“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 09 March 2015 00:00

La favola di Gaia

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C’era una volta…
C’era una volta in una terra lontana lontana, il regno incantato della città di Pietra. Nel regno vi era una città che era stata costruita ai piedi di un altissima torre di roccia, che da sola saliva al cielo in mezzo alla pianura verde dove tranquillo e lento scorreva il grande fiume Vallon. Gli abitanti di quella città vivevano sereni e felici perché a governarli c’erano un Re e una Regina molto buoni, che vivevano in un grande castello e avevano una figlia molto bella, la Principessa Gaia. La Principessa Gaia era una bambina molto gentile con tutte le persone, ben educata, che sorrideva sempre, era molto coraggiosa e suscitava simpatia e allegria in tutti quelli che la conoscevano, per cui tutti gli abitanti di Pietra le volevano molto bene.


La maledizione della strega
Un brutto giorno però la perfida strega Zarriella, che cercava sempre di fare del male agli abitanti di Pietra e in particolare al Re alla Regina e alla Principessa Gaia, si alleò con la Grande Ombra e lanciò un incantesimo terribile su Pietra. “Tutti quelli che si guarderanno nello specchio la mattina del prossimo venerdì, perderanno la propria immagine riflessa” così sentenziò maligna la strega. E così avvenne. Quando al venerdì la Principessa Gaia si alzò dal suo lettino e andò a trovare i suoi genitori, li trovò che piangevano disperati. “Mamma, papà che succede?” chiese Gaia molto preoccupata. “La strega Zarriella ha rubato la nostra immagine dallo specchio, e noi adesso ci sentiamo molto tristi” risposero il Re e la Regina continuando a piangere. E non erano i soli a piangere, in tutto il castello e in tutta la città di Pietra si sentivano gemiti e lamenti. Allora la coraggiosa Gaia decise di fare qualcosa per aiutare tutti, “ma non so come fare, e chi potrà aiutarmi?” disse tra sé e sé la Principessa, e poi ebbe un idea “ho sentito parlare di un eremita, la saggia Annamar che tutto sa, chiederò consiglio a lei”, e partì dal castello per andare a incontrare la saggia Annamar.

Alla Cerza della donna rosa
Annamar viveva anch’ella nella pianura dove sorgeva la città di Pietra, non molto lontano dal castello, ma in cima ad un albero altissimo chiamato Cerza della donna rosa. Quel che Gaia non sapeva, era che l’albero si chiamava così perché di proprietà di una nana di nome Socra che viveva in una capanna ai piedi dell’albero, che vestiva sempre di rosa, e che non faceva avvicinare nessuno e cacciava via tutti. Infatti, quando Gaia arrivò nei pressi della Cerza, Socra subito uscì fuori dalla sua capanna inferocita e la Principessa si vide aggredita dalla nana vestita di rosa che brandiva minacciosa un matterello in una mano a mo’ di spada, e il coperchio di una pentola in un'altra mano a mo’ di scudo. Ma Gaia la coraggiosa non indietreggiò, anche perché la nana aveva un aspetto strambo più che pauroso. Infatti, a renderla anche buffa c’era la grossa cupola di capelli che aveva sulla testa e la faceva sembrare un fungo troppo cresciuto. “Chi sei? Che vuoi? Questa è casa mia! Qui comando io! Non voglio andare a casa di nessuno!...” gridò Socra queste ed altre frasi senza senso. Ma quando Gaia riuscì a prendere la parola, raccontò la sua storia e la donna rosa si rabbonì perché era molto molto burbera ma dal cuore buono e disse “piccola bambina mia, io ti aiuterò, ma per avere il permesso di salire sull’albero e vedere la saggia Annamar, devi dimostrare la tua arguzia… portami una cosa… vediamo… portami un uccellino, che però non è un uccellino… si, ecco… se me lo porti ti farò salire sull’albero”. “Ma cosa vuol dire?” chiese Gaia a Socra, “dovrai scoprirlo da sola” rispose la nana rientrando nella sua casa. Gaia un po' sconfortata da quella richiesta assurda, prese un bel respiro, si fece coraggio, e andò verso il bosco vicino a cercare quell’uccello che non è un uccello.

