“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 28 November 2014 00:00

La ferocia italiana di Nicola Lagioia

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Non chiamatela storia di famiglia o noir anomalo: è la storia e la discesa di Clara e Michele. 
Romanzo strano, respingente, con pagine bellissime, che a volte sono scritte per gli animali e non per gli umani. Recensire La ferocia di Nicola Lagioia è un gioco a scacchi o un domino impazzito. La verità è che, in Italia, non sappiamo raccontare la ricchezza e dobbiamo associarla sempre a brutture, scempi, mazzette, alla politica corrotta, alle famiglie sfasciate.
La famiglia Salvemini è diventata ricca in un modo disdicevole ma, oramai, anche "normale" nel tessuto dei nuovi briganti senza morale. Ho letto tante di quelle volte "questo è il romanzo di una famiglia", che nemmeno se Lagioia avesse avuto in mente I Buddenbrook di Thomas Mann invece d'essere come uno Sciascia in Puglia: che ci ricorda che il Sud, come territorio virtuoso, non esiste.
Piccole enclaves, nulla più. Bari potrebbe essere come Palermo e come tutte le città meridionali che vivono ora in un brigantaggio tecnologico: ancora più feroce, ancora più canceroso.
Allo scrittore − dei due capostipiti della famiglia − non interessa che facciano famiglia, nel senso tradizionale del termine mentre li osserva come due esseri umani che hanno messo al mondo tre figli e Michele. Soprattutto osserva la compostezza adolescenziale di una delle figlie, Clara, che ha vissuto il percorso classico delle famiglie abbienti: buone scuole e l'affetto sincero verso i genitori quando si è adolescenti e non si è scoperto, almeno non del tutto, che nasciamo da mostri.
Lagioia, come una novella Ortese, ama più gli animali che i cristiani, o meglio: lo intriga la non-consapevolezza della caduta o dell'ascesa di una persona. Un gatto è un gatto, sempre, e al massimo può soccombere per le tenerezze filiali che gli levano di dosso la cattiveria. Così, per chi scrive, le pagine più belle sono quelle del gatto che non è pronto ad affondare gli artigli su un topo di fogna e, anzi, ne viene soggiogato e perde la partita, venendone ucciso in quella che diventa una 'favola nera del gatto e del topo'.
E poi c'è Clara, appunto, e la sua caduta. Una vita di uomini che assomigliano al padre: predatori che la sfiancano, sessualmente e fisicamente. Sempre chiusa in una discoteca, in un motel, nella hall di un albergo; sempre strafatta di cocaina e di altre sostanze psicotrope. In un romanzo diacronico − com'è La ferocia − la conosciamo nuda tra le macchine di una statale barese e, poi, amica sodale del fratello Michele: come due fratelli siamesi, entrambi espulsi dalla vita vittoriosa del Salvemini senior. 
Clara è una donna affascinante e vacua, spiccicata alla ragazza che beve nella copertina Einaudi. In lei niente bovarismo: Clara tradisce il marito non per sembrare più ricca e più bella, ma per scavare fino in fondo nella ferocia dei maschi simili al padre; per rigettare una idea di famiglia, di storia, di figli. 
Michele, il complessato Michele, sempre in bilico tra una clinica psichiatrica e una vita nuova nella capitale-Roma, è l'idiota che cerca di capire come e perché è morta la sorella amatissima. Forse, nel suo caso, per contrasto: prima tenera, disponibile, poi sempre più morta, perché la cocaina questo fa: anticipa la morte che ci attende tutti.
Clara non è riuscita a sopravvivere a un mondo senza tenerezza, superficialmente disperato, oggettivamente ferocissimo.
Infine.
Sull'italiano di Lagioia viene usato, dai recensori ufficiali, sempre l'aggettivo "barocco". Si tratta d'un modo furbo per dire che si sono evitate le pagine in cui l'autore ti snerva, raccontando un pezzo di storia, dando vita ad un'orgia paratattica. Chi scrive pensa invece che, Nicola Lagioia, realizzi una miscellanea d'italiano studentesco e d'italiano tecnologico, svelto come un tweet; come se fosse consapevole che anche la lingua, ovvero quest'insieme di lingue feroci che è la nostra Babele, è feroce, insensata, misera. Simile, in questo, ad un altro italiano: quello da principianti, di chi parla straniero.
 
 
 
 
 
 
 
 
Nicola Lagioia
La ferocia
Torino, Einaudi, 2014
pp. 411

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