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Friday, 03 October 2014 00:00

Sono dietro di te (parte 2)

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IL MOSTRO CHE MANGIAVA LE BAMBOLE

Samantha, 26 anni, incontra per caso, dopo circa un decennio, il suo ex compagno di banco delle scuole medie, John, e dopo un caffè insieme decide di iniziare a frequentarlo. John si dimostra gentile ed affettuoso e cosi dopo un mese si convince a viverci insieme. Intanto l’ex di lei, Michael, continua ad infastidirla seguendola ed importunandola a lavoro e per strada fino a quando non decide di parlarne con John che appare calmo e comprensivo rassicurandola che il tempo calmerà la rabbia di Michael perché prima o poi se ne farà una ragione. Quella notte stessa John e Samantha fanno l’amore, come tutte le notti insieme mano nella mano dormono sereni, ma nel buio della stanza, dopo un brutto incubo, Samantha si sveglia di colpo e trova John supino sul letto che la fissa.

Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio John scoppia a ridere e accarezza Samantha rassicurandola che il brutto incubo è finito. I due tornano a dormire. Il giorno dopo, Samantha, tornata dal lavoro di buon umore, decide di dipingere un mobiletto che aveva portato da casa dei suoi genitori per dargli un aria più allegra e moderna. Ricorda che John le aveva detto che aveva dei pennelli e della pittura giù in cantina. Scesa giù trova in un vecchio scatolone con sopra scritto Monica, e all’interno delle bambole decapitate macchiate di rosso. Samantha è alquanto sorpresa. Dopo aver dipinto una parte del mobiletto esce per una passeggiata ed incontra Matt, fratello di Michael e suo buon amico, il quale le dice che il fratello è ancora molto innamorato di lei ed il fatto che sia passato quasi un anno dalla loro separazione non ha sminuito i suoi sentimenti compresa la sua gelosia. La sera stessa, al ritorno di John, la nostra Samantha gli chiede il perché di quelle macabre bambole ed il significato della scritta Monica. John le racconta che Monica è il nome di sua madre, una madre che a scuola nessuno aveva mai visto perché andava ed usciva da cliniche di igiene mentale e centri di recupero alcolisti, e quelle bambole erano state il primo ed unico regalo che aveva avuto da lei. Regalo che poi in un gesto di rabbia aveva distrutto, ma che non aveva mai avuto il coraggio di buttare. Dopo le classiche effusioni da fidanzatini i due vanno a dormire. Il giorno seguente vediamo Michael pedinare Samantha fino a casa di John. Quest’ultimo è stranamente nervoso, come se qualcosa o qualcuno lo avesse turbato. Samantha nota subito il cambio di umore e cerca di capirne il motivo. John è scostante e sgarbato e si chiude in cantina. Il giorno dopo Michael ubriaco bussa alla porta della casa di John e Samantha. Lei non c’è. John apre la porta e lascia accomodare lo sconosciuto in casa dicendo di aver capito chi fosse. Sarà l’ultima volta che vedremo Michael vivo. Intanto passano due giorni, Matt fa visita a Samantha sul posto di lavoro, preoccupato per il fatto di non aver più visto suo fratello dopo l’ultima sbronza. Samantha, anch’essa in apprensione, torna a casa. È sola e cerca di distrarsi, pensa allora di finire il suo mobiletto, ma stavolta la cantina è stranamente chiusa a chiave. La notte, a letto, John è inaspettatamente violento, ed abusa di lei. Dopo il violento amplesso i due litigano e Samantha decide di tornare a casa dei suoi. Il giorno dopo Samantha telefona a Matt per avere notizie di Michael, la polizia è stata messa al corrente della scomparsa del fratello e le indagini sono già iniziate. Ovviamente vengono intervistate tutte le persone potenzialmente coinvolte, tra queste anche Samantha. Intanto John non si fa vivo da una settimana. Samantha decide allora di andare a fargli visita per chiarirsi quantomeno le idee, e poi pensa, “se è andata a finire cosi, devo comunque restituirgli le chiavi di casa”. Bussa, ma niente. Apre la porta e vede con stupore sul tavolo diversi giornali di cronaca che si occupano tutti del caso di Michael. “Strano”, pensa, “lui non sa nemmeno che è il mio ex ragazzo, come mai tanto interesse”. Decide di non aspettarlo, e gli lascia le chiavi sul tavolo, ma prima vuole portarsi via il suo mobiletto, visto che questa volta la cantina non è chiusa a chiave. Ai primi due gradini la puzza è già insopportabile. Nel buio accende una lampadina e davanti ai suoi occhi lo scatolone con su scritto Monica ha un nuovo trofeo: una testa mozzata gocciolante sangue. È la testa di Michael. Samantha non riesce nemmeno ad urlare, indietreggia tremante e urta il primo gradino delle scale. Riesce a non perdere l’equilibrio e sale precipitosamente  lasciandosi la porta della cantina puzzolente alle spalle. È confusa, anziché andar via decide di chiamare subito Matt. Neanche lui è in casa, lascia un messaggio in segreteria. Intanto un rumore di passi sul pianerottolo fa rabbrividire Samantha che, braccata, va a nascondersi nell’armadio in camera da letto. La  porta di casa si apre. È John. Poggia un occhiata sui giornali e scorge le chiavi di casa. Capisce, Samantha è stata qui. La chiama: “Samantha, Samantha”. Silenzio. Forse ha lasciato le chiavi ed è andata via. Girandosi vede la luce della cantina inspiegabilmente accesa che si intrufola da sotto la porta. Capisce di nuovo. Samantha ha visto. E forse è ancora in casa. “Potrebbe essere scappata di corsa” pensa mentre inizia a cercarla per le stanze della casa. Dà un’occhiata veloce in cantina, niente. Poi in bagno, neanche. Rimane la stanza da letto, nemmeno. Certo però che quello scricchiolio dall’armadio è strano. Apre. Samantha, scoperta, urla. Il suo grido viene soffocato da un pugno potentissimo in bocca. Samantha si risveglia circa mezz’ora dopo, legata ed imbavagliata su di una sedia in soggiorno. È nuda, John ha un grosso martello ed una sega. Incomincia a colpirla alle ginocchia col martello, poi con la sega giocherella con i polpastrelli. Glieli tira via uno ad uno.

