“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 23 March 2015 00:00

Sono dietro di te (parte 12)

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Al gong del primo round Marco è visibilmente gasato e cerca di coinvolgermi ragguagliandomi su dati e statistiche riguardanti i due pugili. Intanto sul ring il ritmo è sostenuto. È lo sfidante che avanza, il campione gli gira intorno tenendo il centro del ring come punto di riferimento per non farsi schiacciare alle corde. Crasti prova a colpirlo ai fianchi un paio di volte, Catalano si copre bene e lo tiene a distanza con il jab che va parzialmente a segno senza però incidere. Il primo round si conclude con un sostanziale equilibrio (secondo Marco a favore del campione), diciamo uno di quei classici round detti “di studio”.

“Guarda che la boxe comunque non è violenza bruta” mi fa Marco nella pausa tra la prima e la seconda ripresa, e aggiunge con voce alta (il palasport ormai è gremito e rumoroso): “C’è tanta disciplina in questo sport ed un rispetto delle regole che gli altri se lo sognano, non puoi ad esempio dare una testata, anche se può capitare” – “Si, ma il fine è comunque violento” gli faccio io. “Certo, ma di una violenza contenuta, quindi non una vera violenza” e poi a mezzo sorriso aggiunge: “certo è vero il fatto che questo è l’unico modo di uccidere qualcuno davanti a tutti senza correre il rischio di andare in galera”. Boato del pubblico, inizio della seconda ripresa. Ancora più noiosa della precedente. Marco se ne  accorge e mi fa: “Non ti stai divertendo molto, vero?” – “Incontro troppo tattico” rispondo io cercando di simulare un minimo di competenza. “Capisco, sei uno che vuol vedere il sangue tu” fa lui sempre più divertito e urlante. Fine della seconda ripresa, niente da segnalare ma, dice Marco, 2 a 0 per Catalano (o per meglio dire 20 a 18, nella boxe il punteggio massimo da dare al vincitore di un round è 10, chi perde invece si becca 9, se va giù e si rialza i giudici gli rifilano un 8, parola del buon Marco). Sfilano via sonnecchianti anche la terza, la quarta e la quinta. Marco mi ragguaglia ancora sul punteggio, i round, a detta sua, sono stati tutti a favore del campione. Bah... Alla sesta il vecchio Crasti indovina il gancio sinistro. Catalano lo accusa per qualche secondo, sbanda sulle corde, l’avversario ne approfitta con una serie di montanti al corpo, ma il campione si chiude bene e riesce a superare il momento duro. È comunque il primo round che lo sfidante finalmente si aggiudica (e non c’è bisogno che Marco me lo suggerisca). Settima ripresa decisamente inesistente. Il campione sembra aver accusato il gancio precedente, ma lo sfidante, da par suo, pare sentire il peso degli anni. Non succede assolutamente nulla. Chiedo quindi il parere di Marco il quale mi dice: “Guarda, secondo me i giudici prendono in considerazione il fatto che Catalano non ha ancora superato del tutto il gancio di prima e, visto che non ha portato il minimo jab, ma si è limitato solo a contenere, la danno a Crasti che però sembra già un po’ stanco” e io penso “se lo dici tu...”.