L’uccello che non è un uccello
Gaia girò in lungo e in largo nel bosco, ma vide solo uccelli che erano uccelli e si rattristò. D’improvviso però udì una vocina che chiamava “aiuto… aiutatemi per favore”. Gaia guardò in tutt’intorno, ma non riusciva proprio a capire da dove venisse la voce; “dove sei?” chiese la Principessa. “sono quaggiù, a terra” indicò la voce, e Gaia abbassati gli occhi, vide su un letto di foglie ed erba un piccolo animaletto; allora si chinò, lo prese tra le mani e cominciò ad osservarlo. Quell’animaletto sembrava una piccola pallina di pelliccia raggomitolata. “Cosa sei tu?” chiese Gaia, “non ho mai visto nessuno come te”. “Io sono un pipistrello” rispose l’animaletto, “e dove vivi?” domandò Gaia, “io vivo in una caverna lontano lontano da qui, ma è successo che un giorno sono uscito e quando sono tornato non l’ho più ritrovata, e allora ho perso la strada, e poi a forza di viaggiare mi sono stancato e mi sono addormentato qui” raccontò il pipistrello. “Ma che aiuto posso darti io?” chiese Gaia, “portami in un posto sicuro per me, perché io so volare solo di notte e adesso è giorno e non posso fare da solo” ribattette l’animaletto. “Ma tu voli? A vederti non si direbbe” dichiarò la Principessa stupita e incredula, “si certo” le fece il pipistrello, e apri le ali in cui si era avvolto per farle vedere. “Oooh!” si stupì Gaia e chiese “ma allora sei un uccello?”, “no, non sono un uccello ma so volare come gli uccelli” rispose il pipistrello. “Davvero?” pronunziò Gaia raggiante di gioia, “allora ti porterò in un posto dove c’è qualcuno che si prenderà cura di te”, e si incamminò con l’animaletto tra le mani verso la casa di Socra. Appena arrivata, Gaia consegnò il pipistrello a Socra che le sorrise e le disse: “Ero sicura che avresti superato la prova, ora puoi salire sull’albero, io mi prenderò cura del tuo piccolo amico”. Gaia allora prese a scalare la Cerza, ma era altissima e dopo un po' la Principessa si sentì stanca, si fermò e si addormentò.

Da Annamar che tutto vede e tutto sa
Il mattino dopo, alle prime luci dell’alba, la principessa si svegliò, mangiò alcuni frutti dell’albero per colazione, e riprese la scalata. Di ramo in ramo Gaia arrivò in cima alla Cerza della donna rosa, e scopri che i rami si intrecciavano fitti e formavano una terrazza al centro della quale stava seduta la saggia Annamar che tutto sa. La saggia Annamar era una vecchina di età indefinibile, vestita tutta di bianco, con tre occhi di cui uno in mezzo alla fronte, e un paio di occhiali, che non si allontanava mai dalla cima della Cerza, ed era circondata dai tantissimi uccelli di ogni tipo che abitavano i rami dell’albero. Quando la Principessa si avvicinò Annamar le disse: “Ben arrivata principessa Gaia, mi spiace molto per quello che è successo ai tuoi genitori e al tuo popolo, ma sono contenta che tu sia venuta da me, perché io ti aiuterò”. “Tu mi conosci? E come fai a sapere quello che è successo se stai quassù?” chiese meravigliata Gaia. “Non ti sorprendere, proprio perché non mi muovo mai da qui io so tutto, infatti, ascolto tutte le notizie che mi portano gli uccelli che abitano i rami della Cerza, e quassù riesco a parlare anche con le nuvole che si incontrano solo se si è molto in alto”, disse la saggia Annamar. “Ma allora, se sai tutto, dimmi come aiutare la mamma, il papà, e tutto il mio popolo” disse Gaia. “Dovrai essere molto coraggiosa piccola mia, e intraprendere un lungo e pericoloso viaggio…”, cominciò a dire Annamar, “per trovare la cura al sortilegio della strega Zarriella, dovrai recarti dai monaci di cristallo sulle alte montagne, ma per arrivarci dovrai andare prima dai Lupi Verdi, solo loro ti possono indicare la strada per il monastero attraverso le montagne… per convincere il re dei Lupi Verdi ad aiutarti, prova a portargli il fiore viola della palude Moppt; sai, da tempo ha mal di pancia e si può curare mangiando quel fiore…” disse la saggia eremita sorridendo a Gaia e strizzando uno dei suoi tre occhi. “Ma come potrò fare questo viaggio tutta da sola?” chiese Gaia. “Non sarai sola, lungo la strada troverai degli amici che ti aiuteranno nei momenti difficili, persino quando dovrai affrontare la Grande Ombra” sentenziò la saggia. “Dovrò affrontare la Grande Ombra?” chiese impaurita Gaia, “si certo” affermò sicura l’eremita “ma non temere, dentro di te porti qualcosa che ti aiuterà a sconfiggerla, non dimenticarlo”. Gaia ascoltò ancora le raccomandazioni di Annamar e si rassicurò, poi si saltarono e la Principessa prese a scendere dalla Cerza per intraprendere il suo lungo viaggio.

