“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 19 July 2015 00:00

Mio amato carceriere (IV capitolo)

Written by 

GLI ANGELI DEL FIUME 

 

 

Non devi evitare il desiderio,
ma ricordarti che tu e lui non siete la stessa cosa.
Abbandonarsi al desiderio è meglio che resistere,
sfrutta la sua grande energia ed osserva.
Nasce, cresce e ti travolge,
ma alla fine ti lascia e scompare.
       (IV messaggio)


 

Il mattino successivo fu la mia sveglia interna a risolvere i miei dubbi sulla partecipazione al corso di meditazione dinamica. Aprii, infatti gli occhi alle sette, la stessa ora di inizio del corso.

Accettai volentieri il responso che mi era venuto dall’interno e mi accinsi al mio bagno quotidiano, un rito a cui sono estremamente legato e che nei giorni precedenti ero stato costretto a confinare nei ritagli di tempo. Quella mattina potevo farlo come era mia abitudine al risveglio e non dovevo temere la concorrenza dei miei compagni di stanza perché, come era prevedibile, erano tutti e tre profondamente addormentati.
Immerso nell’acqua decentemente calda, cercai di fare il punto della situazione dopo i primi tre giorni di corso, ma mi resi immediatamente conto che quella sorta di blocco mentale che avvertivo dal mio arrivo era ben lungi dall’essersi dissolto e abbandonai volentieri il mio tentativo di razionalizzazione.
Tornai nella stanza, dove i miei tre compagni continuavano a dormire indisturbati. Mi vestii in fretta e scesi a fare colazione, lieto di avere per la prima volta la possibilità di farla con calma.
La sala era già alquanto affollata, ma, pur essendovi posto nei tavoli molto ambiti in quanto collocati davanti alla grande vetrata che dava sul bosco, presi posto ad un tavolo semivuoto dal quale non era possibile vedere l’esterno.
Indugiai a lungo nel rito della colazione e tentai anche di mangiare qualcosa di diverso dal pane con burro e marmellata che era per me il massimo concepibile a quell’ora del mattino, abituato come ero ad iniziare la giornata qualche minuto prima delle cinque con un certo numero di tazze di caffè, evitando di assumere cibo almeno sino alle dieci.
Era una mattina soleggiata e, durante il breve viaggio verso il Park, cercai di prestare più attenzione al paesaggio circostante e restai colpito dalla differenza esistente tra il circondario della graziosa cittadina collinare che ospitava il College e il paesaggio quasi scandinavo che si presentava a pochi chilometri di distanza, giungendo in quella specie di fiordo allungato sul quale si affacciava il villaggio che ospitava la sede principale della Comunità.
Gli effetti della meditazione mattutina furono più avvertibili di quanto lo fossero stati il giorno prima. Verso la parte finale, iniziai ad avvertire una distanza maggiore del solito tra la testa e il busto, quasi il collo fosse stato sottoposto ad una sorta di allungamento. Anche il vago chiarore che avevo avvertito sin dal primo giorno cominciava a definirsi meglio e iniziavo a percepire una sorta di luminosità concentrata nella parte centrale del rettangolo buio che è possibile percepire non appena vengono chiusi gli occhi. Al termine, rinunciai volentieri a fumare per restare più a lungo nella sala che si stava gradatamente vuotando, per continuare a percepire le sensazioni che mi provenivano dall’interno e per consentire alle varie parti di rientrare più gradualmente e più dolcemente in contatto tra di loro.
Riuscii comunque a “ricomporre” me stesso in breve tempo, giungendo così in perfetto orario al mio posto di lavoro e fui sorpreso quando Christiane, che quel giorno svolgeva il ruolo di focalizzatrice principale dopo esserlo stata in seconda il giorno precedente, disse a me e alla donna americana del mio corso che la nostra presenza non era prevista quel giorno.
Invece di essere sollevato dalla prospettiva di una mattinata libera che sembrava implicita nelle sue parole, restai interdetto e visibilmente contrariato dell’opportunità che sembrava venire meno e fui quindi lieto di apprendere immediatamente dopo che probabilmente vi era stato un errore di comunicazione e che il nostro apporto sarebbe comunque stato ben accetto.
