritmo del respiro e quando fu pronta versò il contenuto del catino in una narice. Quando la bestia espirò dalla narice si formarono enormi bolle di sapone che si sollevavano in cielo. La principessa e la topina si strinsero l’una all’altra e una bolla le raccolse sul bordo della narice portandole lentamente in cielo. Spinte dal vento le due amiche sorvolarono a lungo il mare e a un certo punto avvistarono un galeone a vele spiegate che andava loro incontro. Quando fu abbastanza vicino, Gaia tentò di bucare la bolla riuscendovi. Le due amiche si tuffarono in mare ma vennero ripescate subito dai marinai. Con gioia la principessa apprese che i marinai erano i pirati della baia e a guidarli fin là in mezzo al mare erano stati Sardella e Guarracino. I due pesci innamorati ordinarono ai marinai di risalire le correnti del grande fiume Vallon, per accompagnare la principessa quanto più vicino gli fosse possibile alle miniere dei Nani. Durante il viaggio Guarracino e Sardella per ringraziare la principessa del suo aiuto le fecero dono di una grande e preziosissima conchiglia al cui interno erano intarsiate le forme di tutti i pesci del mare arricchite di coralli di diversi colori. “Dona questa scultura al re dei Nani per farti restituire il rubino del drago” dissero i due pesci “essa è composta dai prodotti del mare, e dunque è un tesoro che non è stato generato dalla terra proprio come egli ti ha chiesto”. La principessa salutò con affetto i pirati e i due pesci innamorati e, sbarcata quasi alla fonte del fiume Vallon si diresse a nord col suo tesoro, verso le miniere dei Nani.

La sconfitta del re dei nani
Come per la sua prima visita in quel regno la principessa gaia trovò sulla porta una guardia nanica che la scortò fino alla grande sala del trono. Sul suo seggio se ne stava assiso il re dei nani circondato dai suoi consiglieri, e quando vide la bimba fare il suo ingresso subito le puntò addosso i suoi occhi avidi e iniziò a sfregarsi le mani. “Dimmi bella bambina, hai trovato quel che ti ho chiesto?” disse Fanio chinando il busto in avanti e scrutando Gaia con i suoi occhi furbi e malvagi. La principessa fece un inchino riverente mentre Suricilla se ne stava nascosta e intimorita tra le pieghe delle vesti della bimba. Gaia mostrò al re la conchiglia che aveva portato con sé: “Ecco a te” disse, questa scultura preziosa è stata realizzata con i prodotti del mare, e quindi non è stata generata dalla terra”. Il re rimase abbagliato dalla bellezza di quel tesoro e protese le mani in avanti per riceverlo, la bimba glielo consegnò e poi si allontanò dal trono. A lungo il re dei nani rimirò il prodotto del mare comprendendone l’enorme valore, ma la principessa interruppe la sua estasi dicendo: “... ora che hai ottenuto ciò che chiedevi restituisci il rubino di fuoco al drago come hai promesso”. Il volto del re benché illuminato dalla luce riflessa dalla scultura marina nell’udire quelle parole si rabbuiò. Pensieri malvagi presero a correre nella mente di Fanio che ad un tratto sbottò urlando contro la principessa “Non restituirò un bel niente, tutte le gemme e le ricchezze sono mie! Guardie arrestate questa bambina e chiudetela nelle segrete, la costringerete a rivelare dove ha trovato questo tesoro e dove è possibile prenderne altri!”. A quell’annuncio tutti i consiglieri rimasero sgomenti, ma le guardie presero a muoversi verso la principessa, le tolsero il bastone facendolo cadere a terra e le legarono le mani dietro alla schiena con una corda. Gaia incrociò lo sguardo implorante del vecchio consigliere che con gli occhi ancora la pregava di contrastare il re malvagio che ormai era fuori controllo. Ma Suricilla senza farsi scorgere, si arrampicò sulla schiena della bimba e rosicchiò rapidamente le corde che la legavano. La principessa allora si liberò afferrò e sollevò il suo bastone in aria e lo fece roteare forte ed esso produsse rumore di tempesta che si amplificò con l’eco delle caverne e dei cunicoli della miniera. Le guardie ebbero paura ed arretrarono e quando tutti i nani furono lontani la principessa fermò il bastone ricordandosi del consiglio datole dalla saggia Annamar “sii buona e a tutti dona quel che desiderano, e a uno soltanto dona anche quel che non vorrebbe mai ma che si merita”. Allora la Principessa disse: “Hai vinto re dei nani ecco a te il mio ultimo tesoro prendilo e che questa storia si concluda!”, e lanciò ai piedi di Fanio il fazzoletto in cui era legata la perla magica che aveva tramutato Sardella da pesce in fanciulla e viceversa. Il re avido si lanciò sul fagotto e ne trasse la perla, ma mentre l’ammirava con un sorriso laido il sortilegio lo colpì e rapidamente si tramutò in un pesce dalle squame brillanti come gemme e dalle pinne d’oro che cadde sul pavimento. Accanto a quel pesciolino guizzante cadde la perla e la catena d’oro col rubino del drago. Subito uno dei consiglieri accorse con un vaso pieno d’acqua e ci mise il pesce-nano, un altro raccolse la perla col fazzoletto e ne fece un involto. Un altro raccolse la catena col rubino e la restituì alla principessa. I consiglieri nanici ed altri nani accorsi da ogni cunicolo alla voce di ciò che era accaduto, si strinsero intorno alla principessa e la ringraziavano, baciavano e abbracciavano e fu grande festa per un giorno intero. Il vecchio nano consigliere assicurò alla principessa che il pesce-nano sarebbe stato riposto in un acquario ricco di gemme insieme con la scultura marina, che quella sarebbe stata la sua punizione e che quando avesse fatto segno di essere veramente pentito per le sue cattive azioni, sarebbe stato ritrasformato. Al termine della festa i nani organizzarono la partenza della principessa colmandola di doni per sé e per il drago in segno delle loro scuse, e accompagnarono la bimba e la topolina a restituire il rubino maltolto. Il drago riavuto il rubino magico subito fece smettere il gran caldo e le stagioni ripresero ad avvicendarsi normalmente. In seguito nani e il drago riportarono Gaia al suo castello e proseguirono la grande festa nella città di Pietra, dove Suricilla fu premiata con delle enormi forme di cacio da rosicchiare comodamente, e tutti da allora in poi vissero felici e contenti.

 



N.B.: le illustrazioni originali presenti nel corpo del racconto (tranne la sesta) sono a cura di Betty

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