“Vedrai che questa è la sua ripresa, Catalano all’ottava diventa una belva, sempre che abbia assorbito del tutto quel gancio, ma vedrai che adesso ci si diverte. Vedrai... Vedrai...” insiste Marco sempre più coinvolto. Il suo incitamento non mi è d’aiuto, ormai mi sono totalmente disinteressato. Mi sto estraniando sempre più ed incomincio a pensare che forse Marco ha ragione. Forse non c’è nulla di violento in questa boxe, “Forse i violenti siamo noi che la guardiamo”. – “Cosa?” mi urla Marco accostando l’orecchio alla mia bocca. Avevo sputato a bassa voce quello che doveva essere un semplice pensierino. Ma lui insiste: “Che hai detto, non ho sentito” – “Niente”, faccio io. “Pensavo ed è uscita fuori così a mezze labbra” – “Si, ma cosa” insiste lui, ed io: ”Riflettevo sul fatto che forse siamo noi ad avere sete di violenza nel seguire questo sport. In effetti loro stanno semplicemente facendo il proprio lavoro, magari divertendosi, sicuramente entrambi consenzienti e, riallacciandomi al discorso nostro precedente sul piacere, non c’è niente di male in tutto questo. È il nostro morboso voyeurismo ad essere contorto”. Inizia l’ottava ripresa. Marco continua a seguire l’incontro animatamente ma, mantenendo un briciolo di attenzione per quanto detto, risponde: “Tralasciamo adesso la questione boxe, forse rischia di sviarci ulteriormente dal nostro ragionamento. In generale sul Piacere posso essere anche d’accordo con te, e cioè che non sia un male per chi lo compie, ma non sempre. Riconosco infatti che ci siano piaceri immediati e piaceri a lungo termine; fare uno sciopero della fame, ad esempio, per avere un posto di lavoro futuro, può trasformarsi in un piacere a lungo termine, o meglio, un piacere programmato, era a questo che mi riferivo la volta scorsa con il termine ‘accezione’”. Catalano attacca. Ha pienamente recuperato e spinge Crasti alle corde. “Forse perché identifichi il piacere con il bene” controbatto io. Pronta la risposta di Marco: “E non è quello che hai fatto tu la scorsa volta? mi pare dicesti una frase del tipo, ‘il piacere non può mai essere un male, quindi deve necessariamente essere un bene’”. Terribile gancio destro di Catalano dopo una serie di jab e diretti tutti a segno che avevano forzato la guardia dello sfidante. Crasti barcolla. Prova a legare. “Potrei averlo detto, adesso non ricordo. In fin dei conti sarei anche d'accordo con questa mia ipotetica frase, fatto sta che sentire il bisogno profondo, viscerale di compiere un'azione per vivere un piacere, un godimento fisico e psichico, non può essere sbagliato”. Catalano è senza pietà, si libera facilmente della presa in clinch dell’avversario e gli schianta sul mento un terribile gancio destro. Crasti è al tappeto. “Sbagliato? come fai a dire che non lo è?! Cazzo che sventola!” esclama Marco sobbalzando in piedi. Inizia la conta. Crasti si afferra alle corde con il guantone sinistro, intanto col destro spinge sul tappeto per sollevarsi su e compie forse il capolavoro di un intera carriera. Lo sfidante si rialza. L’arbitro ne controlla la reattività e gli pulisce i guantoni. Pochi secondi al termine dell’ottavo round. Catalano martella, non può credere che quel vecchietto sia riuscito a rialzarsi dopo una tale castagna. Montanti al corpo, al fegato, ai reni, ma i più, per fortuna dello sfidante, si infrangono sulle sue braccia ben chiuse. Suono del gong, Crasti è salvo. Catalano schiuma rabbia, ma ha la vittoria ormai in pugno. Marco finalmente si rimette a sedere e girandosi verso di me mi fa: “scusa, dicevamo?”    - “Dicevo che un piacere non potrà mai essere sbagliato, ma ho usato un termine scorretto, non sbagliato, volevo dire ‘un male’”. Inizio del nono round. “Non sarà un male per chi compie l’azione piacevole, ma rimanendo nell’esempio dell’atto violento, che mi dici di chi la subisce?” risponde Marco. Catalano è inaspettatamente inoperoso. Sembra stia preferendo una misurata vittoria ai punti che affondare il colpo per cercare la soluzione prima del limite, invece Crasti si gioca qualche altra carta. Riesce ad accorciare e fa partire un buon gancio sinistro che scuote nuovamente il campione. “Perché accomuni chi agisce e chi subisce sotto la stessa lente di giudizio?! Le due cose vanno separate. È ovvio che tra i due uno riceverà un bene e l’altro un male, se vogliamo continuare a usare questa terminologia” gli ribatto io. Il campione sembra però controllare alla grande la reazione del vecchietto e con un abile gioco di gambe lo mette fuori tempo. “Perché è l'azione stessa che li accomuna.. Non puoi considerare un uomo assassino se non hai la conoscenza che lui abbia ucciso qualcuno ed è nel momento in cui ha ucciso che accomuna a sé la sua vittima con l'atto compiuto, con se stesso, col suo sommo piacere di aver ucciso, col bene che ha provato nato dal male altrui. È un rapporto, Giovanni, ed è indivisibile”.  