Quel secondo giorno le cose filarono lisce sin dall’inizio e fui in grado di entrare di più nel processo che portava alla realizzazione di parte delle portate che sarebbero poi state esposte nel buffet ed ebbi anche l’occasione di notare con più attenzione gli ortaggi utilizzati nella preparazione dei piatti freddi e di quelli caldi. Pur non avendo una grande esperienza in quel campo, sono certo che le dimensioni degli ortaggi a me noti erano assolutamente enormi, mentre non fui in alcun modo in grado di riconoscerne altri, sempre di dimensioni enormi, che ero certo di non aver mai visto nella mia città sui banchi dei mercati.
Il solo affettamento in cerchi molto sottili di otto cetrioli richiese quasi tre ore di lavoro continuo e ridussi a metà la pausa per il caffè per poter terminare quel compito che mi era stato assegnato. Partecipai come il giorno prima al lavaggio di contenitori e utensili impiegati nella preparazione del pasto, ma, pur essendo presenti quasi le stesse persone del giorno precedente, fui molto lieto di vedere che non si realizzavano intasamenti e che partecipavamo quasi tutti a quella fase del lavoro.
Il surplus di armonia e partecipazione esistente quella mattina ci consentì di finire quasi in anticipo il lavoro e vidi che la focalizzatrice era molto soddisfatta di questo risultato, rendendo esplicito questo suo sentimento nelle parole di ringraziamento che ci rivolse quando formammo prima il piccolo cerchio che poneva termine al lavoro e poi facendone ancora menzione nel cerchio più ampio che includeva le prime persone giunte per il pasto.
Mi concessi il lusso di fumare all’esterno una sigaretta prima di rientrare nella sala e di scherzare poi al tavolo con alcune persone del gruppo e, in particolare, con Mia, che aveva davanti a sé un piatto che, almeno all’apparenza, non sarebbe stato sufficiente per nutrire un uccello di piccole dimensioni.
Il mio umore non mutò neanche nel viaggio di ritorno verso il College, ma restai più silenzioso e assorto nell’ascolto delle sensazioni che stavo provando, quando mi resi improvvisamente conto che non avvertivo più il netto divario energetico tra la sede della Comunità che avevo appena lasciato e il grande edificio posto sulla cima della collina verso il quale ero diretto.
Giunto al College cercai di trasmettere a Giovanni le mie sensazioni, ma mi resi conto immediatamente che il suo umore era diverso dal mio e mi confidò che la sera precedente si era recato in un pub della cittadina in compagnia della giovane italiana residente e di altre persone giovani del gruppo.
Non ero completamente in grado allora di mettere in relazione questa sua uscita serale, con un gruppo di amici e amiche e con relativa bevuta di alcolici, con l’evidente calo energetico che percepivo essere avvenuto in lui. D’altro canto, quando nei giorni successivi avrei avuto modo di conoscerlo meglio, mi sarei potuto rendere maggiormente conto di quanto potesse influire su di lui quel tipo di esperienza che lo riconduceva con forza ad abitudini radicate e a comportamenti dai quali stava cercando faticosamente di venire fuori.
Il cambiamento energetico avvenuto nel mio giovane compagno di corso mi aveva scosso. Non riuscivo a capire come riuscisse a restare anche temporaneamente estraneo al meraviglioso flusso delle cose che mi stava trasportando verso una destinazione sconosciuta ma certamente interessante.
Non vi era comunque molto tempo per perdersi in quei pensieri, in quanto mancava ormai poco tempo all’orario della gita al fiume prevista per quel giorno e che era stata già effettuata dai componenti dell’altro corso. A giudicare dall’espressione dei loro volti, si doveva essere trattato di un luogo non comune e sembravano tutti carichi di energia ed entusiasti dell’esperienza fatta, favoriti anche dal turno più favorevole, visto che si era svolta in una mattinata benedetta da un sole radioso, mentre a noi sarebbe toccata la poca luce del corto pomeriggio autunnale.
Alla guida del mio pulmino c’era un componente del mio corso che mi aveva colpito sin dal primo incontro. Si trattava infatti di un residente e il suo atteggiamento e il suo sguardo chiarivano inequivocabilmente che la sua permanenza nella Fondazione era stata tutt’altro che formale. Non riuscivo a capire il motivo della sua presenza in un corso espressamente dedicato a persone che si accostavano per la prima volta al cammino di traformazione interiore, o almeno a quel tipo di percorso, ed ero convinto che neanche a lui fosse chiaro il motivo che era alla base della sua partecipazione al corso. Non ero, tuttavia, così cieco da non vedere le differenze esistenti tra le nostre due guide e il giovane “ripetente”. Mentre i primi due erano dotati di una grande capacità di controllo e di padronanza delle tecniche che consentivano loro di indirizzare un gruppo di persone così composito verso le tappe previste, il giovane denotava un notevole progresso nella trasformazione interiore ma un'altrettanto evidente incapacità nel trasmettere la sua esperienza o nell’indicare ad altri i passi necessari per procedere su quel cammino. Non ritenevo, invece, che il suo allontanamento dalla Comunità fosse alla base del suo inserimento nel nostro corso, quanto piuttosto che il suo temporaneo abbandono potesse essere stato determinato proprio dai limiti che i focalizzatori della Comunità stavano cercando, con il suo consenso, di correggere.
