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Monday, 30 June 2014 00:00

Di terra ferro e cemento

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Non ci vuole troppo coraggio quando hai dieci anni e una famiglia di ceto medio senza troppe pretese, e Mino questo non lo sa. Lui vive il suo microcosmo come fosse un universo in continua espansione, vede oltre l’interno di limiti circoscritti solo perché non conosce limiti; anche lui non ha troppe pretese.
Però a fargli compagnia c’è Giambo che vuole fare sempre la cosa storta.

Vivono in un parco privato dove hanno tutto: cemento da segnare col gesso, erba viva, campetti di calcio e basket, giostrine, strade larghe per le biciclette, una decina di palazzi con un sacco di bambini coi quali giocare. C’è tutto per essere felici.
Mino ha il vezzo di guardare a terra e contarsi i passi. Giambo invece ha sempre la testa in aria e sbuffa, come se avesse un palloncino che gli ronza nello stomaco.
Tutti e due vivono la mezza infanzia insieme. Sono entrambi magrolini, Mino con le palpebre a metà e la parlata lenta ma precisa, Giambo con gli occhi piccoli ma accesi e l’urlo facile. Però da come si vestono si vede che Mino se la passa bene perché anche due volte la settimana può cambiare la shirt e gli short, mentre Giambo non tanto bene perché spesso se ne va in giro con la maglietta sporca di sugo o il pantaloncino sporco d’erba e di terriccio. I due quando non stanno nell’ampio perimetro del parco stanno a casa di Mino a giocare al computer, a casa di Giambo mai.

Prima di conoscersi Mino e Giambo vivevano diversi. Mino stava col suo gruppo di ragazzini e ragazzine e sudava ogni giorno la gioia di vivere senza dover pensare ad altro. Giambo invece aveva già i suoi piccoli pugni in tasca e camminando tirava pietre con le scarpe, da solo. Lo additavano tutti come un tipo che puzza e che parla male. Giambo però non pareva provare interesse verso quei suoi vicini altezzosi, lui era come se ogni giorno marciasse su un campo di battaglia, mentre gli altri sopra quella porzione delimitata di terra ferro e cemento ci volavano.
Un pomeriggio caldo d’estate successe una cosa. Mino scese di casa per raggiungere i compagni e tutti insieme dovevano comprare il gelato. Era l’ultimo, e quando giunse tutti a dire "finalmente sei qui!". Però Mino non aveva una bella faccia. Era pallido e aveva gli occhi lucidi, e quando tutti si avviarono alla salumeria – che era una casa di un palazzo in cui si vendeva merce sottobanco – se ne rimase piantato nell’asfalto come un pilastro di cemento armato.
"Mino che stai aspettando? vieni!" disse Caricola, un ragazzino belloccio che parlava poco ma lo faceva quasi sempre per tutti.
"Non posso".
"E perché?".
"Non ho i soldi".
Ora c’è da dire che ognuno di quel gruppetto di una decina tra bambini e bambine non poteva lamentarsi della vita perché abitava in quel parco esclusivo per diritto acquisito e non come Giambo che ci era capitato per pasticcio ereditario. Loro erano i figli delle famiglie che potevano permettersi tutto quanto e in caso estremo c’erano sempre le cambiali. Erano i figli dei ricchi di un momento storico favorevole. Però non erano proprio ricchi altrimenti non sarebbero vissuti in uno dei venti appartamenti di uno dei dieci palazzi del parco. C’erano molti posti più esclusivi nel mondo.
"Mino allora noi andiamo. Ciao".
Mino rimase seduto sul gradino di marmo ai piedi del portone, e osservava uno scarabeo che faceva da solo le sue cose. Osservò a lungo. Poi alzata la testa si trovò di fronte Giambo che sorrideva quasi sfidandolo. Allora pianse.
"Dove stanno i tuoi amici?" chiese Giambo mentre Mino piangeva.
"Se ne sono andati" rispose Mino interrompendo a fatica i singhiozzi.
"E perché ti hanno lasciato qua?" chiese ancora Giambo.
"Perché non ho i soldi per il gelato" rispose Mino ancora singhiozzando.
Giambo non cambiò la piega perversa delle labbra dal sorriso tipico dei supereroi dannati di certi cartoni animati giapponesi. Con una mano prese lo scarabeo e lo avvicinò alla faccia di Mino. Nessun bambino aveva mai preso uno scarafaggio con le mani.
"Ti piace?" gli chiese, mentre lo scarabeo, stretto in maniera indolore tra le dita, agitava le zampette.
"Mi fa schifo!" rispose deciso Mino, e intanto non piangeva più.
Quel pomeriggio caldo e triste senza saperlo Mino e Giambo divennero inseparabili per la prima volta.

