“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 31 March 2014 00:00

La mia sera

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È sera, quasi notte.     
Tutto volge allo spegnimento affinché si ridesti domani.          
Le chiacchiere si mischieranno ancora una volta alle tazzine del caffè, alle televisioni, alle radio, al traffico, alle radio nel traffico, alla campanella della scuola, al computer degli uffici, al telefono, al citofono, alle porte, alle finestre, alle saracinesche.         
Sono un soggetto ansioso.     
C’è il postino è arrivata una raccomandata, però secondo me fa più freddo di ieri, devi studiare la scuola è importante, se prenotiamo adesso risparmiamo, tu non hai ancora capito che in questa casa devi collaborare, ma tu non indovinerai mai cosa ho sognato stanotte.        
Come è bello questo silenzio.

 

È sera, quasi notte.     
Questi attimi sospesi suggeriscono atmosfere evocative.         
Il carattere provvisorio di questo silenzio mi induce a desiderare che duri a lungo.              
Vorrei poterlo ascoltare tutto, dall’inizio alla fine, vorrei poter rimandare a domani questa operazione di sosta del corpo, di tregua della mente, vorrei poter dormire mentre tutti straparlano e ostentano cose con una tale e spaventosa importanza da esortarmi a sperare che in fondo fingano tutti, che si stiano solo attenendo alle regole del gioco dell’importanza, non voglio dormire adesso.  
Sono un soggetto insofferente.           
L’incertezza di questo confine tra il giorno e la notte riassume tutta la mia vita.              
Come è familiare questo silenzio.         

 

È sera, quasi notte.     
Una sera sfumata, lirica, ottocentesca.                                         
Abbraccio il quieto preludio della notte della vita, che ricorda Foscolo e, ancora, Pascoli.             
Stringo i ricordi del passato, ormai cari fantasmi, proietto la mia gioia illusoria in un futuro imprecisato che attendo, celebrando Leopardi, badando bene a tener fuori D’Annunzio, suggeritore di soluzioni troppo moderne e vagamente mistiche.           
Sono un soggetto malinconico.           
Non ci sono più rumori a distrarmi, non ci sono rituali a scandire il tempo.     
Tristemente riscopro tensioni tipiche dello spirito romantico.
Come è doloroso questo silenzio.

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