Non so perché, ma l’espressione un po’ infelice di quel giovane mi ricordò la situazione di tanti bambini definiti non so quanto propriamente “dotati” o “superdotati” e tutte le difficoltà cui vanno incontro nel processo di apprendimento che raramente è gestito tenendo conto della velocità alla quale è loro possibile procedere, rendendo spesso la velocità dovuta alle loro doti più un handicap che un fatto positivo. Questo problema mi ha sempre colpito profondamente e non solo perché avevo subìto a nove anni la correzione della mano che impiegavo naturalmente nello scrivere. Sono, altresì, sicuro che il modo in cui viene affrontata questa questione non dipenda assolutamente dal fatto di frequentare una scuola statale o un esclusivo istituto di istruzione gestito da privati. Forse, per i figli dei membri della Comunità la situazione era diversa, in quanto la scuola steineriana che loro frequentavano era più in grado di assicurare quello sviluppo totale della loro personalità in grado di risolvere alla radice quel tipo di situazione che all’esterno si traduceva spesso in un disadattamento di ragazzi rei soltanto di venire al mondo con uno schema di funzionamento del cervello, o meglio una attivazione degli emisferi dello stesso, diverso da quello che caratterizza la maggioranza degli individui.
L’inventore della macchina per scrivere e i realizzatori dei sistemi di scrittura utilizzabili su personal computer non saranno mai abbastanza benedetti per aver tirato fuori da grandi difficoltà i tanti che, mancini o ambidestri, hanno sempre sofferto nello scrivere manualmente, costringendo tutti all’utilizzo di entrambe le mani.
Mi riscossi da quei pensieri e cercai di osservare con maggiore attenzione il paesaggio stupendo che era possibile scorgere dai finestrini mentre il pulmino procedeva in salita lungo una strada che attraversava un grande bosco.
Giunti ad una specie di valico, iniziammo a scendere quasi allo stesso livello da cui era iniziata la salita. Non vedevamo il fiume, ma ero quasi certo della sua vicinanza e che la discesa ci aveva portato alla sua altezza.
Scendemmo e ci inoltrammo in uno stupendo sottobosco, finché non giungemmo su una lieve altura che aveva come tappeto un manto di foglie rossicce, illuminato debolmente dalla poca luce che riusciva a filtrare dagli alberi altissimi, posti ad una notevole distanza l’uno dall’altro.
Finalmente formammo il cerchio e venne dato il via all’attunement iniziale. Quando ebbe termine la breve meditazione, fummo informati che non era prevista nessuna attività collettiva e che eravamo liberi di aggirarci, preferibilmente da soli, lungo la riva del  fiume e nei sentieri del bosco.
Il viaggio era durato più di quanto avessi previsto e sentivo un bisogno impellente di fumare. Mi aggirai cercando di trovare un posto non visibile dagli altri e non potei fare a meno di pensare che il mio comportamento non era molto diverso da quello che assume chi ha un impellente bisogno fisiologico. Avevo ridotto drasticamente il numero quotidiano di sigarette dal mio arrivo a F., ma l’esistenza dello Smokers’ Bar e l’elevato numero di fumatori presente nell’edificio avevano ridotto il mio senso di colpa e reso meno drastica la riduzione della dose quotidiana. Impiegai almeno un quarto d’ora a trovare un angolino dove fosse possibile fumare in santa pace e, sino a quel momento, avevo degnato appena d’uno sguardo sia il bosco che il fiume, ma, appena soddisfatto il mio bisogno, rifeci a ritroso il percorso appena compiuto cercando di recuperare il tempo perduto.
Anche se il bosco era meraviglioso, la vista del fiume nel tratto che correva una decina di metri sotto di me era tale da togliere il fiato.
Il colore dell’acqua era di un nero rossiccio e, in quel punto, il fiume correva con una violenza impressionante, anche perché il suo corso era ostacolato da grandi massi che lasciavano libero solo un passaggio relativamente stretto. Poco più in basso il fiume era leggermente più calmo e si divideva attorno ad una montagna di roccia accessibile dalla riva e che sembrava la meta preferita dei miei compagni di corso che, a turno, prendevano posto sulla sommità di quella sorta di isola per guardare il fiume da quella prospettiva.