Intanto Matt è a casa. Ascolta i messaggi in segreteria. Il primo è di un suo collega che tarderà all’appuntamento. Il secondo e ultimo è di Samantha: “Matt, ho scoperto una cosa terribile, non ho il coraggio di dirti tutto al telefono, ma… Michael è… morto, è stato ucciso. Prima di chiamare la polizia volevo dirlo a te. E’ terribile”. Nient’altro. Matt è sconvolto. Intanto Samantha è in una pozza di sangue. Le dita colano zampilli di rosso ed hanno ricoperto ormai il pavimento sotto di lei. Le martellate alle ginocchia le provocano un dolore tale da farla vomitare ripetutamente. John grida parole di sdegno verso la madre. Continua a ripetere: “Mamma, non voglio le tue fottute bambole, puttana bastarda, le distruggerò tutte, come avrei dovuto distruggere te”. Nell’altra casa, Matt, in un attimo di lucidità, chiama la polizia che parte con due pattuglie, una diretta da Matt, l’altra a casa dei genitori di Samantha. Arriva a casa di Matt dopo pochi minuti e cercano di rintracciare la chiamata di Samantha. Ci riescono e ripartono verso una nuova destinazione: casa di John. Troppo tardi, John con in mano la fedele sega attacca ferocemente il collo della povera Samantha, quest’ultima viene letteralmente segata all’altezza della giugulare mentre, ormai sbavagliata, cerca di sbiascicare parole senza senso. Più che altro dalla sua bocca schizzano via getti di sangue mescolati a vomito, ma una strana frase riesce a pronunciarla: ”È anc… ora… g..ri..gio, g…rrri…gi…o. Vo… lev… o faaar…lo az..zzurr..o”. Quando John completa la decapitazione Samantha è appena morta. I muscoli del corpo senza testa però si muovono ancora negli ultimi spasmi. La polizia arriva dopo pochi minuti. “Polizia, apra la porta”. John non ha possibilità di fuga. Sa che non è accusato di nulla per ora, ma gli basterà aprire la porta per andare sulla sedia elettrica. Non gli resta che fingersi assente, sperando che cosi facendo i poliziotti vadano via dandogli cosi il tempo di ripulire tutto. Ma c’è troppo sangue per terra, e solo adesso si accorge che la pozza è diventata cosi vasta che sta velocemente raggiungendo la porta d’ingresso. John allora fa uno scatto per cercare di tamponare il sangue che sta per fuoriuscire, ma nel muoversi velocemente urta con violenza un tavolino facendolo cadere. Il rumore l’ha tradito. La polizia non ha dubbi, c’è qualcuno in casa che si sta nascondendo. Fanno irruzione e la scena che si presenta davanti è impietosa. A Matt non è permesso di entrare. Sta aspettando fuori, e dopo poco vede uscire ammanettato l’assassino di suo fratello, di Samantha e chissà forse di quanti altri. John gli passa di fianco, col volto stravolto, angosciato e assente. Gli sussurra una cosa. Matt ha stranamente un gesto di accondiscendenza e allunga il collo per ascoltare, poi John viene portato in macchina. Una poliziotta si avvicina a Matt e gli chiede: “Cosa le ha detto?” e Matt perplesso: “Credo abbia detto che deve fare un’ultima cosa per Samantha, colorare un mobiletto”.

CAPITOLO 2

Lo so, niente di nuovo, del resto nella mente di un bambino di soli undici anni non si possono certo pretendere chissà quali slanci di creatività. Da piccolo poi credevo che ogni volta che qualcuno venisse ucciso tutta la nazione si interessasse dell’accaduto con servizi giornalistici immediati su conoscenti e parenti della vittima come nei film americani. Crescendo poi ho capito che questo interesse è riservato solo ai decessi (per lo più naturali) dei vip ed ai fatti di cronaca che hanno qualche morboso retroscena sessuale. Niente di particolarmente poetico, né efficacemente realistico insomma, che divertimento però giocarci. A quell’età non mi preoccupavo certo di essere razionalmente coerente in ogni azione che facevo svolgere al mio pupazzetto, mi accontentavo del fatto che alla fine ci fosse del sangue da colorare sul suo corpo. D’altronde la vita reale è spesso ancora più banale. Prendete me per esempio. Vi ho già detto che faccio l’infermiere e probabilmente avrete anche capito perché. Infatti ho anche iniziato la mia presentazione dicendovi che sono un assassino, quindi facendo 2 più 2 avrete intuito che ho scelto questo lavoro per avere più facilità nel trovare le mie vittime, persone moribonde ed indifese che nel buio silenzioso di un turno di notte possono trovarsi un’iniezione d’aria nella flebo e schiattare senza dare troppi patemi al carnefice. Sbagliato. È vero, come dicevo, che la realtà è spesso banale, ma la banalità ha due strade, io ho scelto la seconda e cioè, faccio questo lavoro semplicemente perché voglio guarire la gente. Non ve lo aspettavate, vero? Un assassino che cura le persone. Bizzarra la vita. Ma c’è un motivo a tutto questo, però è meglio procedere per gradi e seguire la logica.

(continua…)

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