Nella terra dei Fuort
Gaia si diresse verso la palude Moppt, ma per arrivarci dovette attraversare il paese dei Fuort, che erano degli uomini giganti dotati di grandissima forza. Mentre attraversava un campo di girasoli, la Principessa vide da lontano un gigante seduto accanto ad un albero che era più basso di lui; a Gaia sembrava molto triste, per cui decise di andare a conoscerlo e magari consolarlo. Si avvicinò, salì su un ramo dell’albero e da li con un sorriso salutò il gigante, gli chiese come si chiamasse e perché era così triste. Il gigante si chiamava Andrè, ed era triste perché non riusciva ad integrarsi col gruppo dei suoi compagni. Gli altri giganti erano dediti a coltivare i campi, e non si allontanavano mai dalle loro case, mentre Andrè sognava di viaggiare, vedere il mondo, e vivere grandi avventure, ma non aveva il coraggio di partire. Inoltre non aveva nemmeno un capello sulla testa mentre gli altri giganti portavano chiome lunghissime e lo prendevano in giro. Dopo che a sua volta Andrè ascoltò il racconto della principessa, decise di aiutarla ad affrontare i pericoli di quel lungo viaggio che lei aveva cominciato. Così Andrè si caricò Gaia sulle spalle e insieme si incamminarono verso la palude Moppt.

Nella palude Moppt
Quando raggiunsero la palude, Gaia e Andrè dovettero stare molto attenti a dove mettevano i piedi, perché c’erano molte sabbie mobili in cui si poteva sprofondare, ma loro se la cavarono bene insieme e finalmente trovarono il fiore che sarebbe servito a guarire il re dei Lupi Verdi dal suo mal di pancia. Quando però i due si avvicinarono ai cespugli da cui spuntavano i fiori per prenderne uno, sentirono un brusio che divenne sempre più forte. Dai  cespugli allora spuntarono fuori prima poche per volta, e poi tutte insieme tante tante api che danzavano nell’aria tutt’intorno al gigante e alla principessa. “bbbzzz… Cosa cercate in questa palude?… bbbzzz…”, chiese altera a Gaia e Andrè un'ape più grossa delle altre che doveva esserne la regina. “Vorremmo portare un fiore al re dei Lupi Verdi per guarire il suo mal di pancia” spiegò Gaia. “… bbbzzz… i fiori sono tutti miei… bbbzzz… producono il dolce nettare che ci nutre… bbbzzz... non potete prenderne neanche uno… bbbzzz… siete dei ladri… bbbzzz… all’assalto, cacciamoli via… bbbzzz…”, ordinò  superba la regina delle api alle sue sorelle che tutte insieme cominciarono a sciamare più velocemente con un gran ronzio pronte ad assalire e pungere la principessa e il gigante. Intanto Andrè tentava di difendere la principessa agitando l’aria con le sue enormi mani per cacciare via le api ma senza successo, mentre la principessa si nascondeva nella piega del suo vestito, Ma proprio quando le api stavano per attaccare, qualcosa le spaventò: all’improvviso il sole si adombrò come se ci passasse davanti una grossa nuvola. Ma non era così, dal cielo non cadde la pioggia, invece scese in picchiata uno stormo di centinaia di uccelli amici della saggia Annamar che si battevano contro le api per impedire a queste di pungere Gaia e Andrè. Ben presto gli uccelli cacciarono via le api che scapparono dalla paura in ogni direzione, poi ripresero il volo verso la Cerza della donna rosa; Gaia li salutava contenta e gli gridava di ringraziare da parte sua la saggia Annamar. La principessa raccolse il fiore, e insieme al gigante si rimise in cammino verso le alte montagne dove c’era il bosco dei Lupi Verdi.