Fine del nono round. All’angolo i secondi agitano freneticamente i loro asciugamani per creare un attimo di refrigerio sulla pelle sudata dei loro assistiti. I pugili boccheggiano, ma non c’è più tempo per riposare, si riparte. Decimo round. I due contendenti riprendono a studiarsi, Crasti sembra voler rifiatare dopo lo sforzo fatto nell’ultimo round, Catalano ricomincia a far lavorare il jeb girandogli intorno, adesso è sicuramente più fresco del suo avversario. Non succede molto, se non un preciso diretto destro che prende impreparato Crasti, ora visibilmente provato, proprio sul gong. Anche la decima ripresa è archiviata in favore di Catalano e sono 7 su 10, con in più un knockdown a discapito dello sfidante da sottrarre al parziale. L’ultimo round lo avevo seguito tutto in silenzio, riflettendo su quanto detto. Non volevo calcare troppo la mano, forse per paura di perdere il controllo come la volta precedente, ma avevo comunque il desiderio di riuscire, in maniera misurata, a portare a termine il discorso. Fu Marco ad invogliarmi: “Dai Giovanni, continua. Riesco ad ascoltarti anche seguendo l’incontro, non preoccuparti” ed accompagnò questa sua frase con un sorriso amichevole. Undicesimo round. “Non contraddico quanto dici, Marco, ma vorrei farti presente, almeno a mio modesto parere, che ciò ch’è giusto o sbagliato è una faccenda umana. La natura invece è violenta e le leggi della fisica non le ho fatte io” – “Appunto, le hanno fatte gli uomini, così come hanno stabilito i valori, universali o meno che siano, di giusto e sbagliato, bene e male. Se riconosci quelle leggi della fisica, che sono comunque un prodotto umano, perché non dai valore alle leggi morali create dagli stessi autori?” ribatte Marco. Catalano riprende a martellare, sinistro e gancio destro inarrestabili, Crasti è alle corde e lega disperatamente. “Cerca di capire cosa voglio dire, Marco. Con leggi della fisica mi riferivo al naturale fluire della natura”, Marco obietta: “Non sono la stessa cosa. Le leggi fisiche altro non sono che un linguaggio di codificazione della realtà, non la realtà stessa”, mi faccio avanti: “Hai ragione, consideralo un errore terminologico” sono in difficoltà, ma Marco non molla la presa: “Ok, ma anche riformulando la tua domanda in modo corretto c’è comunque un vizio di fondo. Tu dici che i valori di Bene e Male sono costruzioni del giudizio della mente umana e che quindi non facenti parte dell’intero processo naturale che è invece violento per definizione. Scusa, ma gli uomini non sono dentro questa natura? E avrebbero creato un qualcosa per sovvertirne le leggi universali di cui loro stessi fanno parte? Non mi sembra quadri molto. Il tuo discorso è contraddittorio”. Fine dell’undicesima ripresa. Crasti è stanchissimo, sa che ormai l’avversario ha la vittoria in pugno. Ha solo un modo per spuntarla; buttarlo giù. Devo aver sentito da qualche parte, non so dove, che i pugili si riservano gli ultimi residui di energia per l’ultimo round della carriera. Dodicesima ripresa. “Ma quante riprese sono?” chiedo, “12, come tutti gli incontri per il titolo. Questa è l’ultima” risponde Marco un po’ seccato. Crasti prova ad avanzare cautamente. “Condivido quanto dici, ma c’è ancora un particolare che vorrei prendere in esame”. Catalano prova a tenerlo a distanza col solito lavoro di jab. “Dimmi” fa Marco. Crasti, noncurante si fa sempre più sotto, deve accorciare la distanza e provare una buona serie alla figura, è questo il suo piano. “Il fatto è questo. Non credi che l’uomo, le sue leggi morali, il sistema di valori e tutto quanto da lui creato ed adesso in suo pieno potere, compresi scienza e tecnologia, non siano altro che il modo più sicuro e forte per esercitare la sua volontà di potenza sugli altri?” – “Ah, beh questo è poco ma sicuro, altrimenti non si spiegherebbe la sopravvivenza della religione”. Catalano cerca col gioco di gambe di irretire l’avversario, quasi di ridicolizzarlo, ma Crasti trova uno spiraglio tra il braccio e la spalla sinistri dell’avversario e BAM, perfetto gancio destro in piena faccia. “Marco, è proprio a questo che volevo arrivare. Il dominio sull’altro è esercitato con ogni metodo e questo è ciò che chiamo un atto di violenza”. Catalano barcolla, ma da grande campione tiene botta ed accenna ad una, se pur sterile, reazione. “La tua è un’interpretazione dei fatti, non una verità assoluta” – “No