Print this page
Monday, 17 February 2014 00:00

En la jugada de todos los tiempos

Written by 

Ahi la tiene Maradona. Le marcan dos. Pisa la pelota Maradona.
Il campo è una pozzanghera di fango e terreno, un’informe distesa marrone su cui l’erba ha deciso di non crescere: come a non voler dare illusioni, vantaggi, un minimo di comodità; come a non voler concedere neanche un po’ di bellezza a questo morto pezzo di terra di una morta periferia meridionale.
Assenti le linee di fondo, il cerchio al centro del campo, gli spigoli negli angoli, l’aria del portiere; assente il dischetto, lo si misura coi passi: uno, dos, tres, cuatro, cinco…

Gli spalti sono gradoni scomodi e sporchi mentre le porte sono pali quadrati, grossolanamente dipinti di bianco: c’è chi dice fossero le vecchie porte di un vecchio campo di un vecchio stadio e c’è chi, invece, le racconta come parti rimaste di una vecchia staccionata di un vecchio giardino di una vecchia casa abbandonata.
È su questa zolla dura e ingobbita, piena di bubboni e di buche, che i futuri disoccupati di Villa Fiorito, Buenos Aires Argentina, fanno la corsa fin dal mattino: chi prima arriva, infatti, tanto gioca.
È su questa zolla che fanno la conta per formare le squadre, che decidono chi si debba togliere le magliette e correre a dorso nudo, che stabiliscono i ruoli litigando per chi debba stare in porta (“Vai tu”; “No, ci vai tu”; “Facciamo a turno”; “Comincia tu, allora…”); è su questa zolla che gridano al mondo il calcio d’inizio di una partita che – naturalmente – il mondo ignora.
È su questa zolla che due calciatori minuscoli riposano dopo aver giocato per quasi sei ore, senza fermarsi. “Ti dico che un giorno giocherai nel Boca e che farai un gol come quello che hai fatto oggi: palla al sinistro e uno, dos, tres: tutti scartati. E ti dico che sarà il gol più bello della storia del calcio. Alla Bombonera, con la maglia del Boca” ciancia El Goyo, mentre azzanna un tozzo di pane con dentro della crosta di formaggio ingiallito.
“È vero, Goyo, farò il gol più bello della storia del calcio ma lo farò con la nazionale, magari ai mondiali. E sai perché? Perché, come mi dice sempre la Tota, la mia mamma triste, ‘le cose grandi si fanno per amore’. Goyo, scarterò tutti, proprio tutti, ma con la nazionale. Magari ai mondiali” risponde El Pelusa, azzannando un pezzo di pane con dentro soltanto la mollica, indurita.
Ahi la tiene Maradona. Le marcan dos. Pisa la pelota Maradona. Arrancha por la derecha el genio del fútbol mundial.
L’Argentina è la punta meridionale del mondo, meglio: è il mondo alla fine del mondo. Triangolo tozzo, ruvido, sghembo, somiglia a un crostone, a una grossa scheggia avanzata, a un pezzo in più di cui non si sa che cosa fare. È una rimanenza continentale, l’Argentina. Niente in comune col Cile, che specchia la sua forma sinuosa nell’acqua; con l’Uruguay, che se ne sta piccolo e zitto, zitto e tranquillo; col Brasile, guascone che esagera allargando il sorriso e dimenando i suoi fianchi.
L’Argentina è la punta meridionale del mondo, meglio: è il mondo alla fine del mondo. È come l’ultima stazione di un tragitto lunghissimo, l’ultimo viale di un parco, l’ultima stanza di una grande casa abitata. Ecco: l’Argentina è il ripostiglio del mondo ed è nel ripostiglio che si accumula tutto: gerarchi in fuga dai campi nazisti, dissidenti politici, vecchi piduisti, criminali di Stato, militari abituati a sparare sulla folla, populisti, imprenditori corrotti, politici corrotti da imprenditori corrotti ma anche rivoluzionari che moriranno combattendo per una Patria che non è la loro, madri che non dimenticano i figli che sono scomparsi e preti di frontiera, più simili ai socialisti o ai comunisti che al santo santissimo vescovo che s’affaccia, dal balcone santissimo, sulla santissima piazza di Roma. E – in questo ripostiglio – dal 1982 ci sono anche seicentocinquantanove tombe: simbolo e rimanenza della guerra de las Malvinas; simbolo e rimanenza della retorica; simbolo e rimanenza di una guerra che è pur sempre una guerra anche quando la guerra è chiesta da gran parte del popolo.
