“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Daniela Del Mese

LSD: la breve storia di un uomo che a mezzanotte decise di andare

L’arrivederci

A mezzanotte si sentiva a pezzi. Vedeva spazi alberati. Palazzi gentiluomini. Ufficiali di terracotta. Fermi e infermi. Dolori senza urla. La casa di zucchero e marzapane. Una storia senza pane. Forni spenti e la voglia di accendere un fuoco. Divampò. Avvampò e poi andò. Verso altri spazi.

 

Il viaggio e il ritorno

Appese il lume della ragione in strada e aspettò. Le onde del mare così alte non le aveva mai viste. D’altronde la sua era una città a picco sul nulla e il mare non c’era. Riuscì a scorgere un gabbiano, di cartone. Un vento così lui non l’aveva mai incontrato. Del resto la sua era una città ferma e il vento non soffiava, restava a guardare. Non aveva mai visto una luna così sorridente. Sulla sua città sogghignavano le nuvole. Toccò il cielo con un dito, il mare con i piedi e si lasciò accarezzare dalla brezza. Ore ed ore. Albeggiò. Mise il lume in tasca e si sedette in strada, ad aspettare che il sole tramontasse ancora. Era così lontano pochi secondi prima… Ora gli occhi fissi sull’asfalto e contava i secondi. Quattrocentoventi secondi di cammino lo separavano da casa.

 

L’addio

Sciolta. La casa si era sciolta. Dissolta. Un fiume dolce. Ritornare. Controcorrente anche lo zucchero diventa sale. Scale, niente più scale. Nessuna casa sopravvissuta, neanche la sua. Avrebbe dovuto pensarci prima di divampare. Affanno. Non sarebbe più stato lo stesso, non era più se stesso. Un lume senza casa è senza ragione. Pensò alle onde del mare. Ne prese una. Non sarebbe più tornato. Né lì né altrove.

Una vita coi piedi

Tutti i giorni alle sette e quindici in punto usciva di casa. Dava tre mandate alla porta e controllava che lo zerbino fosse disposto parallelamente all’uscio. Se lo sorprendeva di sbieco, con piccoli movimenti del piede, cercava pazientemente di rimetterlo a posto. Era abbastanza impegnativo, perché per quanto si sforzasse di trovare un equilibrio, gli pareva sempre che il posizionamento non raggiungesse la perfezione voluta. Con fatica si liberava di quell’ossessione, almeno temporaneamente, e si avviava verso l’ascensore.  Purtroppo l’attività mattiniera nel palazzo era frenetica e quindi doveva sempre attendere qualche minuto affinché l’ascensore arrivasse al piano. Nell’attesa lo sguardo si posava sugli zerbini dei suoi vicini: tutti troppo storti! Cercava rapidamente di sistemarli come gli sembrava consono, con movimenti rapidi e furtivi del piede destro, come se stesse commettendo una qualche infrazione. Qualcuno avrebbe potuto pensare che stesse abusivamente contestando le scelte di posizione altrui, in fondo ognuno aveva il diritto di mettere i propri zerbini come meglio credeva e lui se ne rendeva conto ma non ne teneva poi molto conto. Del resto il tappetino altrui non avrebbe dovuto rovinare la mattinata a quei poveri che credevano ancora in un’etica dei posizionamenti, di cui il nostro uomo si sentiva assolutamente paladino, fiero e capace. Mentre pensava ai pro e i contro di uno zerbino obliquo era già nell’ascensore.

Il Triangolo Invernale: “riflessioni da balcone”

Sono sul balcone di casa, è passata mezzanotte, fa freddo e in questa notte di inizio dicembre ho il naso all’insù. Se volete, alla stessa ora affacciatevi alla finestra e rivolgete lo sguardo a Sud-Est. Quando il cielo sarà sgombro da nuvole, potrete scorgervi un corpo grande e luminoso, il più luminoso dopo Venere: Giove.1 Questo gigante gassoso aiuta a mantenere l’equilibrio del sistema solare.