Nel bosco dei Lupi Verdi
Gaia e Andrè camminarono a lungo per arrivare dai Lupi Verdi, scalarono alte montagne, guadarono fiumi, attraversarono i boschi fino a che raggiunsero un prato in mezzo agli alberi dove era sdraiato il re dei Lupi Verdi Pepp. Il re dei lupi verdi era molto anziano e il pelo del suo manto non era più verde ma bianchissimo, inoltre aveva un pancione enorme e gonfio perché era molto goloso e aveva esagerato nel mangiare e nel bere, e da giorni se ne stava sdraiato in preda a forti dolori di stomaco. Non andava nemmeno più in giro con i suoi amici lupi ad ululare alla luna, ma se ne stava fermo a mugolare lamenti. Gaia e Andrè lo trovarono in questo stato, e lui appena li vide chiamò intorno a se tutti i suoi amici lupi a difenderlo. “… uuuhhh… Cosa ci fate qui? … uuuhhh…” chiese il lupo sofferente. “Siamo venuti a portarti un dono…” rispose Gaia, “… perché abbiamo saputo che stai tanto male. Ti abbiamo portato un fiore da mangiare…” proseguì la principessa. “Nnnuuu… ancora da mangiare nnnuuu… volete la mia morte?... uuuhhh” disse il lupo un po' irritato per quel dono. “Ma no” disse Gaia, “… se mangerai questo fiore starai meglio, è una cura per i tuoi dolori che ci ha consigliato la saggia Annamar” e porse il fiore al lupo. Il re dei Lupi lo annusò a lungo diffidente, poi ne fece un sol boccone, lo masticò a lungo e lo ingoiò. Gaia e Andrè rimasero ad aspettare un po' preoccupati, perché avevano paura che se la cura non avesse prodotto un buon effetto il re dei lupi si sarebbe adirato e li avrebbe fatti divorare dagli altri lupi che ringhiavano contro i visitatori. Ma dopo un po' il re dei Lupi cominciò a sospirare e a mugolare di sollievo perché il suo mal di pancia stava lentamente guarendo. “… uuuhhh… miei salvatori, sto molto meglio, come posso ringraziarvi?... uuuhhh…” disse il re Pepp entusiasta a Gaia e Andrè. “Intanto potresti dire ai tuoi lupi di non guardarci affamati…” rispose Gaia al re Pepp che fece un gesto con una zampa ai suoi sudditi che smisero subito di ringhiare. “… E poi, noi avremmo bisogno di qualcuno che ci accompagni dai monaci di cristallo”, proseguì Gaia. Tutti i lupi a quella richiesta rimasero un po' turbati, e il loro re Pepp disse a Gaia “uuuhhh, chiederò ai miei lupi di offrirsi volontari e accompagnarvi, ma il fatto è che per arrivarci dovete attraversare l’oasi delle Janare, che sono delle maghe potentissime di cui tutti hanno paura, uuuhhh…” confessò il re e poi chiese “… chi di voi accompagnerà i miei salvatori dai monaci di cristallo? uuuhhh”. Tutti i lupi si guardarono tra loro e nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti. Poi all’improvviso si udì una vocina gridare “uuuhhh, li accompagnerò io”. A parlare era stato Didà, un lupacchiotto troppo discolo che aveva combinato tanti di quei guai, e fatti tanti di quei dispetti ad una maga che questa lo aveva trasformato in una pelliccia di lupo parlante. Allora un lupo si avvicinò a Gaia e le porse Dida che la principessa indossò sulle spalle chiedendo “come mai ci vuoi aiutare” e Didà rispose “la maga che mi ha ridotto così mi ha detto che sarei tornato normale se fossi stato buono e avessi aiutato gli altri uuuhhh”, “allora vieni con noi” rispose Gaia. Ma prima di far partire i tre compagni per la loro avventura, il re Pepp volle regalare alla principessa una bottiglietta piena di un liquido trasparente, e le disse con tono solenne “uuuhhh, noi siamo gli antichi custodi di una fonte d’acqua magica, quando l’acqua della fonte cade a terra, subito nasce una nuova fonte che non seccherà mai, io per ringraziarti ti regalo un po' di quell’acqua, uuuhhh”. Gaia accettò, e con i suoi compagni partì per l’oasi delle Janare.

