“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 22 July 2014 00:00

Alla ricerca di un nuovo mondo: cronache dal Giappone

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Oltrepassato l’ottavo bivio e dopo aver valicato centinaia di Torii del Fushimi Inari Taisha, mi sovvenne un pensier sublime: dove cazzo sono?!
Già, ero perso. Ero solo, in Giappone, senza sapere assolutamente il giapponese, quasi senza soldi, e non avevo la più pallida idea di dove stessi andando e tanto meno di come tornare indietro.
È in questi istanti che viene da rivalutare la colonizzazione e la globalizzazione: cosa non darei per un dannatissimo cartello in inglese! Non solo ero perso, ma ero anche stanco, anzi esausto!
E tuttavia non potevo assolutamente fermarmi, dietro di me una odiosa vecchietta sorridente con non uno ma bensì due bastoni stava come me salendo verso la cima e stava per superarmi.
“Vecchia, non avrai mai questo piacere, non ti porterai via quel poco che mi rimane d’orgoglio!”.

Ma cosa danno qui da mangiare per essere tutti così in salute? Già mezz’ora fa degli scolaretti di appena cinque anni mi avevano agiatamente superato ridacchiando. Da noi questo si chiama maltrattamento minorile! Non facciamo scalare le montagne ai bambini, li portiamo nei musei o al massimo al parco. Diamine, chi me l’ha fatto fare di venire qui dall’altra parte del mondo?
Dannata curiosità! Si inizia sempre così: prima leggi un libro, poi vuoi provare a usare le manette con la tua ragazza, poi la Nutella, e alla fine ti ritrovi dall’altra parte del globo per vedere se esiste un mondo diverso!
Un mese qui, a ritardare la laurea già parecchio in ritardo, perché dopotutto di lavoro ce n’è poco ed è meglio lasciarlo a chi ama veramente lavorare (io invece ho sempre preferito il tempo libero). Che pessima idea! E nel frattempo la nonnina si avvicina a me come uno squalo nei film americani.
Cercai di riflettere sul perché mi ero perso, la strada in teoria era solo dritta e in salita, invece poi aveva iniziato ad avere un sacco di bivi e a scendere e girare da tutte la parti per poi risalire. Proprio come la mia vita vera così complicata! Mi sembrò tutto un complotto, qualcosa deciso dalle sfere celesti a cui non sto tanto simpatico...
Nell’arco di cinque anni infatti avevo preso la scabbia dei conigli, poi una malattia esotica incurabile, poi avevo perso sessanta crediti universitari, mai una volta che avessi vinto a un gratta e vinci, mai un editore interessato ai miei libri, mi ero beccato una denuncia per satanismo e un’altra per diffamazione, continuavo a cadere per strada per colpa dei miei legamenti strani, mi era morto il pesce rosso, mi erano morti due cricetini uno squartato e l’altro divorato, ma peggio ancora: mio padre continuava a lamentarsi per la stanza in disordine e la mia ex adorava raccontarmi le sue esperienze sessuali coi suoi nuovi partner.
Alla faccia della misericordia divina! Avevo diciassette anni e ogni tanto bestemmiavo, si sa che quella è un'età particolare, c’è bisogno di prendersela tanto? Speravo che essendo nella giurisdizione di Budda qui sarei stato al sicuro, ma mi sbagliavo. Certo è anche vero che appena arrivato nel Sol Levante ho subito fatto una cazzata insultando le divinità locali. Ero in un grande parco, perso come sempre e assetato. A un certo punto vidi un grande tempio e davanti una specie di sorgente dove tutta la gente con uno strano cucchiaio prendeva l’acqua e sembrava ci si lavasse le mani. Pensando fosse una fontana io ci ho bevuto rumorosamente l’acqua santa per dissetarmi. Qui è tutto così complicato, anche al cesso non sapendo mai quale sia il tasto per tirare la catinella e col costante timore di attivare il bidè automatico. Da noi in Italia invece è tutto semplice, ma difficile, e davvero non so cosa sia meglio.
Ah, l’Amore! Ah, il Giappone! Il vento e le minigonne per strada delle giapponesine!
Era tutto vero, proprio come negli anime che mi piacciono tanto: il primo giorno a Tokyo c’avevo pianto di gioia! Ed ora invece eccomi qui, a piangere dalla disperazione mentre noto che sono perso fra statue di volpi che mi guardano male e che la vecchietta m’ha superato!
L’altra volta in città, perso anche quel giorno come sempre, avevo chiesto aiuto e il giapponese di turno mi aveva fissato con uno sguardo buffo, si era messo la punta dell’indice sul naso e poi se n’era andato... Grazie mille per avermi aiutato!
Qui ogni giorno, sin dal primo giorno, sono in pericolo. Impossibile sapere cosa mangio o dove vado, la guerra con la Corea per un isolotto conteso scoppiata un giorno prima di partire, la pena di morte, la paura di sbagliare inchino o gesto e di sfidare per sbaglio un lottatore di sumo, i ciliegi ovunque e la mia allergia al polline, un terremoto a settimana, i daini liberi, il tè verde fumante servito insieme alla tua cotoletta quando fuori ci sono trenta gradi, e sempre la costante ansia che Berlusconi se ne esca con una delle sue solite battute sul primo ministro giapponese.
Eppure, com’ero tranquillo e come mi sentivo al sicuro qui fino a poche ore fa!
Al sicuro, lontano da tutto: dalla leccatrice Miley Cyrus, dall’arte svenduta, dallo ‘statomafia’, dallo schifo fuori e dentro casa, dai mille tramonti e mai un’alba, da Dante con il quale non si mangia, dagli amici emigrati, da Pompei crollata, dai finti diversi, dai bigotti liberali, dai miliardi del calcio, dal mercato dei sentimenti, dal mercoledì sera ubriachi, dai discorsi sul ci vorrebbe la dittatura, e soprattutto da quel passato difficile ma meraviglioso il cui declino è stato votato all’unanimità dall’indifferenza della gente. Come potrebbe mai mancarmi tutto questo?
Oh sì, certo, i giapponesi sono pazzi.
Lavorano tutta la vita come schiavi per suicidarsi a quarant’anni e le compagnie dei treni chiedono i danni alle famiglie dei morti per il ritardo causato e le macchie di sangue. Ti danno un calore umano simile a quello dei piselli nel freezer, non si baciano per strada e censurano le vulve nei film pornografici, non sanno fare niente se non gli si dice come farlo, sono tradizionalisti ed imitano tutto dell’America, hanno le falloforie, e soprattutto dire “no” gli pare maleducato.
Ma ecco, dopo venticinque anni nella mia parte così ragionevole del mondo, dove tutto si fa perché conviene, io sono arrivato a preferire la pazzia alla ragione.
Perso qui, lontano dalla perdizione, sono felice. Un vento leggero porta sul palmo della mia mano la bellezza e la delicatezza di un fiore di ciliegio: l’invito a stringere un’alba rosa.
Nel silenzio e nell’eco delle preghiere buddiste, nel ricordo amaro-dolce delle contraddizioni del Sol Levante, nell’oscurità e nella solitudine del tempio shintoista, risuona una musica nostalgica e nuova. E mentre il monte Fuji mi invita alla grandezza nelle veci della mia Etna, trovo la forza per fissare attimi nella mia anima che non verranno mai più dimenticati, per immaginare.
Piove, certo, anche qui la pioggia è fitta e tuttavia a Hiroshima la fiamma eterna della speranza brucia ancora e grida: non dimenticare ma perdona, proteggi e ama.
In mezzo ai grattacieli di Tokyo non è il Capitale che mi fa battere forte il cuore ma è la visione di una fenice, è la consapevolezza di questa verità dimenticata: non c’è futuro senza sacrificio.
E gli splendidi paesaggi che ho visto, i profumi, i cibi, non sanno eguagliare la poesia di questa cultura in cui ancora il suicidio è così vivo, in cui c’è ancora qualcosa di più importante del sopravvivere. E poi che dire di quello spettacolo, unico al mondo, dell’orgoglio che si inchina?
Qui questo show è stato la mia realtà quotidiana, a ogni parola mia di gradimento sul Giappone, ogni volta che ho elogiato anche solo un telefonino giapponese, ogni volta che ho mostrato interesse per la cultura nipponica, ogni volta qui qualcuno con l’orgoglio nel cuore mi si è inchinato davanti.
E poi quella velocità, così angosciante, che qui tira dritto verso il futuro: le mie lacrime al museo dell’innovazione, in questa terra dove oggi è già domani.
Nulla è più prezioso di qualcosa che riesce ancora a stupirci, e qui tutto è sempre così sorprendente: non le mode pazze di Harajuku, o i combattimenti delle donne robot di Kabukicho, ma quella via nascosta piena di piccole locande di Ramen, Udon e Donburi fra i giganti metallici di Shinjuku.
O ancora la calma magica del piccolo tempio dei neonati pieno di bavaglini colorati a pochi passi dal sovraffollato padiglione d’oro, e i kimono delle donne di Kyoto che si riflettono sul fiume Kamo insieme alla gigantesca insegna luminosa “Pizza Salvatore”.
Qui l’assurdo non smette mai di essere bello: la signorina del museo che senza ombrello mi rincorre sotto la pioggia per farmi leggere in un libro la risposta a una mia domanda, la proprietaria di casa che mi dice che chiudere a chiave la porta non è necessario, il giapponese che mi invita a raccogliere la cartina che per sbaglio è caduta dalla mia tasca per terra, i quarantenni sulla metro coi videogiochi e coi manga, la mia compagna di viaggio sull’aereo che mi regala un origami fatto da lei davanti ai miei occhi stupiti.
Ma a poco serve ricordare tutto questo: sento i corvi sempre più numerosi e devo sbrigarmi!
In qualsiasi altra parte del mondo in questi casi si cerca l'aiuto delle autorità... MAI farlo qui!
Appena arrivato sono stato perquisito e rinchiuso in una gabbia metallica perché avevano trovato sospetto il mio rasoio nella valigia. Non è colpa mia se a voi non cresce la barba! Venti minuti dopo chiedo a un agente dove comprare un biglietto del treno e questo mi grida: “come sei entrato qui?” e mi afferra la spalla con forza e la faccia indemoniata. Non lo sapevo che nel biglietto della navetta dall’aeroporto era anche incluso il treno!
Marco Polo doveva essere pazzo: scappare dall’Italia mentre Dante era ancora vivo, quando le cose andavano ancora bene, o quasi! A ‘sto punto noi come minimo dovremmo andare nello spazio!
Certo però l’Alighieri doveva essere un amico terribilmente noioso e pedante, sempre a casa a studiare e scrivere e mai a farsi una bevuta con gli amici.
Chissà se anche lui raggiunta l’Asia avrà sentito echeggiare in sé come me quella fatalità per cui ci si rende conto che ogni viaggio è una sconfitta... Ah, Baudelaire! Che non hai mai lasciato Parigi e hai colto l’essenza del tutto, di ogni luogo e di ogni uomo, come t’invidio! Certo se tu però fossi nato a Caltanissetta come me, 60000 abitanti di cui 55000 fantasmi, che d’interessante ha solo la voce wikipedia, dubito molto che non te ne saresti andato lontano! Ma ecco che, finalmente, ricordo ciò che mi ha insegnato il Giappone e cioè di non temere di smarrire la via e di andare sempre avanti. Così, a duecentoventi metri d’altitudine, perso nella natura, la vedo: una macchinetta automatica che distribuisce bevande.
Ma chi diamine gliel’ha portata? I giapponesi sono proprio pazzi.
Poco più avanti, riuscendo a superare nell'ultima scalinata la vecchietta fiaccata, raggiungo la cima.
Il panorama è spettacolare eppure presto nel vasto cielo dimentico ciò che ho davanti ed il mio sguardo si ritrova a cercare l’unica bellezza che io conosca, la più preziosa: la mia Italia.
Mi ritrovo a cercare l’unico posto nel mondo dove si trova la mia casa: le braccia di coloro che mi vogliono bene. E riscendo, sorridente, orgoglioso del percorso, ridendo, pensando a quanta forza e fatica sia necessaria per scoprire e accettare le nostre più grandi debolezze.
Il mio mondo nuovo, alla fine, l’ho trovato? Certo che no, l’ho solo ritrovato lì dove è sempre stato: fra le mie mani. Il Giappone... cosa vi ho scoperto? La solitudine fra milioni di persone, l’idea di una vita vuota e priva di senso vissuta in un luogo dove non avrei nulla da proteggere. Il Giappone, cosa mi ha fatto desiderare? Niente, mi ha solo ricordato l’essenziale: ciò che per me è importante, ciò che dodicimila chilometri non sanno separare, ciò in cui credo e che non voglio perdere.
Che questa vita è priva di qualsiasi senso se non si ha qualcuno per cui viverla, che il sogno appartiene solo a chi ha ancora qualcuno da amare, qualcuno da cui tornare.

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