“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 03 March 2013 20:00

Concetta dei fiori

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Questa non vuole essere una comune recensione. Non però nel senso che vuole essere una recensione fuori del normale, straordinaria o altro, non ce la sentiremmo mai di affermare una cosa del genere, ma che proprio non vuole essere una recensione, anzi la stessa parola “recensione” non ha mica sempre un bel suono e soprattutto spesso e volentieri mal si adatta a narrazioni che vogliono essere ben discrete e sussurrate.

Una discreta narrazione, sì. Una di quelle narrazioni che abbisognerebbero della penna del Gogol più ucraino, quello della raccolta Mirgorod, quello insomma capace non soltanto di lasciare un affresco della vita rurale ucraina che andava già corrompendosi a causa di “falcioni di marca inglese”, ma anche di descrivere l’eterna malinconia che si produce quando il trascorrere tremendo del tempo corrompe il senso profondo di un’epoca. Proprietari di vecchio stampo, così il titolo del racconto gogoliano che più di ogni altro plasma attraverso un miscuglio di odori, colori, sensazioni tattili e poi ricordi, credenze e morte la perenne inadeguatezza che ognuno prova a vivere nel proprio tempo. Ma attenzione! qui non si tratta di essere dei “passatisti” o dei “conservatori” o dei vecchi malandrini aciduli che pur di parlar male del presente si rifugiano nel passato. No! questo non lo concediamo, perché oggi noi vogliamo parlare di Concetta dei fiori, una splendida vecchina che da decenni (da quando io ho vita e ben di più) taglia, cuce e crea fiori di carta a San Gregorio Armeno e parlare di Concetta dei fiori significa raccontare qualcosa che è senza tempo e proprio perché è senza tempo, per noi è già sempre possesso del passato, trascorso. E non fa niente che Concetta sia nata a Napoli nel XX secolo e abbia vissuto sempre in città tra caffettiere e fili di nylon, carta colorata e forbici e vecchi telefoni con la rotella, per noi diviene come per incanto l’immagine già sempre uguale ma pur sempre differente di Pul’cherija Ivanovna, donna nata nella Piccolarussia nel XVIII secolo che "nel volto e negli occhi aveva dipinta tanta bontà che voi avreste davvero trovato che il sorriso era perfino di troppo su quella faccia buona". Non v’è nulla che possa acconsentire a questo paragone, lo so!, ma c’è qualcosa nelle esperienze umane che si richiama o forse è il linguaggio soltanto a modulare insani parallelismi. Ma a noi non interessa intontirci con il pensiero logico-razionale, perlomeno non stasera. Del resto questa è una narrazione, non una recensione, e quindi lasciamo lavorare l’analogia e il sentimento in santa pace. 

L’occasione per parlare di Concetta dei fiori (ma noi spesso tra amici un po’ malinconicamente ci ripromettiamo di andarla a trovare) è stata offerta da una bella mostra fotografica di Ilaria Abbiento, esposizione che ha trovato ospitalità nel foyer del Bellini e che ci rimarrà per circa due settimane (avete tempo, insomma!).

Che dire, allora? Che si può incontrare in queste fotografie un piccolo pezzo della vita della nostra Concetta, foto delicate e dai colori ben temprati, solari e vere, perché per raccontare Concetta basta lasciarla parlare, parlare con gli occhi e con i gesti, ché Concetta è sordomuta dalla nascita e la vita non è stata certo gentile con lei, portandole via il marito prim’ancora che le potesse donare un figlio, ma lei, che aveva appreso quest’arte meravigliosa dei fiori di carta dal padre che a sua volta l’aveva appresa dal padre e così via, ha vissuto sempre con quella bonomia tipica delle persone che attraversano il mondo per essere da messaggio per gli altri. Potremmo stare qui a raccontare e descrivere l’odore di legno pesante che si respira a casa di Concetta dei fiori così come in tutte le vecchie case napoletane (e anch’esse stanno scomparendo, la nostra personalissima Piccolarussia di oggi!) e che le foto restituiscono pressoché intatto oppure quelle sorte di altarini sui quali campeggiano tutte le foto dei parenti defunti come in una sorta di atlante della memoria, foto sì un po’ ingiallite perché perennemente esposte a ogni tipo di intemperie domestica, ma che in quella patina che le rende sempre più incomprensibili trattengono tutto un affetto che è dono per l’aldilà per rendere più sopportabile l’aldiquà oppure ancora quell’altra fotografia che soltanto a guardarla ci si sente inondati da un sorriso, il sorriso di Concetta dei fiori, il cui unico aggettivo che ci viene alla mente per qualificarlo è “vero”.

Ma ora, proprio perché le parole sono spesso una violenza quando si parla di immagini e quando si racconta una vita che ha il pregio di essere del tutto “vera”, e proprio perché questa non voleva essere una recensione ma una semplice e discreta narrazione, salutiamo questo pezzo di scrittura e questa occasione di ricordo assoluto e lo facciamo invitando chiunque si trovi a passare tra queste righe ad andare a trovare Concetta dei fiori, lì nel suo appartamento/bottega di San Gregorio Armeno, il cui ingresso, immerso tra bancarelle di pastori, a volte è quasi invisibile, come a volersi preservare nei giorni in cui la folla del turismo del XXI secolo sembra violentare qualsiasi tradizione, ma che poi all’improvviso ricompare ed è tutta un’esplosione di colori e non preoccupatevi se siete timidi, con Concetta non si parla, ci si guarda soltanto, ci si stringe le mani, si respira insieme per un po’, infine ci si saluta. Via correndo ognuno verso le proprie faccende.

 

 

Concetta dei fiori

di Ilaria Abbiento

Foyer del Bellini   

Napoli, dal 2 al 14 marzo 2013

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