Oggi abbiamo la certezza pressoché assoluta che ogni libro abbia almeno una copia digitale al sicuro in qualche disco di backup. È difficile dunque capire quale atto di sfregio sia stato quell’ordine, brutale e freddamente premeditato, che destinava i libri al rogo. Distruggeva quanto di meglio l’ingegno umano era riuscito a produrre, fiducioso che la grandezza di un popolo si sarebbe tramandata attraverso opere più spettacolari e grandiose, come i monumenti, o il tenore delle riforme promulgate. Era questo il genere di pensieri ch mi frullavano in testa una volta finito di leggere The Help di Kathryn Stockett.
In realtà il libro s’impernia su una tematica completamente diversa, ovvero quella della segregazione razziale durante il periodo della rivendicazione dei diritti dei neri da parte di Martin Luther King.
Nulla toglie che l’argomento sia di per sé affascinante, senza contare che l’afosa Jackson, nello stato del Mississippi, fornisce uno scenario che sembra sospeso nel tempo e nello spazio. Ho provato una sensazione di straniamento quando ho realizzato che questo luogo apparentemente lontanissimo, in cui alle domestiche di colore i bianchi affidavano volentieri i loro bambini ma non lasciavano usare lo stesso bagno, non era poi così lontana nel tempo. Voglio dire, mia madre è nata in quegli anni, e non è così vecchia come il tenore di vicende del genere lascerebbe supporre. Il fatto è che queste donne, vessate dalle loro datrici di lavoro nonostante queste ultime dipendessero completamente da loro, decidono di scrivere un libro per far conoscere la loro condizione a tutta l’America.
Con una sorta di perverso senso di rivincita – avendo in mente il grande ventaglio di vessazioni subite dal libro – mi sono resa conto di quanto potere sia contenuto in quel caduco supporto. Le domestiche di Jackson, con l’aiuto di una ragazza bianca, che diventando anticonformista viene emarginata dalle amiche di una vita, decidono di “oltrepassare il limite” proprio scrivendo.
L’atto della scrittura, prima ancora della pubblicazione, si configura come una ribellione, come una presa di coscienza e come un mezzo, potentissimo, di riscatto. Raccontare le loro esperienze, ponendo l’accento non solo sugli aspetti più turpi di quella servitù retribuita, ma anche sull’amicizia spesso nata dal lungo e costante contatto, diventa un modo per uscire dall’ombra.
C’è anche da considerare il potere delle donne: esse sono le assolute protagoniste del romanzo, non solo perché la storia si dispiega in capitoli focalizzati sul punto di vista di tre di loro, ma anche perché le figure maschili – di qualsiasi etnia facciano parte – sono viste soltanto come elementi di disturbo privi di empatia, violenti sia dal punto di vista verbale, sia da quello fisico. Dunque The Help non è solo la storia di una trasformazione nell’ambito dei dritti delle persone di colore, ma anche di quelli di tutte le donne: per anni vessate e sminuite, esse – come i libri – nascondono un potere dalla portata incontenibile.
Questo punto di vista così ben delineato è responsabile di alcuni dei passi migliori del libro, in cui le domestiche ripensano con rammarico alla trasformazione – questa volta in negativo – subita dai bambini, da loro cresciuti e amati, una volta diventati abbastanza grandi da captare le influenze del mondo esterno. L’accento è posto interamente sulla funzione dell’educazione, eppure il lettore, al pari delle domestiche, prova dei sentimenti contrastanti nel leggere quelle pagine. Da un lato rabbia e rammarico di fronte alla rassegnazione forzata; dall’altro una sorta di pietosa compassione per la figura fantasma di molte donne bianche che, oppresse dalla società in modi completamente diversi, senza l’aiuto delle domestiche tanto bistrattate si sarebbero piegate come una pianta senza il suo bastoncino di sostegno.
Kathryn Stockett
The Help
traduzione di Paola Frezza Pavese
Milano, Mondadori, 2012
pp. 524