“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 11 December 2014 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Antonio Possenti

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C’è una verità elementare, la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e splendidi piani: nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti mai sarebbero avvenute… Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di poter fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere, magia. Incomincia adesso”. (Goethe)

La visita presso lo studio del Maestro Possenti è sempre un momento di grande gioia. Da fuori suono il campanello sul quale appaiono i nomi di grandi artisti del passato, quasi ad indicare una continuità ma anche un momento ludico verso l’ignaro visitatore; poco sopra, a penna e scritto con grafia piccola piccola, anche il cognome di Possenti.
Si accede da un corridoio quasi scavato nella pietra, stretto e buio, e si attende di vedere il maestro comparire sulla soglia come chi si trovi a consultare un saggio in un viaggio iniziatico. Del luogo in cui lavora − ah come vorrei avere le parole per descriverlo! − forse l’unica cosa che posso dire è che si tratta sicuramente di uno spazio magico. Tra le antiche mura gli occhi non potrebbero mai dirsi soddisfatti di esplorare: ci sarebbe sempre un angolo, un libro o un oggetto che meriterebbe di essere osservato ancora e ancora. Ogni cosa qui sembra godere di completa libertà e autonomia e così è possibile trovare una cravatta su una sedia, senza una gamba, o una pila di libri su oggetti rotondi ad indicare un equilibrio precario, anzi meglio, dinamico.
Possenti ha grandi occhi chiari e luminosi che sembrano guardare oltre ogni confine, oltre il tempo, oltre la realtà, ma la sua non è assenza o distrazione, anzi: ogni volta che lo incontro apprezzo in lui prontezza, lucidità e genio. Parla del futuro, delle cose che forse noi non avremo modo di vedere, non come un visionario, ma come chi ha aperto una finestra e osserva il naturale evolversi delle cose.

Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Non c’è un momento preciso; francamente, cosa significa essere artista? Sono gli altri che lo dicono e probabilmente lo dicono quando riescono in qualche modo ad apprezzare quello che il pittore fa. Penso che sia difficile la percezione psicologica per cui una persona possa o meno sentirsi un artista: il fatto è che per alcuni esiste un tipo di esigenza all’espressione. Questo tipo di esigenza può, poi, coincidere con un’attività professionale o essere esercitata come un hobby o un divertimento.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Il crinale fondamentale è quando il pittore si accorge di poter trarre dalla sua attività il sostentamento economico per la sua vita ordinaria. Diviene quindi un professionista. Non necessariamente si deve diventare professionisti, infatti si può anche svolgere questa attività per diletto e quindi operare al meglio e secondo le proprie aspirazioni, riuscendo a fare anche ottime cose. Il valore intrinseco non dipende dal fatto che uno eserciti la professione di pittore, però è chiaro che − poter vivere di pittura − presuppone un tipo di consenso certificato dal ritorno economico.
Uno nasce pittore e quindi di regola questa sua abilità si scopre abbastanza precocemente, per me è accaduto da bambino e credo che, salvo eccezioni, sia così quasi per tutti quelli che fanno seriamente pittura. In loro l’attitudine si manifesta quasi sempre anche in età infantile. Al di là delle aspirazioni che ognuno può avere, però, è necessario fare le debite verifiche altrimenti rimangono illusioni. La voglia di affermarsi non è che necessariamente debba svilupparsi in una attività professionale, ma se uno crede in quello che fa l’attività lo deve assorbire interamente.

Ha mai lavorato per il teatro?
Ho fatto scenografie teatrali per spettacoli in programma presso alcuni teatri lucchesi, ma sento che non è il mio ambito. Lo scenografo infatti lavora in funzione del teatro e quindi della rappresentazione. Deve conferire delle sfumature di carattere simbolico e seguire delle regole precise dettate dal regista che può vincolare la libera creatività dell’artista. Più che un’opera d’arte diventa un'alta decorazione.