Pur trovando suggestiva quella possibilità di vedere il fiume avendo l’illusione di trovarsi al centro dello stesso, preferii proseguire per il sentiero che mi avrebbe ricondotto al punto di partenza, quando vidi Ethel seduta su di un albero che presentava a poca distanza da terra una biforcazione che costituiva un comodo sedile.
Non so quale sia la vostra idea degli angeli, ma, vedendo la mia guida a qualche metro di distanza in quella particolare posizione, io ero convinto che quello dovesse essere il loro aspetto e mi fermai dove mi trovavo per evitare di turbare, anche involontariamente, la visione che avevo di fronte.
Ero ancora lì immobile, quando vidi avvicinarsi dall’altro lato del sentiero la signora anziana che sedeva ogni mattina nel Santuario del Park. Non ero ancora certo della sua identità, ma i miei residui dubbi vennero fugati quando giunse all’altezza di Ethel ed ebbi modo di vedere l’autentica deferenza con la quale la mia giovane guida si rivolgeva alla nuova venuta. Non potevo più restare impalato in mezzo al sentiero e mi diressi quindi incontro all’anziana signora e al suo accompagnatore, salutandoli con un cenno del capo e rivolgendo un caldo sorriso a Ethel.
Stavo ancora riprendendomi dalla situazione imbarazzante in cui mi ero appena trovato, quando, fatti pochi metri, restai a bocca aperta vedendo la trasformazione dell’aspetto del fiume, appena qualche decina di metri a monte del tratto precedente. Quello che poco più a valle era un’efficace rappresentazione di un impetuoso fiume infernale, scorreva infatti placidamente costeggiato da grandi alberi che sfioravano con i loro rami l’acqua che lambiva le rive tranquille. Anche il colore dell’acqua sembrava diverso e il paesaggio sembrava quello caratteristico di un tranquillo fiume dell’Inghilterra centrale.
Anche se quel pomeriggio avevo deciso di lasciarmi andare soltanto alla contemplazione del paesaggio circostante e di considerarmi in vacanza, non potei evitare di vedere la similitudine esistente tra quel fiume e quel fenomeno con il quale dobbiamo fare quotidianamente i conti, la forte pulsione denominata desiderio. Come quel fiume, il desiderio giace tranquillamente in noi finché è allo stato latente, per poi crescere velocemente appena accade qualcosa in grado di risvegliarlo, così come fa il fiume quando si avvicina alle rocce più a valle. A quel punto, come il fiume in mezzo alle rocce, diventa impetuoso ed è pronto a travolgere come fuscelli tutti gli ostacoli che gli si parano di fronte e che minacciano di impedirgli di raggiungere il suo punto massimo, per poi, all’improvviso, superato quel punto, diventare quieto e riprendere, come il fiume, a scorrere placidamente, almeno sino alla prossima occasione.
Decisi che per quel pomeriggio avevo visto abbastanza e guadagnai la cima di un'altura, dove mi sedetti e mi concessi un’altra sigaretta, richiamando con l’aroma del tabacco perfettamente individuabile in quella natura incontaminata Giovanni e gli altri fumatori del gruppo.
Restammo a chiacchierare in santa pace per qualche minuto, ma si avvicinava l’ora prevista e ci avviammo verso il luogo dell’appuntamento, dove ebbe termine rapidamente l’esperienza e ci riavviammo in fretta verso i pulmini che ci avrebbero ricondotti al College.
Quando giungemmo all’edificio, mancavano pochi minuti all’ora di cena. Ero molto affamato e presi posto, insieme a Giovanni, al primo tavolo che incontrai sulla mia strada.
La ragazza italiana e un’altra residente proveniente dalla Spagna presero posto al nostro tavolo e, ignorandomi del tutto, invitarono Giovanni e un ragazzo tedesco ad andare con loro al pub al termine della nostra riunione.
Inizialmente ero quasi più imbarazzato per l’imbarazzo che avventatamente attribuivo loro che ferito per la mia esclusione.
Respinsi l’invito di Giovanni di aggregarmi a loro anche perché, anche se tra di loro parlavano in spagnolo, mi era perfettamente chiaro che avevano progetti ben definiti sui miei due giovani compagni, progetti certamente ben chiari anche a Giovanni e all’altro ragazzo.