“La pagherete, alla prima occasione”.
Ahi la tiene Maradona. Le marcan dos. Pisa la pelota Maradona. Arrancha per la derecha el genio del fútbol mundial. Siempre Maradona… genio, genio, genio…
Hector Adolfo Enrique detto El Negro è un mediano e, in quanto mediano, non ha tecnica né fantasia. Quando l’allenatore si ricorda di rivolgergli la parola dice: "Hector corri. Corri dall’inizio alla fine, senza fermarti, come se avessi alle calcagna quella vipera di tua suocera. Corri e, se puoi, recupera qualche pallone”. Ed Hector Adolfo Enrique detto El Negro ubbidisce: corre e recupera qualche pallone.
Al cinquantacinquesimo minuto ne ha uno tra i piedi, strappato chissà come agli inglesi. Alza il volto e si accorge di essere in Messico, all’Azteca, ai Mondiali. Schiarita l’immagine scorge tra quattro camicie britanniche – immacolate come la veste della Santa Vergine Addolorata del Barrio – una maglia piccola e stretta, sudata, celeste. El Negro non ci pensa un istante: passa il pallone a Maradona.
El Pelusa riceve: a cinquantacinque metri dalla porta, a cinquantacinque minuti dall’inizio. Doppia veronica e fuga celere a destra. Una falcata e la metà campo è alle spalle, come alle spalle sono tre inglesi, dribblati in meno di quattro secondi. El Pelusa ha il cuore che batte, il fiato che accelera ed il sinistro attaccato al pallone: “Dio, se in questo momento non hai niente da fare, dammi davvero una mano”. Dio, evidentemente, non ha niente da fare e sta guardando anche Lui la partita: dal primo tempo.
Hector capisce e si ferma: “Il nano va da solo, il nano va in porta”. Sa già che ha appena fornito il primo assist della sua carriera.
Sugli spalti capisce Aleijo Campos, un bambino di undici anni che è sgattaiolato allo stadio intrufolandosi tra la folla che spingeva all’entrata. Sugli spalti capisce El Goyo, vecchio amico d’infanzia che non ha mai fatto il calciatore e che ha comprato il biglietto di Argentina-Inghilterra portando al Monte dei Pegni le catenine d’oro che ha ricevuto dal padre, che le aveva ricevute da suo padre, che le aveva ricevute da suo padre. Sugli spalti capisce Victor Hugo Morales, telecronista argentino, che sta per perdere il senno: “Genio, genio, genio” è, infatti, l’ultima frase dotata di senso che pronuncia in diretta.
In campo capisce Terry Fenwick da Seaham, contea di Durham, posto di pescatori e fatica, dove i furbi o fanno la fame o marciscono in una cella: “Questo figlio di puttana vuole segnare. Ora l’azzoppo e non se ne parla più”. Ma Terry capisce in ritardo: saltato. Saltato come è saltato Shilton, che sa già che è inutile mettersi contro questo nano qui giù quando, Quello lassù, gli dà una mano; saltato com’è saltato Butcher, stopper legnoso quanto il vecchio scaffale che Butcher stesso ha giù in cantina e su cui poggia i boccali di cui fa collezione.
Al dodicesimo tocco, in un’azione durata dodici secondi incastonati nel cinquantacinquesimo minuto di una partita da novanta, El-Pelusa-Pibe-de-Oro-Diego-Armando-Maradona-è-megl’-‘e-Pelè tramuta il sogno di un bambino e l’amarezza, il cordoglio, il desiderio di vendetta di un popolo in una serpentina nel vento, tra uomini in calzoncini e camicia, sotto lo sguardo televisivo del mondo. Dalla linea di centrocampo alla linea di porta: fino alla fine.
Fino alla fine, fino alla fine, fino alla fine: “Dio, aiutami fino alla fine”.
Ahi la tiene Maradona. Le marcan dos. Pisa la pelota Maradona. Arrancha por la derecha el genio del fútbol mundial. Puede tocar para Burruchaga… Siempre Maradona…genio, genio, genio…tá, tá,tá…gooooool!
Quíero llorar, Dios Santo, viva el fútbol, goolaaaaazoooo, Diegoool…Maradona! Es para llorar, perdónenme… Maradona en recorrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… barrilete cósmico! De qué planeta viniste para dejar en el camino a tanto inglés? Para que el país sea un puño apretado gritando por Argentina… Argentina 2 Inglaterra 0… Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona. Gracias, Dios… Por el fútbol, por Maradona, por esta lágrimas…


http://www.youtube.com/watch?v=RiYYSradplU

Related items