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Non mi sono ispirato a nessun modello, ma è chiaro che esiste e − per quanto mi riguarda, è il genere di pittura che faccio − un’area della così detta pittura di invenzione. Nel tempo tra i pittori anche importanti e famosi che hanno avuto come fondamento della loro attività l’immaginazione e la fantasia posso citare i fiamminghi Bosch e Brueghel, i surrealisti Chagall, De Chirico e Savinio.

Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Non esiste un solo mercato dell’arte, esistono diversi mercati per cui esistono mercati più importanti − nel senso che si sviluppano in rapporti di carattere internazionale − e mercati ai carattere nazionale, regionale e addirittura paesano.

Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Occorrerebbe capire che significato si dà alla parola “valorizzare”  ovvero  se  gli si attribuisce un valore economico o se si vuole permettere la comprensione delle qualità dell’artista. Purtroppo la maggior parte dei mercati attuali si rivolge più specificamente alla valorizzazione economica, riguardante l’investimento finanziario, trascurando lo studio e l’approfondimento delle qualità individuali.

Qual è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?
Sono legato a tutto quello che faccio, cerco di ottimizzare qualsiasi cosa intenda portare a compimento. Non potrei indicare un’opera in particolare, ma credo che i critici, gli studiosi, chi guarda, possa trovare nell’ambito dell’attività di un pittore i dipinti che secondo lui sono più completi o che rappresentano maggiormente la personalità dell’artista.
Ho attraversato varie fasi e per me vanno bene tutte, sarà la critica postuma a valutare il lavoro nella sua globalità. Possono comunque essere indicati dei periodi e delle fasi con opere che maggiormente rappresentano il pittore. Da quando ho iniziato ad oggi si può intravedere un percorso tecnico che è mutato ed, anche, i momenti in cui sono riuscito ad esprimermi con maggior efficacia. L’uso dei colori, le sfumature, i toni servono a dare corpo all’idea che ho nella mente affinché si concretizzi nell’opera. A questo contribuisce in modo sostanziale la  conoscenza delle varie tecniche.
A proposito di tecniche, nel XIX secolo ci fu una vera rivoluzione. Prima di allora, i pittori che facevano parte della corporazione degli speziali, dovevano crearsi da soli i colori, mentre da quel momento in poi, con il nascere dell’industria del colore, divenne più facile reperirli, già pronti per l’uso.
Nel XX secolo abbiamo assistito alla scoperta dei colori acrilici, che mantengono le stesse sfumature dei colori ad olio ma hanno il vantaggio di utilizzare come diluente l’acqua, con notevoli e intuibili facilitazioni. C’è anche uno svantaggio non indifferente: seccandosi, i colori acrilici perdono in brillantezza, cosa che invece non accade con i colori ad olio.

Costituendosi la pittura come mestiere, esiste un momento in cui il pittore smette di dipingere?
La cosa bella nel mestiere del pittore è che, se la testa resta integra, l'artista può dipingere fino al giorno in cui arriva al camposanto ed, infatti, le occasioni per la pittura sono innumerevoli proprio perché la fantasia non ha limiti e non ha età.

Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell'anno?
Uno potrebbe dire, per esempio, “mi piacerebbe esporre alla Tate Gallery”, ma resta un’aspirazione e se da giovane hai una serie di sogni,quando passa il tempo hai più i piedi per terra e, quindi, diventi consapevole che alcune cose non rientrano tra quelle possibili.
Di regola accade che − salvo eccezioni che si contano sulla punta delle dita di una mano e che riguardano i pittori cosiddetti internazionali − l’attività di chi opera nel campo si svolge principalmente nell’ambito della nazione in cui vive.

Secondo te si può vivere di arte in Italia?

Sì − più o meno bene − ma sicuramente sì. Ora è un momento in cui la crisi economica influisce sulle possibilità di spesa delle persone e, quindi, anche sull’acquisto di quadri: il dipinto, in fondo, appartiene alla categoria dei beni a cui si può rinunciare.

Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?
Ogni attività presenta rischi di riuscita e capita che, il premonimento iniziale, non abbia esito positivo. Molto spesso dipende da cause esterne al soggetto o anche dalle attività di altre persone. Quindi, come in tutte le attività, occorre anche in questo caso ciò che chiamiamo "fortuna". Ecco: io credo alla fortuna, mentre non credo alla sfortuna; ovvero: credo in una fortuna che aiuta chi ha delle capacità. Molti pittori mediocri dicono di essere stati sfortunati e di non essere capiti quando invece, secondo me, il loro talento è manchevole.
La fortuna implica una capacità esistente poi valorizzata dal caso. Se un artista non ha capacità non può dire di non essere riuscito a causa della sfortuna.

Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?

I mezzi di comunicazione che ci sono oggi non sono quelli di quando ho iniziato io la mia attività. Per avere una qualche diffusione del proprio lavoro occorreva farlo conoscere attraverso numerose esposizioni. I pittori della mia età rispetto ai pittori di oggi hanno, al proprio attivo, un numero di mostre enormemente superiore. Oggi la tecnologia mediatica permette di arrivare più velocemente in moltissimi ambienti, anche se, questi mezzi, sono limitati dal punto di vista dell’effetto perché un conto è vedere un dipinto dal vero e un conto è vedere un dipinto attraverso un’immagine riprodotta. Nel secondo caso si ha una piccola ed approssimata nozione mentre il dipinto, nella sua consistenza reale, crea un tipo di atmosfera che risulta comprensibile e vivibile davvero solo nella visione diretta.
La fisicità delle cose, al di là della visione, determina un’aura. Attorno a noi c’è qualcosa che è imponderabile e questo vale anche per un dipinto.
La mia visione è vicina all’animismo, per me tutte le cose che hanno una consistenza fisica ne hanno anche una misteriosa e trascendente. È la mia opinione ovviamente, non so se sia vero, però il fatto che io percepisca l’esistenza di una cosa non è solo oggetto della mia visione, ma ha una sua autonomia: si parla di anima, ma in senso molto generico, non intesa in senso religioso. I popoli primitivi, sotto questo aspetto, mi sono molto più congeniali nel senso che danno valore all’esistenza degli oggetti non alla loro forma e alla funzione. 
Per tornare alla domanda: il miglioramento della comunicazione consisterebbe in una ripresa della comunicazione attraverso la visione reale delle cose e non attraverso le immagini che le riproducono perché la visione, nel secondo caso, è decisamente modificata. Manca l’atmosfera, la comunicazione dell’arte avviene come nozione anche attraverso la fotografia ma, perché sia un'autentica sperimentazione conoscitiva, bisogna che avvenga attraverso la visione reale e diretta.

Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?
Buona parte dei critici parlano di sé più che dei dipinti o delle sculture che sono oggetto della loro critica. Il “Critico Esemplare” è quello che dà, attraverso la sua sensibilità, una modalità di visione innovativa circa le opere di un artista.

Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Mi reputo una persona molto fortunata perché ho potuto fare, nella mia vita, l’attività da me preferita in termini di libertà e, quindi, anche di grande gratificazione.

Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?
Bisognerebbe dire che le parole sono parole e i fatti sono fatti: un conto è quello che uno dice e pensa di sé e un conto è quello che uno fa. Il pittore e le sue idee, i suoi pensieri e il suo sentire, si manifestano nell’ambito di quanto può essere visto di lui e cioè nei suoi dipinti: se si vede un dipinto che ci piace e che, in qualche modo, ci dà un’emozione non importa conoscere fisicamente il pittore o sapere poi tanto di lui come persona. Insomma: non è l’uomo il centro, ma la sua opera.

 

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Antonio Possenti
in collaborazione con FiorGen Onlus, Accademia dei Sensi
elenco opere nelle immagini Autoritratto (part); A letto con Satanik; Ciribibi; Lumaca; Viaggiatore al tramonto; Dopo il naufragio
website http://www.antonio-possenti.it/

 

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