“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 12 July 2015 00:00

Racconti sonori – L'attesa

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Hooverphonic – Mad About You

La strada era nel cuore dell’antica città, eppure, in quel lungo tratto in salita buio e scarsamente illuminato, appariva solo anonima e banale strada di periferia; lentamente si inerpicava verso l’oscurità del parco pubblico, dove le macchie oscure delle ambasciate fortificate sembravano tetramente nascondersi in un immobile agguato.

È un tardo pomeriggio autunnale ed è la prima volta che Walter si trova in quella parte della città; è in attesa vicino ad una fermata di autobus, con il cuore che batte forte come ad un appuntamento d’amore. La fermata, posta poco prima dell’inizio della salita, è l’unica oasi di vita della locale fauna migrante nei suoi compulsivi ritmi quotidiani. Sul lato dove Walter si confonde insieme alla gente in attesa, alberi e sterpaglie delimitano qualche vecchio palazzo popolare. Senza soluzione di continuità il terreno passa dalla strada al cortile incolto e dal cortile alle finestre. Senza recinzioni né cancelli. Nel lato opposto della via, la stessa è un continuo parcheggio esclusivo e serale di una lunga fila di furgoni e camion sgarrupati, prezioso capitale di padroncini volenterosi.
Walter passeggia metodicamente tra i palazzi seminascosti dalla vegetazione al ritmo regolare delle frenate dei bus. Arriva fino all’altezza di una coppia di innamorati, che dall’altro lato della strada amoreggia dietro i camion fermi, e torna indietro. L’aria della sera è umida e la mano nel caldo della tasca del suo loden ha ormai riscaldato l’ingombrante fredda pesantezza. Incrocia visi vuoti di emozioni, stanchi, a volte preoccupati, che lo ignorano. I loro volti sono messi perfettamente a fuoco, con indifferenza. Finta noia tra vere inquietudini quotidiane. Il tempo lentamente scorre. A volte una faccia lo ispira. Il bisogno di evadere della sua mente allora prende il sopravvento conducendolo ad immaginare la reazione di quel volto di fronte all’inaspettato. Al particolare fuori sincrono che spiazza un’apparenza, che devia una sera, il consueto ritorno a casa. Tutti trucchi per ingannare l’attesa. Immaginazione, compagna dell’attesa. Nemica della concentrazione.
La coppia, dall’altra parte della strada nel buio, sembra aver perso qualcosa nei vestiti e ora la cerca con frenesia. Walter li guarda. Distrattamente. Poi dalla salita, nell’oscurità, scende un’ombra. Walter si irrigidisce. Mentre una mano si serra intorno al corpo estraneo in tasca, l’altra rimane inerte come rifiutandosi di entrare in parte. Da lontano segue l’ombra che scompare e riappare dietro i camion parcheggiati nell’oscurità. Sbadiglia in un bisogno impellente del corpo di inghiottire più ossigeno possibile. Quando l’ombra passa a fianco della coppia innamorata capisce che non è ciò che aspettano, infatti nessuno si muove. Si sente più leggero. Ma ora l’imbarazzante presenza che si porta dietro è ancora più pesante.
Un vecchio con capelli bianchi e incolti sbuca improvviso dagli alberi del cortile. Cammina lento, il piede destro piegato leggermente all’esterno. Dalla tasca sudicia di un chiaro impermeabile logoro spunta il foglio di un giornale: Il cavallo. È malfermo sulle gambe, dopo pochi passi si ferma incerto, fa come per voltarsi indietro, poi sbuffando si rigira verso la sua sinistra e si dirige verso la vegetazione che costeggia il marciapiede. Traffica un po’ e piegandosi lentamente verso l’indietro comincia ad orinare. Una macchia liquida inizia ad allargarsi ai suoi piedi tra l’indifferenza delle persone attorno.
Altri autobus. Altra gente che scende, altra gente che sale.
Le mezzore si duplicano. La coppia sembra agitarsi, muoversi. Attraversano la strada venendogli incontro. Lo incrociano e passano oltre. Lui li segue. L’attesa è finita.
Passarono settimane e Walter aspettava. L’attesa della attesa. Sapeva che sarebbe dovuto tornare inevitabilmente a quella fermata d’autobus. E nel mese di Natale è di nuovo lì.
Il freddo, nell’ennesima lunga attesa, entra nelle ossa. Walter cerca calore nelle indecise luminarie natalizie che disegnano arabeschi luminescenti nelle chiazze oleose dell’asfalto bagnato, come la traccia impazzita di un iridescente sismografo. Ma è un errore. Le linee iridate ondulanti lo seducono e lo rapiscono definitivamente.
Ora si ritrova a pochi centimetri da quelle luci meravigliose e fantastiche che riempivano il suo albero di Natale, quando suo padre lo decorava con immatura serietà ed infantile intransigenza. Luci magiche e tristi che nella loro indefinita opalescenza sembravano venire da un fantastico mondo lontano. Sfiorato da una nostalgia allora a lui incomprensibile restava fisso a guardarle per un tempo indefinito, sospeso. Trasognato al limitare di quel fantastico mondo di minuscole casette colorate perse nella neve, di stelline intermittenti avvolte da fiocchi di ovatta, come nebulose in galassie lontane. Tutti mondi sconosciuti nei quali, pur desiderandolo, non riusciva più ad entrare. E provava la nostalgia di qualcosa che non aveva ancora vissuto, ma che cresceva dentro lui in maniera confusa ed indefinibile.
Dall’oscura salita un’ombra strana lentamente scende. Il suo albero di Natale si infrange in mille pezzi. Un caleidoscopio di ricordi viene bruscamente risucchiato dal freddo umido della sera.
L’ombra è doppia. Sono due persone affiancate che scendono. Walter si rilassa. Ma continua a seguirli con lo sguardo fino alla coppia di innamorati che, fingendo di fregarsene del freddo che li avrà gelati, continuano nelle loro effusioni. Buone per scaldarsi. I due uomini oltrepassano la coppia e superano, sull’altro marciapiede, la perpendicolare della sua posizione. Da un autobus scendono una mamma e la sua bambina. Infagottate, mano nella mano camminano veloci verso una casa accesa e calda. E più nulla.
E ancora l’attesa dell’attesa. La prima del nuovo anno. Un’altra sera alla fermata, un’altra attesa inutile dove, dall’altro lato della strada, la coppia che amoreggia si scioglie dall’abbraccio e se ne va.
L’attesa uccide, ma lui è vivo. E nel freddo umido aspetta.
Il freddo si è impadronito del suo corpo.
L’attesa uccide, ma lui è ancora vivo...
Fu 28 anni dopo che accadde.
Era estate e Walter era entrato in un bar per spezzare il ritmo del lungo pomeriggio. Fra mezzora sarebbe andato a prendere suo figlio impegnato nei corsi di nuoto alla piscina comunale. Il locale era semideserto, solo una televisione in alto di lato al bancone era accesa sul notiziario nazionale. Si avvicinò distrattamente al barista e ordinò un caffè. Mentre sorseggiava rilassato la voce dello speaker continuava a parlare del reclutamento di combattenti che avveniva in martoriate terre remote. Delle modalità di addestramento delle nuove leve...
E fu allora che in un lampo capì.

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