Nell’oasi delle maghe Janare
Dopo tanto camminare, i tre compagni, Gaia, Andrè e Didà, giunsero nell’oasi delle maghe Janare, e subito si accorsero che c’era qualcosa di molto strano in quel posto. Anche se gli alberi dei boschi intorno erano verdeggianti, l’oasi sembrava arida e asciuttissima. In mezzo ad un prato i tre coraggiosi videro il letto di un fiume secco e decisero di seguirlo ed arrivarono alla fonte di quel fiume, ma ormai non c’era più una goccia d’acqua. Subito si avvicinarono ai tre le Janare e cominciarono a dirgli “il fiume ormai è seccato… da mesi ormai la fonte non ci da l’acqua… e i fiori appassiscono… e gli uccelli e gli animali del bosco non hanno dove bere e muoiono di sete… e noi non possiamo curarli…” lamentandosi e piangendo. Allora la principessa decise di aiutare le maghe e versò tutto il contenuto della boccetta che gli aveva regalato re Pepp sulle rocce della foce. E subito scaturì da quelle rocce un grande fiume, più grande di quello che c’era prima perché il letto che aveva scavato a stento riusciva a contenerlo. E dato il prodigio, le maghe cominciarono a ballare intorno al fiume, i fiori ripresero colore e freschezza, e gli animali e gli uccelli tornarono presto ad abbeverarsi. Tutti insomma fecero grande festa, e alcune maghe abbracciavano la principessa, altre il gigante e altre accarezzavano Dida arruffandogli il pelo. Poi la regina delle Janare Lilith chiese come poteva aiutare la Principessa, e lei domandò la strada per arrivare al monastero dei monaci di cristallo. Lilith allora le spiegò che per arrivare al monastero doveva attraversare una montagna servendosi di una lunga grotta, ma che per arrivare all’entrata della grotta doveva camminare sul lago di ghiaccio. Il lago di ghiaccio era molto pericoloso, spiegò Lilith, perché di notte era immobile e le sue acque erano dure come il ghiaccio, ma appena spuntava il giorno, il ghiaccio cominciava a sciogliersi e ci si affondava dentro. Neppure a passo di gigante si poteva attraversare in una notte sola perché era molto lungo. “ma noi per te faremo una magia” disse Lilith, “ritarderemo di un pochino l’alba, e forse riuscirai ad arrivare all’altra sponda del lago”. Poi la regina della Janare invitò i tre compagni d’avventure a cenare e riposarsi, e dopo mangiato tutti andarono a dormire.

Al lago di ghiaccio
Al mattino seguente la Principessa, Andrè e Didà, confidando nella promessa di Lilith si misero in cammino e arrivarono sulle sponde del lago ghiacciato. Essendo pieno giorno, il lago era increspato da alte onde, come se non riuscisse a stare fermo. Poi verso sera, il lago cominciò a calmarsi, e quando fu il tramonto, le onde cominciarono a congelarsi come sculture di ghiaccio. Fu allora che Andrè si caricò sulle spalle la Principessa e Didà, e cominciò a camminare sulla superficie del lago più in fretta che poteva, ma con molte difficoltà perché doveva evitare le grosse onde d’acqua ghiacciata che si erano formate in superficie. Andrè si sforzò di camminare velocemente per tutta la notte, e impiegò tutte le forze, fu una notte più lunga delle altre, perché la regina delle Janare aveva mantenuto la sua promessa e aveva ritardato l’alba. Ma proprio quando i tre amici erano in vista della riva, il sole cominciò a sorgere, e l’acqua a sciogliersi. La principessa e Didà cominciarono ad incitare il gigante ad affrettarsi, ma questi era stanco ed affannato e non riusciva a camminare veloce, tanto più che il ghiaccio si scioglieva e il gigante affondava ad ogni passo. Andrè si sforzò il più possibile di andare avanti, ma l’acqua ormai gli arrivava alla vita, il sole sorgeva, e lui non riusciva più a camminare, e sollevava le mani in alto, e in una teneva la principessa e Didà, con l’altra li proteggeva per non farli bagnare, e tutti avevano una gran paura che non ce l’avrebbero fatta. Quando all’improvviso, un grande tuono sopra la loro testa gli fece guardare il cielo, e tutti e tre videro un enorme nuvola vicinissima alle mani di Andrè. Il gigante allora l’afferrò, e si senti sollevare dall’acqua, piano piano. Era una delle amiche della saggia Annamar che veniva in loro soccorso, e dopo averli tirati fuori dall’acqua, depositò i compagni in salvo sulla terraferma e si allontanò, tuonando come era arrivata. I tre allora riuscirono ad accendere un bel fuoco e si addormentarono al calduccio riposando sotto alcuni alberi.

