“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 30 November 2015 00:00

Ode a "Un uomo solo"

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La morte. Questa nemica, gioia e delizia. La morte è un momento, un attimo insignificante, una marea che invade il golfo piccolo in cui pochi scogli hanno fatto da riparo a creature elementari, molluschi, uomini.
La morte, un anno fa, è tutto.

Ora, qui e per poco la vita, quella di un uomo. La vita senza la morte, la pace, il corpo pigiato e piegato, abbrutito, cadente, con qualche accortezza ancora fiero. Il mattino, la casa deserta, le abitudini, le ipocrisie e i suoni, gli angoli nascosti e le marce in corridoio. Una parete stretta, un remoto luogo della casa, improvvisamente un ricordo, una fitta, la morte dell'uomo che amavi, che ami, che amerai sempre. Tu, ingordo lettore, ti sei spaventato, vero? Non te l'aspettavi un morto così senza preavviso, non te l'aspettavi che nel cerimoniale schifoso di ogni mattina, dentro lo spazio stretto di una cucina, sarebbe apparso un fantasma? Eppure è lì. Come tutte le cose che in faccia non ci sono più, come i muscoli cadenti e le gote svuotate, come la pelle ruvida e quella pancia indiscreta che straborda. Ogni piccola morte quotidiana, una dolcissima morte di cose giovani lasciate indietro senza funerali e celebrazioni. Eppure toccherà anche a George prima o poi, tutto intero, con la coscienza sveglia, il conto severo delle mancanze e degli abbandoni, resterà unico testimone a guardare da dentro con dolore e da fuori con spavento il saluto ridicolo della donna nera.
Trascinarsi, con l'inquilino sveglio, sulla strada. Arterie infernali, patriottismo e fierezza, cemento a perdita d'occhio, la natura domata e il deserto che si riprenderà tutto un giorno, con le sue secche mani pretenderà la terra e vedrai, gliela ridaremo. Un lavoro, per sentirsi utili, per pagare al supermercato, un lavoro ancora incorrotto. Studenti e professori, cantori degli altrui canti. Uomini e donne, ragazzi e generazioni, menti sveglie e corpi roventi, spietati. Sudore e umori, poltiglia umana piena di istinto e puritana ragione. Categorie deboli, informazioni sterili, solo la pelle, il sesso, lo scontro e le mani sanno la verità. La vita è così da poco, la perfezione è un corpo giovane che si contrae in un orgasmo e si libera di tossine e chiesa cattolica. Grazie a Dio, tra le gambe di qualcuno, siamo ancora in tempo per non lasciarci devastare, cancellare, scartare.
Ci sono cose che non si dicono, assolutamente professore, le conosciamo tutti, ma basta con questa familiarità, sincerità sopravvalutata. Vogliono tutti qualcosa di vivo. Date a tutti la vostra inesperta sensualità, lasciate che la matematica pura muoia sotto i colpi selvaggi del corpo che non sa mentire, l'unico che gode di niente.
Passi come lunghi salti, la magia del trionfo svanisce quando non c'è un sipario che ti separa dalla banalità. Tremi come un stella e poi la fissità ti spegne, cancella il tuo splendore, sei un palo della luce, un palo ficcato a terra, acceso nelle ore in cui servi.
Un supermercato, scaffali e commessi annoiati, luci simboliche, scatole simboliche, a fianco un motel simbolico. Basta sublimazioni, basta esseri umani coinvolti, il mondo è una comodità sterile, viviamo nella pubblicità, nella fitta propaganda di gelati e festoni di natale. Carta da forno, buste vuote della spesa, barattoli di vetro e plastica, tutto allineato e sul piede di guerra. Saziati, placa il tuo appetito, sopravvivi. Non devi morire. Vuoi sparire ma non devi morire, non ancora. Lo stomaco si chiude, come un pacco vacante colmo d'aria, il dolore e la disperazione aleggiano sopra il capo. Avvoltoi, frequenze stonate in giro per la città. L'ultimo filo d'odio scompare, la donna, la cagna, la madre, la terra, è stata sconfitta, abbattuta dalla morte, da Jim sparito, schiantato, da George che le dice addio, col suo carico di ribrezzo. Un altro pezzo d'amore che se ne va, una scritta a matita cancellata. Gli indizi di Jim si stanno dileguando, a volte per trovarne uno bisogna camminare tutto il giorno, per ore e ore, fino ad arrestarsi di colpo e avvertire che il mondo è diventato piccolissimo e ogni cosa è distante solo un dito. La solitudine, il buio e la notte, una tavola apparecchiata per uno, guardare attraverso le pareti, vedere il perimetro della casa, osservare l'uomo che immobile guarda tutto questo senza piangere mai.
Un'amica, una sopravvissuta, crisi di mezza età e capelli cotonati, ancora solitudine e passioni nipponiche sulle pareti bianche in California. Geisha selvaggia, torsolo di mela, strega accampata sul monte. Discorsi, dialoghi futili, velleità impossibili. Donna appassita con qualche bellezza ancora intorno al collo, con qualche aria leggera che passa e spassa sugli occhi, sulle mani che conoscono ancora la sinuosità delle farfalle vecchie. Un giorno, una sera, il grembo inservibile, solo un desiderio duro come il diamante, spento come l'oceano in lontananza, più buio della mezzanotte. Un saluto, la lingua secca inzuppata di alcool, di parole masticate e residui organici tra le fessure nere dei denti.
Il pub affollato sotto casa, un giovane uomo, ancora il corpo e la verità. Ancora le due cose insieme, carne contro carne, serpe contro serpe, velenoso accoppiamento. Quale verità cerchi ragazzo? E tu George, quale verità pensi che lui voglia? Vuole te, George, perché sei un fenomeno, il nemico che i giovani amano corteggiare, questi giovani americani minacciati da Cuba, comunismo, missili e patria. Vogliono il tuo corpo impuro, cercano la verità perché sei la cosa più sporca che conoscano, sei la spazzatura, la sputacchiera, sei l'assassino della specie umana e le loro madri ti odiano, mentre loro ti amano senza trasporto, senza tenerezza. Dormi George, hai nuotato tutto il giorno, i cavalloni sono alti, sembra abbiano le tempie alate, ti ingoiano e ti sputano. Hai visto luci sulla strada, coni polverosi di luce che ti marchiavano nell'acqua. Hai osato spogliarti e contaminare il mare, hai dimenticato le pubblicità, i simboli, i missili, i libri e Jim? Esci da quell'acqua George, esci dal liquido amniotico, deflora il sonno e svegliati, la marea sta riempendo il tuo cuore. La deriva è una distesa di acqua pulita, la città è lontana, ma il suo fiato si mischia a quello dell’oceano, non lo senti? Ascolta. George, non tornare, Jim è morto, loro sono morti, l'ultimo piacere della carne è sfumato, la donna è vinta, la giovinezza è finita, guarda lontano, oltre l'onda il deserto non dà spazio ad altro, dentro l'onda c'è terra e schiuma e cicloni di tempo, le civiltà e le illusioni rimbombano, ma non si distinguono, nessuno arriverà fin qui.
Inchino.
Non tornare George.
Addio George, è così intenso il profumo dell’aria.

 

 

 

 

 

Un uomo solo (A Single Man) 1964
Christopher Isherwood
traduzione di Dario Villa
Milano, Adelphi, 2010
pp. 144

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