Marco, il sesso è violento – “Il sesso?” – “La penetrazione è un atto violento”. Terribile montante allo stomaco di Crasti, Catalano è all’angolo. Marco ha un’espressione di sorpresa stampata sul volto. Crasti continua a martellare alla figura. “La gravidanza è violenta, il parto stesso è violento. Crescere e confrontarsi con il mondo e fare esperienze giorno per giorno, dalle più innocue e banali a quelle più importanti e decisive è un continuo mettere in tumulto quello che sei, quello che sai fino a quel momento, mutare il tuo corpo col tempo e la tua mente con nuove scoperte è violento. Invecchiare è violento. E poi la morte... morire è violento”. Sinistro, destro, sinistro, destro, è un monologo incessante e furioso. Catalano aspetta solo il gong. “Un fiore o una pianta che sboccia è violento, è una violenza che compie verso il suolo, la terra che la copre, e quella terra stessa fa un atto violento contro quella stessa pianta provando ad impedirle di uscire”. Marco si volta a guardarmi. Lo fisso negli occhi e continuo: “L'universo intero è violento, la forza di gravità che lo governa insieme a quelle nucleari ed elettromagnetiche sono violente. Il movimento è violento, perché altro non è che corruzione di un precedente stato di fermo. Infine l’amore...” faccio una pausa e lancio un’occhiata sul ring, Crasti lo sta massacrando. Decido di continuare e vomitare l’ultima frase che avevo provato goffamente a trattenere in corpo: “Beh, l’amore è il più atroce e devastante sentimento di dolore che si possa concepire”. L’incontro è finito. Il vecchio pugile le ha provate tutte, ma al gong il campione è rimasto in piedi. “Sinceramente, non so che dirti” esordì Marco dopo un lungo silenzio, poi dopo aver assorbito finalmente quel lungo combattimento dal round finale così sorprendente, riacquista il suo autocontrollo e continua: “Vedo che questo è un discorso che ti sta molto a cuore. Ti sento molto radicato in questa tua convinzione. Posso solo dirti che anche Parmenide, forse il più importante filosofo presocratico, sicuramente uno dei più estremi, ha cercato di trovare una mediazione alla sua visione utopistica della natura. Me lo hai ricordato quando hai parlato di movimento e corruzione. Ma non ho intenzione di persuaderti, altrimenti diresti che sto facendo un atto violento, hahahaha”. Verdetto unanime, vittoria per Catalano.
Uscimmo tutti e quattro stranamente provati, ognuno credo per ragioni diverse. Io per quanto detto, Marco per l’incontro e le ragazze per bicipiti e patatine. La serata era ancora giovane, decidemmo di andare insieme a mangiare un boccone, “che ne direste di una pizza?” disse Laura. “Sarebbe perfetta” rispose Barbara e aggiunse: “Quest’incontro mi ha messo una fame... Certo che nel finale il vecchietto gliele ha suonate. Ho tifato per lui. Peccato non abbia vinto. Era un po’ lento, ma aveva dei pugni fortissimi” – “La potenza è l’ultima qualità ad abbandonare un pugile” rispose Marco. Fortunatamente in pizzeria non si parlò di boxe, ne avevo già avuto abbastanza per quella sera. Chiacchierammo come buoni amici di lavoro, del futuro, della sempre deludente situazione politica, poi Barbara raccontò del bambino che avevo salvato. Da come lo fece capii che non vedeva l’ora di farlo. Lasciai che narrasse tutto senza intervenire. Non mi andava di esprimermi sulla faccenda. In realtà non ci avevo mai riflettuto e mai lo farò. Mentre Laura si perdeva nel chiedere ogni minimo dettaglio dell’evento che Barbara andava raccontando, Marco in confidenza, con un accenno di sorriso e la solita fastidiosissima mano stampata sulla mia spalla, mi chiese: “Quanto ti è piaciuto salvarlo?”. Non risposi. Lo guardai fisso negli occhi quasi come per supplicarlo di non ripetermi la domanda. Non lo fece. Continuai a perdermi in qualche strano pensiero, qualcosa che non so descrivere, forse un delirio che ho dimenticato o rimosso del tutto e cominciai a sorseggiare avidamente la mia birra per non darlo a vedere. Due ore dopo la mezzanotte li riaccompagnammo a casa e ci dirigemmo verso la nostra (per la precisione la mia, che in effetti stava diventando ormai anche un po’ casa di Barbara). La mia ragazza si addormentò subito. Io rimasi invece inquietantemente sveglio per tutta la notte a pensare. Mi venne uno strano senso di angoscia. Al buio della stanza mi parve improvvisamente prendere forma una lunga strada con un bivio all’orizzonte e una strana scelta da prendere. Le ore passavano impietose, era ormai quasi l’alba. Praticamente il tempo di una doccia, una sana colazione e poi a lavoro.

 

(continua...)

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