“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 20 November 2014 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Sergio Nardoni

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Sergio Nardoni è conosciuto in tutta Europa come il “Pittore dei Principi” e, dal 2011, ha uno studio a Pechino, dove si reca per lavorare almeno tre mesi l’anno. Ha realizzato ritratti per i grandi personaggi della cultura e dell’Arte, raccolti poi nelle mostre monografiche Amici in posa del 1988 e Incontri su tela del 2005.
Vedere la sua tavolozza fa comprendere non solo la passione che ha per l’arte ma come, questo artista, riesca a fare tesoro di ogni esperienza passata ogni volta che mette le mani su una nuova tela.


Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Dunque... la mamma − fino a dove può arrivare il mio ricordo cosciente −, sui quattro o cinque anni, quando arrivava un parente o qualche amico in casa diceva: “Sergino, fai un disegnino alla zia, fai vedere quanto sei bravo”. La maestra elementare permetteva, solo a me, di disegnare anche quando spiegava l’aritmetica e, inoltre, mi ospitò a casa sua una domenica pomeriggio, quando il marito era alla partita, e proprio lei, delicata pittrice dilettante, mi fece dipingere il mio primo quadro ad olio.
Sempre in quel tempo, mio padre, che non sopportava che rispondessi alla domanda “Che cosa vuoi fare da grande?” con un sincero e spontaneo "Il pittore!”, una volta mi portò in centro a Firenze a vedere un barbone-pittore (bravissimo ai miei occhi) che dipingeva sul marciapiede accanto a Palazzo Medici Riccardi, dicendomi: “Vedi, i pittori muoiono di fame”. Ma non lo ascoltai. Forse non si sceglie, ma si è predestinati?


Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Ho avuto la fortuna di incontrare grandi personaggi. Via classica, anche se tormentata, dopo varie vicissitudini e la pratica di molti mestieri: Liceo Artistico, Accademia di Belle Arti e specializzazione in Storia dell’Arte all’Università, poi l'insegnamento, i primi passi e le prime mostre − che risentono del clima concettuale tanto in voga nella Firenze degli anni ’70 − poi, ancora,  l’incontro con giovani artisti animati da ideali comuni come Luigi Doni, Walter Falconi, Rodolfo Meli e Gianni Cacciarini, con battaglie epocali per l’affermazione di una pittura contemporanea con radici antiche, aiutato anche dalla frequenza degli studi di Pietro Annigoni e Antonio Bueno.
Fondamentale, in quegli anni, la conoscenza di Mariuccia Carena, vedova del grande Felice Carena, attraverso la quale ho avuto importanti incontri con artisti del Novecento, ricevendone racconti del clima mittleuropeo da lei vissuto: scuola, questa, che ha influito sulla mia formazione più di tutti gli studi prima elencati.


Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Il Beato Angelico, per la sua luce spirituale che trasfigura tutto; i Macchiaioli per la loro pittura di luce; la metafisica dechirichiana, per la trasposizione della realtà in altra dimensione; Pietro Annigoni, per la realtà contemporanea innestata sui modelli classici.


Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Il mercato dell’arte è necessario per chi − come me − vive di pittura; ma è anche cinico e spietato, in tempi di vacche grasse, e disperato e inaffidabile in tempi oscuri come questi.


Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?

Uno spazio pubblico prestigioso (qui a Firenze non mancano, ad esempio), che sia a disposizione di progetti e non di nomi o di consorterie.


Qual è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?

Un’opera mia: Amici in posa. Autoritratto con Rodolfo Meli, Gigi Doni, Walter Falconi e Gianni Cacciarini; perché è impregnato di quella volontà di affermazione delle proprie idee e perché racconta delle interminabili discussioni nei nostri studi − in questo caso del mio − in una Firenze che sembrava dovesse soccombere all’alluvione iconoclasta e nichilista dominante e alla quale, con forza, ci opponevamo.
Sono legato a quest’opera anche perché il quadro fu esposto nella grande Mostra "Firenze per l’Arte contemporanea" (1986) curata da Renato Barilli al Forte di Belvedere di Firenze, proprio nella Sala dei Pittori Moderni della Realtà, accanto a Antonio e Xavier Bueno, Gregorio Sciltian e Pietro Annigoni.


Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell'anno?
Nelle Sale dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, in Piazza san Marco, dove è nato tutto: è la più antica Accademia del mondo ed è dove hanno esposto i più grandi artisti della storia, da Michelangelo in poi.
Il periodo dell’anno? In aprile, a primavera, stagione delle promesse.


Secondo te si può vivere di arte in Italia?

Pirandello diceva che "La vita o si vive o si scrive". Io ho dedicato tutta la mia vita alla pittura e ho investito tutto su questo e, tra le difficoltà e le rinunce, sono ancora vivo.
Dal 2011 ho uno studio a Pechino, dove vivo due o tre mesi l’anno (sono tornato proprio a fine ottobre dalla Cina) e ormai prevedo di ripartire nel 2015.
Tutto questo come ripeto si è realizzato solo nel 2011, ma fino ad allora…


Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?

Diffondere il proprio lavoro costa eppure, per affermarlo, bisogna farlo e riuscirci. Dunque le maggiori difficoltà − anche se so che è brutto dirlo − sono economiche. Una volta c’erano tanti mecenati e qualcuno, per fortuna, c’è ancora: spesso, oggi, si chiama “sponsor”.


Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?
Dovremmo convincerci tutti ad usare, nelle nostre opere, un linguaggio comprensibile a tutti o, quantomeno, a più persone possibili: ai vicini e ai lontani, ai grandi e ai più piccoli. 


Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?

Pregio: un aiuto alla lettura delle opere.
Difetto: sono sempre a pagamento e, dunque, basta pagare per sembrare o essere descritti come i migliori del mondo.
Questo, però, capita solo quando ti imbatti in un critico disonesto ma, fortunatamente, non sono tutti così.


Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?

Di me la dedizione di una vita dedicata; della mia arte la passione che la anima.


Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?
"Descriviti in due parole".
Risposta mia, con una definizione scritta per me da Tommaso Paloscia: “Un modernissimo all’antica”.

 

 

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Sergio Nardoni
in collaborazione con FiorGen Onlus, Accademia dei Sensi
elenco opere nelle immagini Inno (mosaico di silicio, foglia d'oro, diamanti, smalto vetroso); La scuola dei sogni (olio su tela); Amici in posa. Autoritratto con Rodolfo Meli, Giorgio Doni, Walter Falconi e Gianni Cacciarini (olio su tela); Passione (olio su tela)


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