Mi rifugiai nello Smokers’ Bar che, grazie al cielo, in quel momento era deserto e restai lì per qualche minuto al buio, ferito in particolar modo dalla assoluta gratuità di quanto era appena accaduto.
Alzai gli occhi vedendo aprirsi la porta e, con gli occhi abituati alla penombra del locale, scorsi Miriam prima che lei accendesse la luce principale e mi chiedesse con molta gentilezza se per caso non volessi restare lì da solo. La invitai ad entrare e a sedere al mio tavolo e non le occorse molto a capire il mio stato d’animo e ascoltò con sincero interesse il mio lungo sfogo.
Ad un certo punto, entrò nella stanza una delle persone che mi avevano involontariamente ferito, ma capita al volo la situazione si allontanò in tutta fretta e consentì a Miriam di procedere in quell’attività di pronto soccorso psicologico. Non ricordo cosa le dissi, né quello che lei mi rispose, ma dopo qualche tempo una sensazione di calore curativo si sprigionò dal mio interno e mi resi conto che lei aveva avuto un ruolo determinante nella mia guarigione.
Ero imbarazzato per quanto era accaduto, ma allo stesso tempo felice di aver avuto modo di verificare che la mia prima impressione su quella donna si era verificata completamente esatta e che, anzi, l’avevo sottovalutata.
L’approssimarsi dell’ora della riunione serale del nostro gruppo ci consentì di uscire agevolmente dal clima particolare che si era creato tra di noi e lei lasciò la stanza prima di me, dandomi modo di rimettere meglio insieme i miei cocci e di prepararmi alla successiva tappa di quella giornata.
L’incontro serale fu alquanto drammatico. Almeno un paio di persone si “ruppero” e fu deciso di annullare l’incontro previsto con un membro della Comunità impegnato in una delle tante attività produttive sorte nell’ambito e ai margini della Fondazione.
Il colloquio a cuore aperto avvenuto dopo cena con Miriam impedì che io fossi il terzo a rompersi quella sera, ma avevo anche un’altra difficoltà, rappresentata dal fatto che la rapidità con cui si espressero le persone quella sera mi impedì assolutamente di comprendere i motivi delle rotture.
Le nostre due guide dovettero faticare non poco a riprendere in mano la situazione, ma verso il termine dell’incontro il clima era visibilmente migliorato, in particolare nelle due persone che erano riuscite a condividere con il gruppo nodi che probabilmente avevano origine lontana. Nonostante ciò fui molto sollevato quando si ricompose il cerchio per l’attunement finale e, dopo una breve meditazione, la riunione si sciolse.
Scesi al piano terreno e, mentre bevevo una tazza di caffè, ero sicuro che quella sera non sarei andato a letto presto, pur non avendo assolutamente idea di cosa sarebbe accaduto.
Ero ancora lì, in prossimità della porta di ingresso dell’edificio, quando venni raggiunto da Mia che mi chiese se ero interessato ad andare in un pub a F. con Miriam e l’unico ragazzo inglese del nostro gruppo. Accettai con entusiasmo il suo invito, informandola dell’uscita di Giovanni e del ragazzo tedesco in coppia con le due giovani ragazze e lei mi rivolse un sorriso complice che mi chiarì che era perfettamente al corrente dei progetti che le due residenti nutrivano sui nostri due compagni. Sempre scambiandoci sorrisi di intesa, decidemmo di convincere Miriam e Peter ad effettuare con noi una specie di caccia al tesoro con obiettivo il pub dove si erano recati gli altri, con il non recondito intento di guastare loro la festa.
Non so per qual motivo i miei tre compagni di avventura presero decisamente la impervia e buia strada che attraversava il bosco, mentre io avrei preferito la strada asfaltata che, anche se non mi ci ero mai recato dal giorno del mio arrivo, ero convinto che ci avrebbe condotto direttamente in paese.
Quella sera il freddo era molto intenso e la luna era coperta da un fitto strato di nuvole, ma i miei tre compagni si muovevano come se si trovassero nel loro elemento, quasi confermando – come sottolineai loro con tutta franchezza – con la loro sicurezza la nettissima corrispondenza esistente tra i loro lineamenti e tre tipi diversi di creature dei boschi.