"Non mi piace stare chiuso in questo parco, perché non usciamo fuori?".
"E poi che facciamo?".
Se Giambo è insofferente e impulsivo, Mino è ragionevole e tranquillo. I due da quasi due anni passano le giornate insieme da soli perché Giambo secondo tutti è fatto male e intorno a sé ha il vuoto, mentre Mino quel pomeriggio che l’ha conosciuto ha capito che non è così facile stare in mezzo agli altri. Per lui è meglio stare con uno che non ti lascia mai solo piuttosto che con tanti che di te sanno anche dimenticarsi. Giambo invece certi ragionamenti non li fa, lui si è trovato sulla sua strada Mino e poi hanno proseguito insieme.
"Allora Mino! vogliamo uscire?".
"E poi?".
"E poi si vede!".
Mino non è convinto, guarda a terra forse in cerca dello scarabeo. Giambo invece scalpita. A un certo punto spazientito decide di afferrare il braccio gracile di Mino e di trascinarlo con sé.
Il parco è grande ma ha solo un ingresso. Dall’interno si vede prima una sbarra che si apre per far passare le macchine, e poi, dietro, un cancello elettrico grande aperto tutto il giorno attaccato a un cancelletto piccolo per le persone. Di lato c’è una piccola struttura di cemento e dentro c’è il Custode.
Il Custode è uno che anche quando fa caldo ha la giacca e la cravatta. È giovane e robusto, e indossa un paio di occhiali da sole a specchio uguali a quelli che ha Rambo nel film Cobra. È lui a decidere chi può oltrepassare il cancello.
Giambo e Mino camminano attaccati l’uno all’altro. Si dirigono verso il cancello aperto. Giambo ha la fronte corrugata dalla tensione mentre Mino è preoccupato e tiene il fiato.
"Alt!".
Tutti e due si fermano di botto.
"Non muovetevi!".
Giambo e Mino rimangono inchiodati sul cemento, rigidi, sull’attenti, e le loro facce timorose si bagnano di sudore.
"Dove credevate di andare?".
Il Custode è uscito dalla sua casetta e si avvicina a loro con passo lento ma deciso, le scarpe di cuoio coi tacchi rintoccano a terra rumorose.
"Allora?".
Il Custode avvicina la faccia dura e col mascellone verso le facce molli e tese dei due bambini. Mino ha paura, e nel parco non gli è capitato mai. Giambo ha anche lui paura, ma è come se ci fosse abituato. Infatti è lui a rispondere.
"Volevamo farci un giro...".
"Farvi un giro? ahahahahhahaha".
La risata indispettisce Giambo che è lì lì per sbottare alla sua solita maniera volgare, ma Mino lo capisce e allora gli dà un pizzicotto sulla coscia nuda e senza peli.
"Ahia! ma che fai?".
"Silenzio! andate via da qui e non vi fate più vedere!".
Mino e Giambo corrono veloci veloci come se stessero scappando, ci mettono tutta la forza che hanno, quella corsa per loro è una liberazione. Prendono fiato all’ombra del retro di un palazzo. Mino poi sospira riacquistando tranquillità. Giambo invece no. Lui non l’ha presa bene. A terra c’è un esercito di formiche che banchetta con una patatina cipster croccante e Giambo allora ci butta sopra il piede e cerca di schiacciarle tutte.
"Ma che fai? perché?" chiede Mino dispiaciuto.
"Io me ne torno a casa".
Mino non lo trattiene. Non ha mai visto l’amico con quella faccia e con quella furia tra i piedi. È chiaro per lui che Giambo non ci sta bene nel parco, ma perché? per quanto si sforzi di trovare una ragione non ci riesce. Nel parco c’è tutto, e tutti i bambini sono felici e spensierati. “Spensierati”. È la prima volta che gli sale alla testa questa parola e ciò non sarebbe mai successo senza Giambo e il bagaglio sconosciuto che si porta dietro. Vorrebbe possedere i pensieri dell’amico per capirlo e per fare qualcosa. Così non ci può fare nulla, ma magari l’indomani passa tutto e la vita ricomincia come prima.