Il fischio d’inizio

Domenica 23 maggio 2010 ore 14:45

Nello spogliatoio l’attività è frenetica. Stefano, il tuo compagno di reparto, non se ne cura, è seduto e guarda dritto davanti a sé. Sua moglie sta per partorire, lui vorrebbe essere con lei. Tu lo odi, sua moglie è bellissima, la tua ti ha lasciato per un portiere e vorresti segnare, daresti qualsiasi cosa, baratteresti anche tua madre per un gol nel derby. Il massaggiatore ti dà una pacca sulla spalla, il Presidente dice che porti fortuna, tu speri, lo speri con tutto te stesso. Durante il riscaldamento, una donna, forse una ragazzina, ti ha lanciato un peluche tascabile e lo tieni ancora stretto tra le mani. È un cagnolino bianco con un occhio nero e l’unica cosa che riesci a pensare è che tu odi la Juve. Lo spogliatoio puzza di sudore, eppure ti sembra piacevole mentre l’allenatore ti ripete per l’ennesima volta che quando gli esterni salgono tu ti dovrai inserire centralmente: hai un ottimo tempo di inserimento, lo sanno tutti, lo sai anche tu. In lontananza si sentono già i tifosi intonare i cori, gridano il tuo nome. Guardi il cane e sorridi. Segnerò.

Non c’è altezza che non abbia al di sopra di sé qualcosa di più alto

L’appartamento di Luca era al piano terra e aveva un solo balcone, molto piccolo, che dava nel cortile di un palazzo anni Sessanta. Al di là del cortile c’era un palazzo di un piano più basso sul cui ingresso campeggiava una targa dorata con una scritta nera: SCALA B. A destra un pesco spoglio.  Ogni giorno Luca si affacciava al balcone e pensava che non avrebbe potuto buttarsi giù, gli era sta negata anche la possibilità di scegliere. Tristemente guardava la scritta che gli si presentava davanti e il suo pensiero andava alle scale: le odiava! Odiava quella scritta ed odiava quel palazzo che gli precludeva l’orizzonte. Se almeno non avesse odiato le scale, avrebbe potuto andare più in alto, ma odiava le altezze e si sa che ogni gradino porta con sé il peso di un’altezza.
Matteo abitava all’ultimo piano, il quinto. La sua camera aveva una finestra dalla quale guardando giù vedeva il balcone di Luca e davanti a sé, tra le decine di palazzi, ogni tanto faceva capolino l’orizzonte.

"Through The Never” : un’esperienza 'Metallica'

Chiudete gli occhi. Immaginate di essere in una megastruttura canadese dove si stanno esibendo i Metallica. L’odore acre del sudore dei vostri tanti vicini. Centinaia e centinaia di persone. Urla e birra a volontà. Headbanging e pogate. Liberazione e partecipazione.
Bene, ora aprite gli occhi, siete in una sala cinematografica da centoundici posti e i vostri vicini non sono sudati e a nessuno verrà mai in mente di alzarsi in piedi e iniziare a far volteggiare i capelli.

Ma tu lo conosci il gatto di Schrödinger?

Neanche l’ombra. “Io non vedo l’ombra perché non c’è luce”. Voce fioca. Incerta a tratti. “Spazi stretti, claustrofobici. Tieni insieme gli opposti. Non importa quanto ti costi, tieni insieme gli opposti”.

Spazi al di là delle case, oltre i confini giacciono rose senza più spine.

L’uomo, che ora è solo, continua a pensare ai contrari, anche al contrario.

“E se il gatto vivo fosse morto?”

Al di là delle case giacciono margherite, queste, sì, hanno le spine.

L'ora del tè

Pesanti, ottusi e vecchi. Stanchi. Incedere lento di passi. Passi spessi. Passi spesso per questa strada. Quando fa caldo. Ma oggi la pioggia ti ride in faccia. Fermo sull’uscio di casa. Tempo. Maledetto temporale. Attendi. Una risposta dall’alto. Il telefono squilla. Non è per te. È l’ora del tè.

I treni che passano

Era l’alba. Una pallida luce illuminava una croce. La chiesa era chiusa ma qualcuno già chiedeva miracoli, mentre altri elemosinavano spicci e un po’ di attenzione. Appoggiata alla finestra, Valeria osservava con quanta cura i “miracolandi” si tenessero a distanza dai mendicanti e con quanta cura questi ultimi pregassero affinché nessun miracolo avvenisse. Stasi. Alla radio qualcuno parlava di un uomo fatto a pezzi da una donna. Valeria pensò che alcune persone preferiscono prendersi a pezzi, perché a prendersi intere ci vorrebbe troppa forza. La sua tazza di tè fumava appannando il vetro della finestra, così le figure lungo la via diventavano macchie indistinte, che pian piano si mescolavano le une alle altre e non c’era più pezzo che tenesse, tutto parte della stessa immagine riflessa negli occhi di una ragazza intenta a bere il suo tè.

il Pickwick

Sostieni


Facebook