Al monastero di cristallo
Quando si svegliarono, i tre amici cercarono a lungo la caverna che portava al monastero di cristallo, ma quando la trovarono l’ingresso era coperto da alcune rocce franate dalla montagna, e Andrè con la sua grande forza le spostò e fece entrare la principessa e Didà. Andarono avanti nella grotta fino a che davanti a loro non si aprì un bivio, e allora si fermarono perché non sapevano da che parte andare. All’improvviso una vocina esclamò “a destra”. E la principessa riconobbe il pipistrello che aveva salvato al bosco. “Cosa fai qui?” chiese la principessa, “mi ha mandato la donna rosa per aiutarvi, sapete, questa è la mia casa, voi l’avete riaperta, grazie, e seguitemi” rispose tutto contento il pipistrello e volò nel corridoio di destra per fare strada agli amici. E dopo un lungo cammino, Andrè la principessa, Didà e il pipistrello giunsero nel monastero di cristallo e vi entrarono, e subito si accorsero che c’era qualcosa che non andava: ovunque guardavano non vedevano altro che buio e notte e non c’era nemmeno una lucina che entrasse dalle finestre. “siete arrivati finalmente” tuonò una voce cattiva e tutta la compagnia si spaventò quando il portone alle loro spalle si chiuse e si fece completamente buio, tanto buio che gli amici non riuscivano a vedersi tra loro. “chi sei tu?” gridò la principessa anche se aveva già intuito la risposta, “sono la Grande Ombra, e voi siete miei prigionieri, come i monaci di cristallo” disse la perfida voce. Allora i compagni si cercarono nel buio e si strinsero tra loro perché tutti avevano paura, e nessuno sapeva come combattere la Grande Ombra. Andrè batteva i denti, il pipistrello si raggomitolò in una tasca del gigante, la principessa si stringeva a Didà, e a Didà si drizzò il pelo per la paura e solleticava il collo della principessa che non resistette ed esplose in una risata dimenticandosi della paura per un attimo. E allora avvenne una cosa strana, “cosa stai facendo?” tuonò la grande Ombra, e sembrava quasi sconcertata e intimorita, e la principessa si ricordò le parole della saggia Annamar, quando le disse che dentro di lei stava qualcosa che poteva aiutarla a sconfiggere la grande Ombra. La principessa capì che si trattava della gioia e dell’allegria, e cominciò a ridere forte, sempre più forte, e incitava i compagni a non avere paura e a fare altrettanto. La grande Ombra ebbe paura, e gridava ai compagni di smettere di ridere, ma più questi ridevano, più l’ombra si faceva meno buia e scompariva lasciando trapelare la luce. Dopo alcuni lunghi istanti di allegria degli eroi, e di ira dell’a grande ombra, il buio scomparve del tutto, e la luce del giorno entrò dalle finestre, e tutto fu illuminato, anche i monaci di cristallo che i compagni adesso vedevano intorno a loro che si avvicinavano per ringraziarli. Tra loro giunse ad abbracciarli e ad esprimere la sua gratitudine un venerando vecchietto con una lunga barba bianca che sembrava di zucchero filato: era il gran maestro dei monaci, l’antico Tanovestro, che fece un dono alla principessa, uno specchio di purissimo cristallo. “Questo” disse, “annullerà l’incantesimo della perfida strega, e tutti quelli che hanno perduto la loro immagine nello specchio, guardandosi in questo, la riacquisteranno”. I compagni si allontanarono dal monastero e tornarono al lago ghiacciato, dove li aspettava una grande nuvola che li caricò su di sé e li trasportò alla città di Pietra.

La fine del viaggio
Quando i compagni raggiunsero la città di Pietra, la Principessa si mise subito all’opera e restituì l’immagine riflessa a tutto il popolo e ai suoi genitori. Poi si fece grande festa, e furono invitati i Lupi Verdi, le Janare e i giganti, gli uccelli e Socra la donna rosa. Solo la saggia Annamar non si recò al castello perché non si allontanava mai dal suo albero. Didà tornò ad essere un lupacchiotto normale, perché le Janare annullarono l’incantesimo che gli avevano fatto. Il gigante Andrè fu onorato e portato in trionfo dai suoi compagni. La principessa potè stare lieta col suo popolo e i suoi genitori. E quando la festa finì tutti tornarono alle loro case, ma il gigante, il lupo e il pipistrello, tornarono spesso a visitare la principessa, e lei tornò a visitare spesso la donna rosa e la saggia Annamar. Da quel giorno tutti vissero felici e contenti, tranne la strega Zarriella che si dice, si roda il fegato dalla rabbia ancora oggi.

 

N.B.: illustrazioni originali all'interno del racconto a cura di Eleonora Spini

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