La vita, il giorno dopo, ricomincia. Le giornate dei bambini sono spaccate in due, la prima parte è per la scuola, la seconda invece è per fare tutto il resto. Questa qui, che poi è quella che conta, inizia dopo mangiato, però tutti aspettano almeno un paio d’ore prima di scendere giù perché la scuola lascia dei compiti da fare che sono un impegno obbligatorio, altrimenti i genitori sono capaci di renderti la vita un inferno.
Quando alle tre e mezza del pomeriggio Mino vede la luce Giambo è in giro già da parecchio. Lui evidentemente i compiti non li fa mai e però è lo stesso libero di scendere e fare quello che vuole, mentre gli altri bambini se non fanno i compiti non scendono. Allora Giambo è un privilegiato, pensa Mino. Invece no, Mino non lo sa che Giambo a casa sta sempre solo perché i genitori lavorano tutti e due e non ci sono quasi mai e il loro lavoro non porta neanche un sacco di soldi a casa perché ci sono i debiti da scontare.
"Ciao Giambo! che facciamo?".
"Oggi diamo la caccia alle bambine!".
"Eh?".
Mino è perplesso, ma vede Giambo con gli occhietti illuminati e si ricorda del giorno prima e allora risponde "andiamo!".
I due si muovono a schiena bassa e a mani appese come coniglietti. Appena possono si nascondono dietro a un albero o a un pilastro, che poi il pilastro non è altro che un albero che spunta dal cemento. Dopo qualche minuto scorgono due bambine sedute su una panchina che parlano con le loro bambole. Le bambine hanno massimo sei anni e sono vestite come le bambole, un vestitino rosa lungo e merlettato.
"Eccole!" dice Giambo, e Mino annuisce.
I due rimangono per un po’ fermi a stabilire una strategia. Alla fine decidono che devono partire in direzioni opposte, prendere il largo, nascondersi dietro le piante mentre si avvicinano, e infine attaccarle alle spalle.
Fanno tutto in una manciata di minuti.
Poi spuntano entrambi da sotto la panchina con un mostruoso «aaaaaaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrrgh!» e le bambine urlano di paura.
Mino afferra la bambina che ha i capelli ricci castani e gli occhiali e che stride "lasciami lasciami, cattivo lasciami!".
Giambo afferra l’altra con i capelli lisci corvini che urla "lasciami maledetto, lasciami!".
Dopo un po’ Mino lascia la sua bambina perché il gioco gli sembra finito.
Giambo no. Lui tiene la sua alle spalle e con le braccia che partono da sotto le ascella e la stringono forte mentre quella piange e urla "mia figlia è caduta!", e Giambo a sua volta urla "è solo una bambola!", e la bambina insiste "lasciami, mi stai facendo male!" e poi piange, ma Giambo non ci pensa a lasciarla.
Mino sente di voler allungare il braccio per fermare Giambo, ma qualcosa lo frena. Però la bambina piange ancora e Giambo stringe sempre di più.
Poi Giambo fa una cosa strana. Allenta un po’ la presa e abbassa leggermente il capo sulla nuca di lei, come per baciarla. Il suo viso attinge ad una serenità angelica.
Mino non capisce. E non ha tempo di capire. Un vecchio che passa da lì per caso vede la scena e si precipita verso di loro con il pugno alzato e strepita
"Lascia la bambina! lasciala cagnaccio selvatico!".
Così Giambo la lascia, e scappa.