Erano da poco passate le nove di sera quando finalmente sbucammo dalla strada dei boschi su una grande strada asfaltata, ma, nonostante la forte illuminazione, il paese sembrava completamente deserto. La caccia fu più difficile del previsto e potemmo constatare come, pur essendo la cittadina che ospita il College una piccola e tranquilla località, i pub sorgevano come funghi, ma fu soltanto al settimo tentativo infruttuoso e all’avvicinarsi dell’ora di chiusura di questo tipo di locali che decidemmo di lasciare l’altro quartetto al proprio destino e ci infilammo nel primo pub che incontrammo.
Il paese era deserto ma i pub erano molto affollati, soprattutto alla luce del fatto che eravamo soltanto al secondo giorno lavorativo della settimana. All’interno del fumoso e un po’ squallido locale vi erano solo persone del posto che non ci riservarono un’accoglienza particolarmente calorosa e feci notare ai miei compagni la presenza di un uomo che poco prima ci aveva detto che non vi erano locali di quel tipo nel paese...
Sapendo di lottare contro il tempo e sperando di combattere così il freddo pungente che iniziava ormai ad entrare nelle ossa, ci affrettammo a ordinare da bere e prendemmo posto vicino al banco e non nella sala principale, affollata di persone del luogo che davano l’idea di trascorrere in quel luogo le serate di ogni giorno della settimana. Mi resi conto che per i miei compagni la frequentazione dei pub era usuale come per me prendere un caffè o un cappuccino, ma non sembravano particolarmente ansiosi di bere e centellinammo le nostre bevande per farle durare fino all’ora di chiusura che arrivò implacabile poco tempo dopo con un segnale sonoro e l’abbassamento ritmico delle luci.
Non avvertivo il calo di energia che avevo notato in Giovanni quel pomeriggio. forse era dovuto all’effetto che aveva su di me la compagnia di quelle persone o alla estrema modestia della trasgressione alcolica che avevamo compiuto, fatto sta che avvertivo una sensazione di benessere che ero certo essere condivisa dai miei tre compagni.
Non sfruttammo il tempo che è concesso agli avventori dopo il segnale di chiusura e ci allontanammo in fretta da quel locale nel quale avevamo vissuto l’unico contatto con la vita ordinaria dopo quattro giorni di permanenza all’interno dei diversi luoghi in cui si svolge la vita della Comunità. Evidentemente i miei compagni non ne avevano avuto abbastanza dopo il primo attraversamento del bosco e mi condussero con decisione in quella direzione, incuranti delle mie vibranti e quasi accorate proteste.
La Luna ora splendeva alta nel cielo, appena svestita della magnificenza del plenilunio, ma non appena ci fummo addentrati nel bosco, potei subito constatare che il fitto intrico degli alberi non consentiva alla sua luce di filtrare fino a noi se non in qualche punto del nostro percorso. Peter, Mia e Miriam percepirono subito la mia esitazione e formarono un’unica fila con me al centro, imprimendo, non senza esprimere rumorosamente la loro allegria, una brusca accelerazione al ritmo del nostro cammino, mentre io continuavo a chiedermi in quale modo riuscissero ad orizzontarsi ed evitare gli ostacoli, visto che eravamo immersi nel buio più totale. Se non puoi opporti, unisciti a loro recita un adagio e io decisi di fare esattamente così, abbandonandomi senza più protestare al loro rapido incedere e pronto a seguire quelle meravigliose creature sino all’inferno se questo era necessario. Non fu necessario e, quando meno me lo aspettavo, giungemmo in vista dell’edificio principale completamente illuminato dalla luce bianca della Luna.
Non sapevo se rallegrarmi a quella confortevole vista o rattristarmi per la conclusione di quel momento magico in cui, grazie alla compagnia di tre persone così simili a tre tipi diversi di creature dei boschi, avevo potuto vedere, in condizioni di relativa sicurezza, lo spettacolo affascinante di un bosco di notte, anche se ero certo che non avrei mai ripetuto da solo quell’esperienza. Essendo appena stato in uno Smokers’ Bar esterno, mi astenni dal recarmi in quello posto all’interno dell’edificio e, salutati affettuosamente i miei tre compagni di avventura, mi recai nella sala di lettura, non senza prima aver preparato un’abbondante tazza di caffè.
Ero completamente sveglio a dispetto dell’ora relativamente tarda, ma decisi di recarmi quasi subito in camera perché avevo ottenuto in prestito da Giovanni un libro italiano sulla Comunità presso la quale ci trovavamo.
Non mi andava di leggere a letto e mi recai al bagno, dove, immerso nella vasca, ne lessi una buona parte e, pur trovandolo interessante, ero contento di non averlo letto prima della partenza. Tornai in stanza e, spenta la luce, mi addormentai immediatamente.

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook