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Monday, 03 November 2014 00:00

Trittico

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I tuoi sogni non hanno residenza, sono disegni onirici della fragilità.
Puro gusto di cantare un’assenza, forse è che hai mani portate per il buio.
Devote a ciò che è smarrito, smarribile. Scostanti con quanto potrebbe restare.
Come quando prendi la terra e vorresti fosse pioggia però, poi, osservi a fondo l’acqua domandandoti perché debba evaporare.
Come quando ti costringi all’apnea dell’ennesima scommessa tramutandoti in una risata sommessa e, all’improvviso, scomposta. In un pianto. Tornando in te, alla fine. Ammettendo che non va bene, non va bene per nulla.

Ti ravvii i capelli, ritagli il lato positivo.
C’era uno squarcio nella fase rem. Sangue e luminescenza, paura soprattutto. Dimenticata già.

I miei sogni sono resilienza, voglia di farcela e rabbia trascinata.
Sono l’alba a bocca impastata, macchie di fumo, bisogno d’un caffè.
Per fuggire, in primo luogo. Cominciare in qualche modo.
Sono gli orologi sciolti di Dalì, sogni plagiati da qualcun altro.
Sconvolti, banali il più delle volte.
C’è quello d’un modo più semplice. Quello in cui riesco ad aiutarti.
Quello in cui volo però se mi guardano non ne sono più capace.
C’è un tronco distrutto da un tuono, divelto.
La natura ingorda di se stessa (e comunque vorremmo fare il meno male possibile, noialtri – ti chiedi mai se sia un obiettivo raggiungibile?).

Nei sogni del mondo ci smarriamo.
Così la donna che scruta il tramonto – c’è foschia ma una volta qui distinguevi Ischia, i faraglioni – e parla al marito sbadigliante dei posti lasciati. Di quando ci perdiamo quel che è vicino per quell’urgenza d’andare chissà dove, una vaga premura di svanire.
Il compagno annuisce massaggiandosi la barba, c’è un pelo più lungo degli altri che vien via, lo rigira tra i polpastrelli in controluce.
Si smarrisce Giada mentre compila il modulo per il concorso nazionale.
Più tardi berrà i soldi dei suoi, avrà voglia di ballare.
Adesso è un contratto a termine, un magari. Comunque potrebbe essere, comunque non si sa mai.
Si smarrisce la fila stupefatta di bambini quando il primo indica la luna in siciliano.
Rossa, rotonda. Bellezza spietata.
Domani avranno macchine nuove da dover volere.
L’ultimo modello di cellulare.
Il capitalismo da maledire e nutrire.
Tutti sconfitti, soli, uno per uno.
Ho tenuto lo sguardo fisso sul satellite cremisi, il suo riflesso frantumato strabordante.
Intorno figure voraci a blandirne lembi, a immortalarlo.
Ho pensato che non sarà mai di nessuno.
Ho chiuso gli occhi, tu ti sei svegliata. 

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