Mino non capisce cos’ha Giambo, perché gli mancano i pezzi per capire. Lui e Giambo sono stati sempre insieme, eppure non ha mai visto i suoi genitori, né casa sua, né Giambo gli ha mai parlato di quelle cose che ti fanno capire che c’è dietro alle stranezze che ogni tanto ti capita di fare. Mino vorrebbe capire, ma non ha il coraggio di domandare.
Quando il giorno dopo lo incontra per prima cose gli domanda
"Giambo cos’hai?".
Giambo sorride come se niente fosse.
"Andiamo a caccia di lucertole!" dice, e Mino allora, al ritrovato entusiasmo dell’amico, subito dimentica quanto successo.
Fa caldo, il sole di luglio lascia senza respiro, è come stare chiusi dentro il cofano di una macchina con la differenza che c’è il sole che dall’alto ti guarda e ti prende in giro.
Mentre cercano si accorgono che le lucertole non ci sono. Fa troppo caldo anche per loro. Però Mino a un certo punto sente un grido e si volge verso Giambo che sta a qualche metro e brandisce in alto un pezzo di carta.
"Cosa c’è Giambo?".
Giambo saltella con questo pezzo di carta in mano e ride a squarciagola e ha gli occhi felici.
"Lo vedi questo?".
"Sì, cos’è?".
"È il nostro biglietto di uscita!".
Mino è pensieroso mentre Giambo, esaltato come mai lo è stato, gli spiega che hanno tra le mani un biglietto che si gratta e che può capitare – non sempre ma può capitare – che si vincano dei soldi. Quindi aggiunge che loro hanno vinto molti soldi.
"Ma dove l’hai trovato?".
"In mezzo all’erbaccia che sta prima del marciapiede, lì!".
"E quanto abbiamo vinto?".
"Cento milioni!"
E ride ancora Giambo, manco fosse la prima volta che la vita gli sorrida, però Mino non lo sa ma di fatto è proprio così.
"Adesso ce ne potremo andare, con questo non ci mancherà nulla!".
Mino sorride incerto, e mentre lo fa di nuovo Giambo gli afferra il braccio e lo trascina con sé.
I due si fermano sotto il portone dell’ultimo palazzo prima del cancello.
"Ascoltami Mino, stavolta non dobbiamo farci prendere dal Custode. Dobbiamo pensare a un piano".
"Non ce la faremo mai..." dice Mino, strascicando le parole.
"Non dire così! con questo ora possiamo fare tutto!" dice Giambo, definitivo, stringendo il biglietto tra le dita prima di ficcarselo di nuovo in tasca.
I due esitano qualche minuto. Mino guarda a terra, da tempo perplesso, mentre Giambo guarda in cielo, alla ricerca della giusta illuminazione.
Alla fine la trova.
Non è un granché come illuminazione, ma meglio di nulla.
"Allora Mino ascoltami. Noi da qui lanciamo le pietre verso la casetta finché non esce il Custode. Poi mentre lui cerca i colpevoli noi corriamo verso l’uscita con tutta la forza che abbiamo. Hai capito Mino?".
"Sì ho capito...", ma Mino ha il musone.
"Che c’hai Mino, non vuoi uscire? guarda che fuori c’è tutto!".
Mino infine, contagiato dall’esaltazione dell’amico, si convince anche lui.
Insieme lanciano le pietre.
Il Custode dopo un po’ esce. Ha un lungo vestito nero e la cravatta, e si vede che soffre con quel sole cocente pomeridiano. Si guarda intorno intontito.
Poi Giambo urla:
"Via!".
e i due bambini partono in sprint verso il cancello. Il Custode li vede ma più di allungare la mano e gridare di fermarsi non può fare, sono troppo lontani.
Mino e Giambo stanno per superare la soglia del parco.
Giambo sta davanti, è una saetta.
Mino sta dietro, ma ci mette tanto impegno.
Poi Giambo, oltrepassato il limite del cancello, sente un grido di dolore e si gira.
Mino è a terra, si tocca il ginocchio, rosso di sangue.
Giambo lo guarda, fa spallucce, e se ne va.

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